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 2018  marzo 06 Martedì calendario

Il mondo si arma. C’è aria di scontro globale

Dopo il rilancio dei programmi militari di Russia e America, anche la Cina conferma tale tendenza. Ieri, mentre a Pechino si sanciva la presidenza a vita per Xi Jinping, il governo ha confermato che, a fronte di una crescita del Pil cinese del 6,5 %, le spese militari nel 2018 saliranno dell’8,1%, a 1100 milioni di yuan, ovvero 173 miliardi di dollari. Il riarmo cinese è incentrato sulle nuove tecnologie. Se c’è una voce in calo è il numero dei soldati, 300mila in meno, attestandosi sui 2 milioni. 
È finita l’epoca in cui i cinesi tamponavano l’arretratezza tecnica con una colossale fanteria, abusando della massima di Mao secondo cui «il potere politico nasce dalla canna dei fucili». Oggi Pechino brama altro. All’attuale portaerei Liaoning, già inviata a rivendicare le isole Spratly e le Paracel, se ne vogliono aggiungere altre tre entro il 2025. Poi, produzione massiva del nuovo caccia invisibile Chengdu J-20, pariclasse del Lockheed F-35 americano, sebbene abbia ancora motori provvisori. Inoltre, missili antisatellite che già hanno colpito bersagli in orbita terrestre e coi quali si spera di «accecare» in caso di guerra con gli Usa, i sistemi spaziali di osservazione e comunicazione. 
DOLLARI E GUASTI 
Gli Stati Uniti si vedono inseguiti dal riarmo cinese e col presidente Donald Trump allungano le distanze. Per il 2018 le spese militari americane sono stimate in 700 miliardi di dollari, il quadruplo dei cinesi, e nel 2019 saliranno a 716 miliardi. V’è da dire che i soldi di per sé non sono misura della vera potenza militare. Gran parte della mastodontica spesa americana, oltre che assorbita dalle tante basi e missioni all’estero, finanzia armi dispendiose e spesso piene di magagne. Fra gli esempi, i futuristici incrociatori classe Zumwalt, talmente costosi, 4 miliardi di dollari per nave, più 10 miliardi di progettazione e sviluppo, che la US Navy si è accontentata di sole tre unità, anziché le 32 previste. Navi «invisibili» ai radar e farcite di elettronica, sono tormentate da guasti per l’eccessiva complessità. Copione un po’ simile a quello del caccia F-35, tanto che ieri l’ammiraglio Matt Winter, ha dichiarato che il 49% (metà!) dei 280 esemplari dell’aereo finora costruiti, al costo di oltre 100 milioni di dollari l’uno, non sono pronti al volo a causa di svariati problemi. 
I PROGETTI DI MOSCA 
Gli armamenti russi, per contro, riescono a essere avanzati, senza cadere nel barocchismo tecnologico americano, permettendo alla Russia di conseguire gradualmente il rinnovamento dell’arsenale con una spesa militare annua relativamente limitata, che per il 2018 sarebbe di 47 miliardi di dollari, inferiore a quelle di Gran Bretagna (62 miliardi), Arabia Saudita (56) e India (51). Cambio del rublo ed estensione degli apparati produttivi ereditati dall’epoca sovietica fanno sì che i russi possano a parità di spesa costruire più mezzi e armi. I russi progettano, sì, di spendere 325 miliardi di dollari, per sistemi come il missile atomico Sarmat, il carro T-14 Armata e i rivoluzionari missili evocati dallo stesso Putin di fronte alla Duma, l’ipersonico Avangard e il non meglio identificato Cruise a motore nucleare, ma è una spesa scaglionata su vari anni, fino al 2025, poiché Mosca non vuole rinunciare allo sviluppo economico. 
Frattanto, se gli inglesi si dividono fra la nuova portaerei Queen Elizabeth e il mantenimento dei missili nucleari sui sottomarini Vanguard, i sauditi spendono e spandono per la guerra in Yemen e gli indiani sono impegnati sul doppio fronte dell’oceano e dell’Himalaya, per rafforzare la propria marina e tenere a bada il vicino cinese. Un po’ in coda, non sfigura la Francia, che ha deciso un aumento della spesa militare soprattutto per superare la soglia del 2% del Pil chiesta dalla Nato. Emmanuel Macron quest’anno ha stanziato 34,2 miliardi di euro, ovvero 42 miliardi di dollari, ha un piano di lungo periodo per arrivare al 2023 con un bilancio della Difesa di 44 miliardi di euro, ovvero il 3% del Pil. Del resto, Parigi deve anche preventivare le ricorrenti missioni francesi in Africa contro i terroristi islamici, su cui non bisogna economizzare.