il Giornale, 8 marzo 2018
Praticavano l’arte anche prima di incontrare i Sapiens. Intervista a Silvana Condemi
Sino a qualche tempo fa sentirsi dire «Sei un Neanderthal!» non era un complimento. Però negli ultimi anni quello che i paleoantropologi ci hanno rivelato di questo primo colonizzatore dell’Europa ha di molto cambiato la percezione di questo Homo. Che ormai sappiamo con certezza, Dna alla mano, essere un antenato (geneticamente di minoranza) di tutte le popolazioni che non siano rimaste esclusivamente in Africa (è lui a esempio ad averci regalato i capelli rossi). Il punto su tutte le scoperte su questo nonno degli europei lo fa un volume che viene presentato oggi a Tempo di libri a Milano ed è a firma di Silvana Condemi e François Savatier: Mio caro Neandertal. Trecentomila anni di storia dei nostri fratelli (Bollati Boringhieri). Abbiamo fatto una chiacchierata in anteprima con Condemi, direttrice del Cnrs presso l’Università di Aix-Marseille in Francia, per farcelo raccontare.
Molte persone hanno un’idea dei Neanderthal legata agli stereotipi di 50 anni fa. Per le attuali conoscenze scientifiche, come dobbiamo immaginarci questi nostri «cugini»?
«I Neanderthal erano dei cacciatori-raccoglitori e vanno capiti a partire da questa economia. Vivevano in piccoli gruppi, sparsi sul territorio a satellite. Erano mobili e seguivano le mandrie. I siti neanderthaliani li troviamo vicino a sorgenti d’acqua, spesso in collina, dove possono guardare l’arrivare delle mandrie; la preferenza è data all’acqua e alla visibilità del territorio, poi alle risorse litiche, potevano fare diversi giorni di marcia per trovare il sasso giusto da lavorare».
Quanto sono rilevanti le differenze fisiche tra noi e i Neanderthal? Ne riconosceremmo uno se, per assurdo, dovessimo incontrarlo in metropolitana?
«Sono diversi da noi: Homo Sapiens ha un corpo longilineo dovuto alla proporzione degli arti. Neanderthal è molto robusto con spalle, gabbia toracica, fianchi larghi e arti inferiori corti, quindi una corporatura tracagnotta. Ecco, tutto questo se un Neanderthal fosse vestito lo noteremmo poco. Ma sono soprattutto il cranio e il viso a essere diversi. Se mi passa l’esempio, se la nostra testa è una palla da calcio, quella dei Neanderthal è una palla da rugby. Ci sembrerebbe un po’ strana...».
I Neanderthal erano capaci di produrre oggetti complessi come punte di lancia, raschiatoi... Possiamo immaginarci che lo facessero senza disporre di un linguaggio complesso?
«Non avremo mai la prova certa del fatto che i Neanderthal avessero un linguaggio come il nostro. Però tutti gli esami fisici ormai ci confermano che avevano tutto quello che fisicamente serve per parlare, compreso il gene FoxP2 che anche nei Sapiens Sapiens regola il linguaggio. E se guardiamo i loro manufatti e la società che rispecchiano pare incompatibile con la mancanza di una lingua».
Sapiens e Neanderthal sappiamo ormai hanno convissuto a lungo. Come?
«Neanderthal si differenzia in Europa, Homo Sapiens in Africa e arriva in Europa soltanto 43mila anni fa. Neanderthal e Sapiens hanno vissuto assieme almeno 5mila anni, forse addirittura 10mila, sul territorio europeo. Un tempo così lungo lascia immaginare che le due popolazioni abbiano avuto per lo più una convivenza pacifica. I Neanderthal in tutta Europa erano circa 70mila, molto pochi io credo siano stati lentamente assorbiti da una popolazione molto più ampia di Sapiens...»
Nei vecchi libri illustrati sulla preistoria si vede sempre l’incontro tra un Sapiens alto e biondo e un Neanderthal basso, gobbo e coi capelli neri...
