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 2018  marzo 08 Giovedì calendario

Che cosa sono diventati M5s e Lega?

Ci si chiede se Scalfari, l’altra sera da Floris, abbia colto nel segno oppure no. La dichiarazione è questa: «Di Maio è meglio di Salvini. Voterei un partito che unisce M5s e Pd. Di Maio ha dimostrato un’intelligenza politica notevole e il Movimento è diventato un partito. Facendo un’alleanza con il Pd diventerebbe il grande partito della sinistra moderna. Io lo voterei e avrebbe la maggioranza assoluta».  

Scalfari non aveva detto un po’ di tempo fa che, dovendo scegliere tra Grillo e Berlusconi, avrebbe scelto Berlusconi? De Benedetti, editore del giornale, s’era arrabbiato parecchio, quella volta.
No, Scalfari non parlò di Grillo, ma proprio di Di Maio. Era sempre a DiMartedì
, cioè da Floris e condannò il futuro capo politico dei cinquestelle per il suo populismo. La cosa suscitò un vespaio. A parte De Benedetti, la stessa Repubblica prese le distanze dal suo vecchio direttore e Michele Serra in uno dei suoi deliziosi pezzetti scrisse: «A differenza del padre fondatore, tra Berlusconi e Di Maio sceglierei Di Maio (La terza opzione, tra i due, è la cicuta, ma non so dove si compera)». Il cambio di idee di Eugenio testimonia da un lato la profonda ambiguità dei grillini, dall’altro il fatto che effettivamente il Movimento 5 stelle della prima dichiarazione di Scalfari (novembre 2017) è totalmente diverso dal Movimento 5 stelle del marzo 2018. A quel tempo il capo sembrava ancora Grillo. Adesso il comico è sparito, e le redini del Movimento sono saldamento in mano a Di Maio. Il colmo della trasformazione è stato raggiunto con la lettera che Di Maio ha scritto proprio a Repubblica ieri. Lettera molto seria, non troppo diversa da quella che avrebbe potuto scrivere, per l’appunto, un leader della sinistra.  

Che cosa diceva?
Chiedeva esplicitamente al Pd: «Cambiamo insieme il paese». Poi ancora: «Da qui non si torna più indietro. Il voto ha ormai perso ogni connotazione ideologica. Dieci milioni di poveri non possono essere ignorati. 30 miliardi di sprechi non possono non essere eliminati. Una tassazione folle per le imprese non può non essere ritoccata. La sicurezza nelle città giorno e notte non può non essere garantita. La disoccupazione, soprattutto giovanile, non può continuare a dilagare. Per decenni i partiti hanno messo al centro i loro interessi, per decenni la formazione dei governi è avvenuta con il bilancino per accontentare gli appetiti dell’uno e dell’altro.
L’obbiettivo erano sempre e soltanto le poltrone, mai gli interessi dei cittadini. Questo è il passato. Ora i tempi sono maturi per mettere al centro i temi che interessano i cittadini, il loro bene, la qualità della loro vita. Ora insieme abbiamo la storica occasione di cambiare l’Italia. Io non voglio perderla e chi ha scelto di ostacolare a tutti i costi il cambiamento faccia pure, ma sappia che non si può fermare il vento con le mani e che noi nonostante tutto cambieremo l’Italia». Belle parole, a cui il Pd, ieri, ha risposto picche. Il ministro Orlando, avversario numero uno di Renzi, ha detto che il partito al 90% è contro qualunque intesa col M5s. «Gli elettori ci hanno detto di andare all’opposizione». Deve agire, nel cervello dei democratici, anche un ragionamento di convenienza: quanto voti prenderebbe il partito se si presentasse con Gentiloni segretario e Renzi rimandato a casa? Con Forza Italia e quegli illusi dei dalemian-bersaniani mezzo liquefatti? Magari la sorte disgraziata del 4 marzo sarebbe rovesciata.  

Ma il M5s è diventato davvero un partito di sinistra?
I ministri economici annunciati da Di Maio alla vigilia fanno ragionamenti di sinistra: rivogliono l’articolo 18 e governare in deficit, cioè spendendo e spandendo, contro le tagliole dell’Europa. Il grande successo grillino al Sud è di solito imputato alla proposta del reddito di cittadinanza, che coglierebbe la parte più assistenzialistica della vecchia sinistra. Al Mezzogiorno, secondo costoro, piace che lo Stato lo mantenga, il reddito di cittadinanza è un’offerta di quelle che non si possono rifiutare. In questo senso, Di Maio andrebbe più d’accordo con quelli di Leu che con gli altri. Ma quelli di Leu, appunto, che fine faranno? Ecco un’altra ragione, per il Pd, di preferire un ritorno alle urne.  

Quindi è escluso che quel pezzo di M5s - antieuropeista, antimigranti - prevalga nel Movimento e vada a saldarsi con Salvini?
Per il momento sembra proprio di no. Anche se Steve Bannon, l’uomo di Trump che ha approfittato di un passaggio in Italia per rilasciare un paio di interviste, è certo che il fenomeno populistico è solo agli inizi e che le strade di Salvini e Di Maio siano destinati prima o poi a incrociarsi. Qui si innesta il problema di che cosa sia diventata, nel frattempo, anche la Lega: non più quella di Bossi, ma neanche un partito che possa andar d’accordo con la Forza Italia che abbiamo conosciuto. Può, tenendo le posizioni estreme con cui ha vinto la sua campagna elettorale, egemonizzare davvero la destra? Non c’è, a destra, anche una componente liberale, moderata, responsabile, europeista che non sa che farsene né del leghismo né del grillismo né dei cascami del vecchio marxismo?  

C’è?
E chi lo sa?