Libero, 6 marzo 2018
Ora i gay si fanno la loro moneta: «Noi quarta economia mondiale»
«Con 4,6 miliardi di dollari di Pil, se fossimo un Paese saremmo la quarta economia mondiale: dietro a Stati Uniti, Cina e Giappone, e davanti alla Germania. Da aprile, vogliamo avere una nostra moneta!». La novità è indubbiamente clamorosa, ma non è di tipo geopolitico. A parlare non è infatti il Puigdemont di una Catalogna, Scozia o Corsica dalle immense dimensioni, ma Christof Wittig: tedesco di origine, residente nella statunitense Silicon Valley, e presidente di una Fondazione che è stata lanciata a Hong Kong il 12 gennaio per rappresentare e dare una criptomoneta al mondo gay. O meglio, al mondo Lgbt, qual è il nome ufficiale della Lgbt Foundation. Anche se ormai nell’inglese politically correct quella sigla è ormai considerata superata, da coloro che preferiscono parlare
in modo ancora più ecumenico di Lgbti: aggiungendo a lesbiche, gay, bisessuali e transessuali anche gli intersessuali. È questo un momento in cui le monete virtuali vanno di gran moda: boom del bitcoin a parte, perfino il regime venezuelano di Nicolás Maduro per combattere una devastante inflazione ormai a cinque cifre sta provando a lanciarne una che si chiama Petro, e sarebbe ancorata al valore del barile di petrolio. Ma anche la Corea del Nord starebbe utilizzando massicciamente le criptovalute per sfuggire alle sanzioni, e la stessa Russia di Putin vi vede un modo per fuoriuscire dal dominio del dollaro sul mondo.
«BUSINESS ROSA»
Putin e mondo gay notoriamente non si vedono di buon occhio, ma alle criptomonete guardano con lo stesso interesse. Paradossalmente, in questo caso la moneta virtuale servirebbe a rendere reale quella realtà virtuale rappresentata dall’economia della “nazione” Lgbti. «Pink business», lo chiamano.
Per lanciare questa idea Wittig sta girando vorticosamente da un evento tecnologico all’altro: Londra, Parigi, Berlino, Monaco, Barcellona. Secondo lui, una economia unificata dall’Lgtbi token potrebbe meglio fare pressione perfino sulle realtà politiche più ostinatamente omofobe, tipo l’Iran o l’Uganda. Comunque, potrebbe intervenire in favore di soggetti discriminati, garantendo l’anonimato degli utenti. Qualche vendita privata è già stata fatta, ma è dalle prossime settimane che la Fondazione lancerà una Ico (Initial Coin Offering), concludendo accordi con i soci che aderiranno a questa forma di pagamento. A quel punto interverrà la Hornet, che con i suoi 25 milioni di utenti è la seconda rete sociale gay del mondo. E metterà a disposizione un “salvadanaio” virtuale per effettuare i pagamenti.
Secondo Wittig, quello Lgbti è «un mercato molto importante, ad esempio per l’industria turistica. La moneta virtuale permetterebbe a imprese come gli hotel o le aerolinee di rendersi conto del peso che ha la nostra comunità per i loro affari e anche di fare prodotti espressamente dedicati».
PER LA CAUSA
L’1% di tutta l’offerta del token sarà destinata ogni anno a finanziare battaglie collegate con la causa Lgbti. La Ico in programma ad aprile sarà con un miliardo di «dollari Lgtbi», con un cambio di apertura sui 3000 dollari Lgtb per Ethereum: al momento in cui stiamo scrivendo, quotato a 857.38 euro. Il 20% di tale cifra sarà messo in circolazione con la prima offerta, e un altro 10% con la seconda offerta. Un 38% andrà a un acceleratore di token, un altro 30% resterà come riserva, e il residuo 2% farà da assicurazione: il tutto per prevenire la speculazione.
Da ricordare che negli Stati Uniti esiste addirittura una Camera di Commercio per Lgbti: The National Gay & Lesbian Chamber of Commerce (Nglcc). Fu fondata nel novembre del 2002, e sostiene che solo il tipo di business da esso direttamente certificato come gay friendly genererebbe oltre 33mila nuovi posto di lavoro l’anno unicamente negli Stati Uniti. Dichiara di rappresentare oltre 1,4 milioni di «Lgbti proprietari di imprese, innovatori, creatori di lavoro, contribuenti e fornitori di servizi essenziali al Paese». Come spiega, «i proprietari di imprese lesbiche, gay, bisessuali e transgender sono una parte essenziale di quel motore della piccola impresa che fa andare l’economia degli Stati Uniti».