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 2018  marzo 08 Giovedì calendario

Se Bruxelles ci riporta alla realtà

Alto debito pubblico e protratta bassa produttività fanno dell’Italia un Paese con «squilibri eccessivi», che rappresentano un rischio per il resto dell’Eurozona.
Nel monitoraggio periodico della Commissione europea non c’è nulla di nuovo, ma queste parole, a tre giorni dal voto, sembrano quasi una bacchettata sulle nocche preventiva al prossimo governo.
Chiunque prenderà il posto di Paolo Gentiloni si troverà a fare i conti con una situazione di finanza pubblica delicata. Nella più recente Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, si stima per la prossima legislatura una crescita del Pil dell’1,5% annuo e un tasso d’inflazione che nel 2019 dovrebbe arrivare al 2% per stabilizzarsi attorno a quel livello. L’attuale sentiero di risanamento assume, insomma, un quadro macroeconomico nel quale la ripresa si consolida e nel quale le politiche della Banca centrale europea non cambiano in modo sostanziale.
Di previsioni e non di certezze stiamo parlando. L’economia americana cresce da sette anni: una frenata ciclica nei prossimi due non sarebbe sorprendente, nonostante il taglio alle imposte voluto dal presidente Trump.
Gli stessi venti protezionistici che soffiano in queste settimane potrebbero determinare un rallentamento economico di tutta l’area europea, dal momento che gli Stati Uniti sono il nostro primo partner commerciale.
Non è chiaro quanto a lungo possano continuare le politiche monetarie non convenzionali: che succede se un aumento, per quanto graduale, dei tassi determina un incremento dell’onere per il servizio del debito?
Un elevato debito pubblico è un problema proprio perché ci rende più fragili rispetto a choc esterni. La Commissione deve ricordarcelo per forza: è la natura del club europeo di cui tutti siamo membri.
Vale però la pena osservare due cose.
L’avviso di ieri non era una risposta alla vittoria di Lega e Cinque Stelle: era, per così dire, già in calendario. Ma attenzione a non dare l’impressione di volerli mettere sotto tutela. Si rischia di riaffermare indirettamente quel generico complottismo che vede nell’Europa un arcigno burattinaio delle democrazie nazionali.
Una cosa è la campagna elettorale, altra sono le sfide del governo. È presto per dire in che misura un governo Di Maio o un governo Salvini annacquerebbero le loro promesse. E tuttavia il confronto con la realtà, coi problemi concreti, coi conti, imporrebbe con tutta probabilità più d’una correzione di rotta. In che direzione? Dipenderà ovviamente da fattori politici, da negoziazioni tutte italiane.
Il risentimento nei confronti dell’Europa crescerebbe ancora di più, soprattutto se il messaggio fosse una sorta di «fate presto», nel senso del dare all’Italia un governo. La Spagna è stata, dopo le ultime elezioni, per dieci mesi senza un governo. Per sei mesi, l’Olanda non ha avuto un esecutivo nel pieno delle sue funzioni. I tedeschi hanno votato lo scorso 24 settembre e solo ora si apprestano a varare un’altra coalizione Cdu-Sdp.
Con un sistema proporzionale, quale quello al quale l’Italia è di fatto tornata, i governi si formano in Parlamento. È normale che ci voglia tempo, specie dopo una campagna elettorale molto aspra. Nella legge di bilancio ci sono delle clausole di salvaguardia, che consentono di centrare gli obiettivi di finanza pubblica in assenza di decisioni ad hoc. Possono essere dolorose (come l’aumento dell’Iva) ma consentono di governare transizioni difficili come questa. Per la tenuta dei nostri conti, sono forse più rassicuranti di qualche accordo abborracciato.