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 2018  marzo 06 Martedì calendario

L’Italia guiderà i sovranisti nell’Europarlamento 2019

Mancavano solo le elezioni italiane al lotto delle politiche nei Paesi più importanti della Ue. Mancavano solo i nostri voti per stabilire definitivamente che non c’è mai stato Europarlamento nella storia dell’Europa unita che, tra partiti ormai estinti o quasi, altri esplosi dal nulla e Paesi in uscita, abbia rappresentato così poco l’orientamento politico dei cittadini europei. Se la democrazia fosse un sistema perfetto e l’Europa qualcosa di seriamente democratico l’Europarlamento andrebbe sciolto oggi stesso e verrebbero senza indugio indette elezioni nel più breve tempo possibile. Invece ci toccherà aspettare a fine maggio del 2019 con la prospettiva che in quest’anno e passa che manca, leggi e risoluzioni verranno discusse e votate da una sorte di «rifugiati politici», sopravvissuti di partiti dimezzati e deputati senza più patria d’elezione. 

Di certo c’è comunque che se si continua di questo passo nel prossimo Europarlamento la componente euroscettica sarà ancora più numerosa di quella già clamorosa (come dissero all’epoca) uscita dalle elezioni del 2014. E l’Italia avrà un ruolo di primo piano, la Lega addirittura di partito guida. Lo ha detto lo stesso Salvini al direttore di questo giornale in un’intervista di solo qualche giorno fa, «a Bruxelles avremo una maggioranza di europarlamentari che pensa ai popoli e non a banchieri, multinazionali ed eurocrati». Ma lo dicono i numeri ancora più chiaramente. 
ASCESA LEGHISTA 
Alla crescita esponenziale della Lega, che ora in Europa conta solo 5 deputati ma che potrebbe anche facilmente arrivare a 20 il prossimo anno, si sommerebbe l’ascesa di partiti come l’AfD tedesco, ora rappresentato insieme all’Ndp da 8 deputati, che in patria si trova attualmente al 13% con prospettive di crescita ulteriore. A questi vanno aggiunti l’Fpö che nel frattempo in Austria è entrato a far parte della compagine di governo, più la miriade di partiti dell’est Europa, dall’Ungheria alla Polonia, da quelli dichiaratamente euroscettici come lo Jobbik in Ungheria a quelli che non lo dichiarano ma lo sono nei fatti, come ad esempio proprio il Fidesz di Orban o il partito di governo polacco Diritto e Giustizia. 
Senza dimenticare naturalmente Wilders e la Le Pen, con quest’ultima che in prospettiva, per le divisioni interne e i controproducenti ripensamenti dell’ultima ora, potrebbe perdere la leadership europea degli euroscettici proprio a favore della Lega di Salvini. Certo, di sicuro mancheranno quelli dell’Ukip, ma è perché l’Inghilterra non ci sarà più per via della Brexit e i suoi seggi saranno redistribuiti agli altri membri Ue. 
La Gran Bretagna, per l’appunto, conta ora la bellezza di 73 seggi, rappresentanti che non rappresentano più nulla e che fanno parte di quella schiera di «rifugiati politici» che rendono l’Europarlamento attuale il meno democratico di sempre. 
Ma quello britannico è solo il caso più eclatante di una lunga serie. La Francia ad esempio è attualmente governata da un presidente eletto in un partito non pervenuto a Bruxelles, semplicemente perché nel 2014, l’anno delle scorse elezioni, non esisteva nemmeno. Un partito che tuttavia è stato capace di far convogliare su Macron otto milioni di voti alle presidenziali francesi. Allo stesso tempo i socialisti e repubblicani, gli ex Ump, pesantemente ridimensionati, si dividono tuttora più di 30 seggi. 
PARTITI ESTINTI 
Della Germania e dell’AfD abbiamo in parte già parlato ed è fuor di dubbio che tra il 30% della Merkel preso nel 2014 e il 26 dello scorso anno c’è una bella differenza, così comeiltrail27%eil20dei due differenti risultati dei socialdemocratici. 
In Spagna, specie dopo la vicenda catalana, tutti i sondaggi danno come primo partito Ciudadanos di Albert Rivera, il Macron spagnolo. Ciudadanos attualmente conta appena due seggi all’Europarlamento, mentre gli altri 52 spagnoli sono divisi tra popolari, socialisti e altre liste di sinistra quasi estinte. Per ultimo l’Italia, dove appunto i casi più eclatanti sono quelli della Lega, largamente sottorappresentata, e quello del Pd che nel 2014 prese quasi il 41% e che ora non arriva alla metà. 
Si dirà che è normale che per via degli sfasamenti temporali tra le elezioni europee e quelli di singoli Paesi vi siano delle differenze anche sostanziali tra i voti presi da un partito alle prime rispetto alle seconde, specie in periodi di grandi cambiamenti. Ma mai il gap era stato così ampio e decisivo, mai il Parlamento europeo, e quindi l’Europa, è stato così lontano dalla gente.