Il Messaggero, 7 marzo 2018
Firenze, l’assalto dei senegalesi con il pretesto dell’odio razzista
Guai all’effetto domino: la brutta storia di Firenze, ancora tutta da chiarire, con quel personaggio indecifrabile che si dichiara aspirante suicida (poi pentito) ma a Pontevecchio spara al primo che incontra e lo uccide, un ambulante senegalese, rischia adesso di trasformarsi in una pericolosa catena di reazioni.E ci si sono subito messi anche i centri sociali a gettare benzina sul fuoco dei risentimenti della comunità senegalese. Atti di teppismo rabbioso in centro, l’altra notte, e altissima tensione ieri: sputi e insulti all’indirizzo del sindaco Nardella, sceso tra i manifestanti per solidarietà personale e della città.
La voglia di ritorsioni, di rancore per il timore d’aver patito un terribile atto di razzismo, serpeggia, si sente che vorrebbe uscire allo scoperto, innescare una spirale assurda e gonfia di rischi. I capi della comunità si adoperano per riportare la calma, si dicono fiduciosi nell’operato della magistratura chiamata a far luce su un episodio di inaudita violenza ma che potrebbe non contenere una spinta xenofoba. Resta aperta l’ipotesi che si sia trattato solo della ventata di follia che ha attraversato la mente, certo terremotata nei pensieri, di Roberto Pirrone, tipografo in pensione, moglie e figlia, intenzionato a farla finita per poi, camminando sul ponte, cambiare idea e scaricare la pistola contro quell’uomo ch’era lì a vendere ombrelli. Conosciuto e benvoluto, Idy Diene, 53 anni, faceva il pendolare da vent’anni, un alloggio a Pontedera, la famiglia in Senegal, il desiderio di raggiungerla, desiderio impossibile, magra, troppo magra la cassetta degli incassi degli oggetti venduti per strada.
Per quegli strani giochi della vita Idy era cugino di Samb, ucciso con un connazionale nel 2011 al mercatino dall’estremista di destra Gianluca Casseri a piazza Dalmazia. Idy aiutava la vedova di Samb: lei adesso li piange sotto il velo abbassato nel quale avvolge la sua paura, la sua disperazione. Il connotato razzista, che renderebbe tutto insopportabilmente odioso, non sembra emergere: la vita del pensionato, il vento gelido della depressione che ne attraversava l’esistenza non sembrano nutrirsi di sentimenti di odio razziale.
È certo che le circostanze del delitto andranno accertate fugando ogni possibile dubbio in un senso o per accertare, viceversa, che al di là delle dichiarazioni della prima ora, la storia del suicidio è un fragile scudo per celare una vergognosa verità. Il raid di distruzione, l’attacco al sindaco Nardella, l’agitarsi scomposto di gruppuscoli che si richiamano a centri sociali piuttosto bellicosi, sono tutti elementi che hanno fatto alzare la rete della vigilanza della polizia.
Firenze, di norma, si mostra aperta e ospitale: la numerosa comunità degli ambulanti, tutti regolari con i permessi, non ha mai offerto ragioni per temere comportamenti illegali, gli Iman seguono da vicino arrivi e partenze e anche in quest’occasione le loro parole hanno contribuito a placare gli animi.
La tensione resta comunque altissima e il rischio di qualche gesto di sfida alla città non viene tuttora escluso: il terribile gioco di gettare la benzina sul fuoco è sempre in agguato. Dunque, guai all’effetto domino.