Il Sole 24 Ore, 8 marzo 2018
Trump pronto a far scattare i dazi
Donald Trump è pronto a firmare i nuovi dazi su acciaio e alluminio, forse già oggi. Anche se nel caos che regna alla Casa Bianca i consiglieri rimasti attorno al Presidente stanno tuttora lavorando febbrilmente ai dettagli di un’azione descritta solo a grandi cifre – 25% contro l’acciaio e 10% contro l’alluminio – e che minaccia di colpire alleati europei e nordamericani più del dichiarato avversario cinese. Il messaggio che ha cercato di fare chiarezza sull’intervento in arrivo è giunto dal Segretario al Tesoro Steven Mnuchin: «Questi dazi ci saranno e scatteranno molto rapidamente». Ma, in un gesto più diplomatico, ha aggiunto che il Presidente potrebbe riservarsi il potere di esentare alcuni paesi e ha dichiarato che Washington non intende «entrare in una guerra commerciale».
La bufera dentro l’amministrazione ha raggiunto il suo apice nelle ultime ore: il capo-consigliere economico Gary Cohn ha d’improvviso rassegnato le dimissioni, voce di moderazione apprezzata da mercati e operatori economici zittita dalla corrente protezionista e populista capitanata dallo zar commerciale in ascesa Peter Navarro, che ha però negato di essere candidato a rimpiazzarlo. Il disagio di Cohn datava già dalla mancata condanna di Trump di marce neonaziste l’anno scorso e la sconfitta adesso su un tema per lui cruciale quale il libero scambio è stata troppo. Mnuchin, a sua volta un moderato, sta invece limitandosi a premere per dazi più mirati.
A complicare la frenesia protezionista del Presidente contribuisce oggi la caccia a una riscossa politica domestica: vuole mobilitare nuovamente la base che lo ha portato a conquistare la Casa Bianca, in appuntamenti elettorali da oggi fino al rinnovo del Congresso in novembre. Un iniziale termometro della sua strategia saranno le urne del 13 marzo nella 18esima circoscrizione della Pennsylvania, regione di acciaierie incerta nei sondaggi tra repubblicani e democratici. La cintura di “metallo” del Paese passa per altri stati essenziali a Trump quali Ohio, Wisconsin e Michigan.
L’aggressivo trattamento “domestico” riservato da Trump al commercio internazionale è filtrato durante la conferenza stampa di martedì sera con il premier svedese, Stefan Lofven. Nonostante l’ospite, Trump ha infierito contro la Ue: «È stata particolarmente dura con gli Stati Uniti. Rende quasi impossibile per noi fare business». E se procederà con rappresaglie in risposta alle misure americane, lui alzerà ancora il tiro: «Possono fare quel che vogliono. Ma se lo fanno imporremo una grande tassa del 25% sulle loro auto e credetemi, non resisteranno a lungo». Trump ha poi aggiunto che i dazi saranno applicati «con effetto» e che alleati e rivali «ci rispetteranno di più».
Le manovre hanno coinciso con un peggioramento del deficit commerciale che ha dato fiato a trombe bellicose: in gennaio è aumentato del 5% a 56,6 miliardi, il massimo da ottobre 2008, seppur con l’import incoraggiato proprio dallo spettro di barriere. Il disavanzo con la Cina è salito al massimo dal 2015. A Pechino Trump ha ieri lanciato una nuova richiesta: un piano che riduca di un miliardo il passivo Usa. E gli Stati Uniti stanno contemplando entro l’estate sanzioni per violazione della proprietà intellettuale contro la potenza asiatica.
Dazi e uscita di scena di Cohn hanno però implicazioni che vanno al di là delle immediate tensioni commerciali. Era Cohn, ex numero due di Goldman Sachs, il leader della corrente globalista alla Casa Bianca. Una corrente decimata: partito è il Segretario di staff Rob Porter, che aveva lavorato ai fianchi contro il protezionismo. In procinto di abbandono è il consigliere per la sicurezza nazionale HR McMaster, mentre traballa la poltrona del capo di staff John Kelly. E ministri fuori dalla cerchia di familiari e fedelissimi hanno scarsa voce in capitolo: il Segretario alla Difesa Jim Mattis ha lanciato un allarme caduto nel vuoto contro i danni che un’escalation commerciale comporterebbe per alleanze e sicurezza nazionale.