«È una immagine completamente sbagliata. Neanderthal, l’europeo, aveva tutti i caratteri di adattamento a un clima freddo. Come mostrano gli studi genetici i Neanderthal avevano pelle molto chiara e capelli castani o biondo veneziano. Homo Sapiens è un africano, quindi aveva tutti i caratteri di adattamento al caldo, era senz’altro di pelle scura».
In noi è rimasto del Dna Neanderthal, vero? Però molto poco, come mai?
«Moltissimi geni sono semplicemente comuni ai due tipi di Homo. Parlando di quelli diversi, noi europei abbiamo solo tra l’1 e il 3% dei geni Neanderthal, gli asiatici il 4%, niente ovviamente negli africani, il valore è zero. Mettendo assieme i pezzetti si può dire che il 20% del Dna Neanderthal è rimasto nei Sapiens. Perché così poco? Per diversi motivi: l’ibridazione non è stata molto grande, i Neanderthal erano pochi; sono passati molti anni, almeno 40mila e sono successe tante cose nel mezzo, alcune caratteristiche Neanderthal sono state perse. Comunque all’epoca per i Sapiens questa ibridazione risultò indubbiamente vantaggiosa. Appena arrivati in un nuovo continente si mischiarono a chi ci abitava già, imparando e incorporando caratteristiche genetiche utili. Ormai sappiamo che le donne Neanderthal partorivano i figli avuti dai Sapiens ma era molto più difficile il contrario. E anche questo ha avuto forse un peso».
La cultura dei Neanderthal ha avuto una accelerazione incontrando i Sapiens. Come mai lo sviluppo dei Neanderthal era lento?
«Forse siamo noi ad avere sopravvalutato l’accelerazione della cultura dei Neanderthal quando sono arrivati i Sapiens. Per dare un esempio illustrato da uno studio recente, pubblicato meno di due settimane fa, si è sempre pensato che Neanderthal non avesse delle capacità artistiche e che solo a contatto con Homo Sapiens avesse un po’ innovato in questo settore. Lavori recenti mostrano che nelle grotte spagnole i Neanderthal già ornavano le pareti con illustrazioni di animali e simboli prima dell’arrivo dei Sapiens».
Quali reperti potrebbero aiutarci nella conoscenza dei Neanderthal?
«Indubbiamente un Neanderthal trovato nel permafrost, ma è un sogno. Più modestamente, altri siti con dei fossili Neanderthal interi, trovati in scavi condotti da team che utilizzano tutti metodi e le tecniche attuali».
Perché i Neanderthal ci affascinano così tanto anche ai giorni nostri?
«I Neanderthal ci affascinano come tutti i popoli scomparsi, ad esempio i Maya. Nel caso dei Neanderthal, forse perché questa scomparsa avviene al momento in cui gli Homo Sapiens, noi, arrivano sul loro territorio. E quindi vogliamo soprattutto capire se siamo responsabili della loro fine. Tutte le ipotesi sono state analizzate, nel corso degli anni. Quella del cambiamento di clima in atto al momento della scomparsa dei Neanderthal ha anche evocato delle angosce attuali... Ora sembra diventare sempre più evidente che più che di scomparsa si può parlare di fusione. Ma è un tema complesso e a volte frainteso, ha presente i titoloni di giornale di un annetto fa? Abbiamo ereditato dal Neanderthal il gene del diabete? No, abbiamo ereditato dal Neanderthal un gene utile a sopravvivere in un clima freddo e in cui ci si nutriva di carne. Poi noi moderni abbiamo cambiato dieta e abbiamo deciso di star seduti tutto il giorno e il gene, vivendo così, facilita il diabete. Non è colpa dei Neanderthal e nemmeno dei Sapiens che vivevano cacciando esattamente come i Neanderthal e a cui quel gene faceva comodo...».