Affari&Finanza, 5 marzo 2018
Saras, erede cercasi altrimenti sarà vendita
Milano Per Gian Marco Moratti era rimasto l’ultimo cruccio della sua lunga attività di imprenditore: la quotazione in Borsa di Saras, operazione che si è rivelata un ottimo affare per la famiglia, ma un pessimo investimento per chi aveva creduto nei titoli di una società storica della buona borghesia milanese nonché nel buon nome della famiglia. Sbarcate a Piazza Affari con una quotazione d’esordio a 6 euro, le azioni Saras in più di dieci anni di listino non hanno mai più rivisto quel prezzo. E ancora oggi – che pure si sono riprese dai minimi storici – viaggiano sotto i 2 euro. Eppure, anche nell’ultimo periodo della lunga malattia che lo ha portato via a 81 anni, il più anziano dei Moratti avrebbe voluto mettere a posto questa faccenda, così come aveva rilanciato l’attività industriale e provveduto assieme al fratello Massimo a preparare la Saras per il passaggio generazionale. Anche cercando un possibile acquirente. Del resto, Gian Marco e Massimo Moratti, i due figli del fondatore Angelo che hanno ereditato il ruolo di amministratori della società, si erano fidati di quanto avevano loro suggerito tre banche d’affari di primo livello, Jp Morgan, Morgan Stanley e l’italiana Caboto (ora Banca Imi, controllata da Intesa Sanpaolo). Il fatto è che quel 33,4% del capitale andato in Borsa era stato per lo più acquistato da piccoli risparmiatori, mentre i grandi investitori avevano cominciato a vendere fin dal debutto. Com’era andata quell’operazione, ai due fratelli non era mai andata giù. La consideravano una macchia da cancellare. Perché per tutto il resto hanno fatto praticamente percorso netto. Hanno ereditato un piccolo impero che gravita attorno alla mega raffineria di Sarroch: una sorta di città fatta di cisterne, tubi e impianti chimici a metà strada tra Cagliari e la spiaggia dei fenicotteri di Chia. Il padre Angelo aveva cavalcato l’industrializzazione dell’Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale; i figli hanno trasformato l’impianto sardo in una delle raffinerie più grandi d’Europa, forse la migliore nella lavorazione del greggio pesante per la produzione di gasolio. Le ultime opere di ammodernamento – finanziate anche grazie a una generosa politica governativa di incentivi che ha assimilato il recupero degli olii post raffinazione ad attività rinnovabile – l’hanno reso uno degli impianti più avanzati a livello continentale. Tanto da restare competitivo in un mercato sempre più agguerrito, dove a livello mondiale primeggiano le raffinerie asiatiche, forti delle dimensioni, della domanda crescente da parte delle economie emergenti e di un costo del lavoro che per anni è stato nettamente più basso. Così, mentre nel resto d’Europa gli impianti vanno in pensione perché non più redditizi, Sarroch è ancora sulla breccia. E ora punta al nuovo business del gasolio per il trasporto marino, visto che dalla Ue verrà messo fuori legge l’olio combustibile. Eppure quattro anni fa, i Moratti si erano mossi per prepararsi a un eventuale addio. Per seguire, magari, l’esempio della concorrente Erg dei Garrone: poco prima della grande crisi del 2009 la famiglia ligure era riuscita a cedere al gruppo russo Lukoil l’impianto di Priolo, in Sicilia. E investire tutto in una conversione a 180 gradi: dal petrolio alle rinnovabili, fino a diventare il numero uno in Italia nell’eolico. Prima di puntare su nuovi investimenti, però, i Moratti dovrebbero vendere. In qualche modo, nel 2013 si erano preparati. Prima la riorganizzazione della catena di controllo di Saras: il 50% circa sotto il controllo della famiglia è stato esattamente diviso a metà, da un lato il 25 in mano all’accomandita Gianmarco Moratti Sapa e l’altro 25 alla gemella Massimo Moratti Sapa. In entrambe le accomandite, poi, i due figli maschi di ciascun fratello hanno avuto partecipazioni pari al 50% delle quote. Sempre nel 2013 i Moratti avevano trovato anche un partner, anche in questo caso russo, il gigante petrolifero Rosneft, che aveva rilevato il 21% di Saras e aveva fatto pensare a molti di successivi accordi per salire in maggioranza. Ma nel gennaio dell’anno scorso, in seguito alle restrizioni legate alle sanzioni internazionali, i russi hanno preferito monetizzare, uscendo con una plusvalenza di 80 milioni. Da allora, qualche banca d’affari si è fatta avanti, perché l’asset è considerato strategico, i lavori di ammodernamento continuano (l’ultimo riguarda la digitalizzazione). Con la scomparsa di Gian Marco, ora il tema della successione si riproporrà, a meno che tra i nipoti di Angelo non emerga chi voglia proseguire anche nella terza generazione.