La Stampa, 8 marzo 2018
Intellettuali travestiti appuntamento sulle barricate. Un articolo di Sebastiano Vassalli contro i camaleonti della cultura nel ’68
Parola d’ordine del «travestito» è: essere sempre nel coro di chi grida più forte. Sempre? Mi correggo: quasi sempre. Il travestito sa impostare programmi anche a scadenza più lunga. Saprebbe ad esempio emigrare all’estero in caso, che so io, di «colpi di stato» tipo quello di Mussolini buonanima o dei colonnelli greci. Sagaci e opportune mosse gli hanno già preparato il terreno per un piacevole e proficuo soggiorno all’estero: e qui il travestito lavorerà di ami e di lenza per il trionfale ritorno. (…)
Caratteristica essenziale del travestito è dunque quella di essere pianificato (e pianificatore), nell’ambito di una continuità moderatamente dinamica delle istituzioni, preventivamente in senso contestatario. Di trasformare l’opposizione da negativa in positiva, perché rientri in una certa sfera di rapporti e di interessi epicureisticamente intesi come sistema egocentrico; cioè alla gloria personale dell’Individuo, del Travestito: alla sua infrenabile e irresistibile ascesa su per le scale gerarchiche, verso le seggiole, le cattedre, i troni, i seggi, gli scanni, tutto può giovare: dalla Cina (lontana, nonostante il film di Bellocchio) al capitano Guevara, dal Potere Negro (che oltre Atlantico non dà fastidio) alla retorica sul fascismo ai Movimenti Studenteschi (che possono, questi, dare anche fastidio: ma poi si scopre che sono fondamentalmente utili, in quanto dirottabili contro i travestiti di ieri). (…)
Chi vuole farsi un’idea sommaria e molto approssimativa di quali siano l’entità e l’incidenza nella nostra cultura della corsa al travestimento, dia un’occhiata alle riviste (di filosofia, letteratura, architettura ecc.) uscite l’inverno scorso. Per conto nostro intendiamo chiarire fin da ora che, se non ci siamo schierati (e non ci schiereremo) nel coro cartaceo dei plaudenti-alla-contestazione, è perché non ci va di spacciare quello che facciamo per qualcosa di diverso da ciò che realmente è; che se non ci facciamo crescere i baffi all’ingiù o la zazzera o non andiamo in giro vestiti di trine, merletti, velluti e plastica è perché non ci va proprio di schierarci con i nuovi travestiti.
Ma guardateli. Le università, i circoli culturali «di sinistra», gli edifici costosi della «top direction», le sedi dei partiti politici e dei settimanali per uomini, le case editrici, i teatrini alla moda ne sono pieni. I loro atteggiamenti sono puramente dettati dallo spirito di conservazione, questo è logico: sono i vecchi arnesi della paccottiglia di sempre, i re travicelli che non affonderanno mai. Per un momento hanno creduto, forse, di vedersela brutta; ma ormai sorridono, trionfano: perché non solo il pericolo di andare a fondo è stato ancora una volta scongiurato, ma anzi le posizioni si sono rafforzate, le gerarchie chiarite, la lotta per il potere – fino a ieri svoltasi al coperto, in spazi chiusi e felpati e, per così dire, a calci sotto il tavolo – ora è diventata aperta, è stata pubblicizzata; e i travestiti, in cambio di mediocri servigi alla portata di qualunque ruffiano, hanno trovato un aiuto «dal basso» veramente insperato ed insperabile.
No, non voglio con questo dire che tutti gli studenti e i contestatori siano stati e siano totalmente ingenui: molti lo sono, molti invece si rendono conto di questo nuovo stato di fatto ma non riescono a sottrarvisi; oppure sono stati tratti in inganno – e vi sono tuttora trattenuti – dall’innegabile abilità dei travestiti. Che sono, è inutile dirlo, veramente affascinanti e adescanti: e mimano alla perfezione coloro cui vogliono somigliare. «Papà, vai a casa» hanno gridato l’inverno scorso gli studenti della Sorbona a Sartre; e spero che la lezioncina sia servita al vecchio zampettatore da sfilate protestatarie, nel senso di indurlo ad una più consapevole riflessione sulla propria dignità di vecchio (old) uomo (self-mademan).
Gli studenti italiani paiono in genere più accomodanti: qui i travestiti tengono banco, e lo tengono – a quanto mi si dice – bene. Le Istituzioni Cadenti, per conservare sé stesse, li ungono dei loro crismi; e i contestatori sembrano non essersi accorti del fatto che l’unica maniera per colpire le Istituzioni sarebbe quella di colpire i nuovi travestiti, che fungono in questo momento da tramiti e da pilastri del Sistema. La lotta diviene così astratta, onninclusiva e inconcludente: è il momento buono per i travestiti che cercano di profittarne fino in fondo, di consolidare le posizioni acquisite prima che il vento cominci a soffiare da un’altra parte. Ma ormai non c’è fretta, il più è stato fatto. È tempo di cominciare a godere dei vantaggi raggiunti, delle clientele acquisite – basta soltanto orecchiare i nuovi linguaggi; perché, in fondo, i rapporti di potere rimangono immutati: solo si richiedono maggiori doti sceniche, niente distrazioni, autopresenza costante. Il contestatore nostrano è intransigente e implacabile per quanto riguarda la forma; per il resto (cioè la sostanza) ci si aggiusta sempre: tutto si può far rientrare: i miliardi ereditati dal povero babbo (se c’erano, mica si poteva buttarli, no); l’aver esposto fruttuosamente a molte biennali (però all’ultima ha contestato; sì, la sala l’ha aperta, ma si è preso anche una legnata da un poliziotto, in piazza San Marco); ecc. ln genere anche i presupposti della contestazione sono individualistici (al di fuori di determinate categorie impegnate nella lotta in quanto tali – cioè in quanto categorie – com’è, ad esempio, per gli studenti): e questo rende assai più agevole il ruolo del travestito.
Ciò che interessa un individuo, si sa, è sempre ben poca cosa in confronto a ciò che non lo ha mai interessato, che magari gli ha dato anche fastidio, in quanto non gli è mai stato direttamente utile eppure ha dovuto sopportarne la presenza. Bene: tutto ciò che non interessa, o che per una ragione qualsiasi dà fastidio, si può e si deve contestare, in blocco. Contestazione globale: ma poi, in fondo, mica tanto globale, perché ci sarà chi contesta tutto fuor che la mamma, chi contesta la mamma, chi contesta l’opera lirica e chi fa l’opera lirica e contesta gli impresari, o il pubblico; ecc. ecc.