Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  marzo 06 Martedì calendario

Le donne fanno sciopero e si danneggiano da sole

C’è qualcosa che non torna nello sciopero indetto per l’otto marzo dal movimento femminista “Non una di meno” a cui hanno già aderito diverse sigle sindacali. Un’incongruenza nascosta ben bene sotto la coperta delle migliori intenzioni: l’otto marzo le donne sciopereranno per difendere i diritti delle donne. Non solo in Italia, ma in trenta Paesi del mondo, migliaia di femministe protesteranno contro le forme di diseguaglianza di genere. Invaderanno le strade con i loro striscioni, urleranno le loro rivendicazioni, sventoleranno i cappelli da strega (uno degli slogan è «siamo le nipoti di tutte le streghe che non siete riusciti a bruciare») qualcuna, come lo scorso anno, alzerà la gonna all’urlo di «mostriamo la vulva». 
Le signore non faranno i mestieri in casa, qualcuna rifiuterà i rapporti sessuali, non andranno al lavoro, si asterranno dallo shopping e dalla spesa al supermercato in modo da dare peso e visibilità al loro valore di lavoratrici ma anche di consumatrici. Le organizzatrici consigliano di mettere la risposta automatica alla propria mail, di darsi malate per partecipare ai cortei, ai picchetti, ai presidi organizzati in quasi tutte le città italiane. Tutto legittimo. 
Il punto è che i sindacati non si sono fatti desiderare e hanno già reso noto che staranno dalla parte delle donne. Molti servizi pubblici fondamentali, quindi, saranno sospesi: dai trasporti, alla scuola. Ed ecco il paradosso: questo sciopero che vuole affermare i diritti sacrosanti delle donne finirà per danneggiare tutte quelle donne che l’otto marzo, come tutti i giorni, sono costrette ad andare a lavorare e debbono portare i figli a scuola saltando da un autobus all’altro facendo slalom tra nidi e scuole elementari, per poi approdare finalmente alla scrivania del loro ufficio e cominciare la giornata. L’otto marzo sarà un giovedì di passione per le pendolari che non sciopereranno e dovranno starsene a casa perché molti treni non partiranno regolarmente. E piuttosto che rimanere in balìa dell’incertezza, dei minuti di ritardo che si accumulano senza pietà sul tabellone delle ferrovie, molte preferiranno bruciarsi un giorno di ferie. 
L’AMMISSIONE 
La manifestazione costringerà molte mamme ad allertare nonne, amiche o a sborsare fior di quattrini per una baby sitter che stia a casa tutto il giorno con i figli mentre loro andranno in ufficio: parecchi insegnanti parteciperanno allo sciopero in difesa delle donne. Se anche il proprio figlio al mattino entra in aula, si pone il problema di andare a riprenderlo alla fine delle lezioni. Al pomeriggio le mamme si ritroveranno in coda ad aspettare un tram, una metropolitana, un treno che non arriva mai. E allora saranno costrette a foraggiare le solite tate, o disturbare il nonno o la nonna, a supplicare la vicina di casa perché corra a scuola. 
Insomma, la sensazione è che per tante donne che giovedì prossimo scenderanno in piazza a rivendicare la parità di genere ce ne saranno moltissime che subiranno le conseguenze nefaste di una città bloccata dai mezzi pubblici che passano a singhiozzo o delle lezioni che saranno sospese. 
È il secondo anno che la festa della donna diventa una grande giornata di sciopero chiamata “Lotto marzo”, eppure proprio una delle attiviste ha candidamente ammesso: «Anche quest’anno le nostre vite non sono valse molto, anche quest’anno non è stato riconosciuto il nostro valore, quindi anche quest’anno per un giorno sceglieremo di non produrre». Lo sciopero dell’anno scorso è servito a poco per ammissione delle stesse femministe. Ma basta ricordare la storia di Antonietta Gargiulo ridotta in fin di vita dal marito carabiniere che poi ha ammazzato le loro due figlie. Antonietta aveva paura di lui. E lo aveva detto. Ai colleghi del marito, al prete, alle maestre delle sue bimbe. Eppure nessuno è riuscito a fare nulla. 
VIA DALLA PIAZZA 
Non è andando in piazza facendo la cacerolada (battendo cioè coperchi di pentole, cucchiai e forchette) e neanche scrivendo o pronunciando la parola “ministro” al femminile che si ottiene la parità dei diritti tra uomo e donna. Sarebbe più utile se i sindacati, per tutelare le lavoratrici e metterle al riparo da discriminazioni di sesso e di salario, si sederesso ai tavoli della politica invece che scendere in piazza. 
Sarebbe giusto riempiere i vuoti legislativi che esistono perché la legge sullo stalking non è sufficiente; bisognerebbe che le istituzioni dessero seguito alle denunce delle donne che si sentono in pericolo a casa come sul posto di lavoro invece che andare in piazza a fare ammuina, sbracciarsi, urlare, spogliarsi e bloccare un Paese.