la Repubblica, 7 marzo 2018
Un treno per il futuro
Si chiama Hyperloop e potrà viaggiare a oltre 1000 km l’ora. Al via lo studio di fattibilità per la tratta Cleveland-Chicago: 492 chilometri in mezz’ora N on capisco quest’idea del biglietto. Perché siete tutti convinti che nel treno del futuro si dovrà pagarlo?» Dirk Ahlborn snocciola le sue certezze con noncuranza. Berlinese, alto un metro e novanta, per lui immaginare da capo il trasporto significa giocare con l’immaginazione e se possibile sbandierarla. Lo sanno bene ad Uber come a Google, ed Elon Musk di Tesla e SpaceX è un maestro in quest’arte. Alla Hyperloop Transportation Technologies (Htt) di Los Angeles, che Ahlborn dirige, non vogliono sfigurare. Hanno appena annunciato lo studio di fattibilità della tratta ferroviaria Cleveland-Chicago: 492 chilometri che potranno esser percorsi in mezz’ora. Una risposta a Sir Richard Branson che si è presentato in India per firmare un accordo preliminare con lo stato del Maharashtra per il collegamento fra Pune e Mumbai, poco meno di 150 chilometri in un quarto d’ora, ad opera della sua Virgin Hyperloop One.
Entrambe fanno parte di quel “movimento” dei treni ultra veloci, Hyperloop, capaci di viaggiare a mille e 200 chilometri all’ora, sparati in un tubo quasi sotto vuoto dove l’aria offre poca resistenza ai convogli sospesi magneticamente. «Reinventi tutto, reinventi anche il modello economico», prosegue Ahlborn. «Il guadagno potrebbe arrivare da come i passeggeri spenderanno il loro tempo su servizi e intrattenimento, dal taxi che ti viene a prendere a casa per portarti alla stazione, alla connessione al web, dallo shopping online, alle visite mediche a bordo».
Che sia visita medica o palestra, bisognerà fare in fretta con “solo” mezz’ora a disposizione per percorrere 500 chilometri. Gli spazi urbani si estendono e restringono a dismisura: Roma e Milano, l’una la periferia dell’altra (e viceversa); il tragitto dall’aeroporto al centro della città ridotto a sei minuti; San Francisco e Los Angeles di colpo confinanti. Tutto a partire dal 2022, quando forse verranno ultimati i primi collegamenti. Impatto ambientale ridotto, il tubo può esser costruito lungo strade e autostrade, e costo del trenta per cento minore rispetto all’alta velocità. O almeno così sostengono i profeti di questa religione fondata dallo stesso Elon Musk nel 2012, quando rilanciò l’idea del trasporto pneumatico fornendo a tutti le chiavi tecnologiche e i brevetti per realizzarlo.
In tanti ci hanno creduto e si sono lanciati. Nato nel 1977, due figli di otto e sette anni, Ahlborn ha iniziato come bancario per poi emigrare a Milano dove ha trascorso 15 anni vendendo pannelli solari. L’italiano lo parla bene e ha un socio italiano, Gabriele “Bibop” Gresta. I due hanno aperto un centro di ricerca a Tolosa, uffici in Slovacchia e negli Emirati Arabi Uniti. Alla Htt dicono che la prima capsula per il trasporto passeggeri sarà pronta a giugno. I test, sostengono, li hanno fatti e avrebbero due nove tratte che verranno svelate a breve. Il condizionale è necessario: per ora questa rivoluzione è stata fatta a colpi di annunci.
«Ci sono molti ostacoli da superare, iniziando da quelli normativi». Federica Foiadelli, professoressa al Politecnico di Milano esperta di sistemi elettrici per i trasporti, a malapena riesce a celare lo scetticismo. «L’esistenza di una tecnologia non significa che verrà applicata. Pensi all’auto a guida autonoma. È pronta, ma ammesso che sia economicamente vantaggioso costruirla, bisogna prima stabilire le regole per farla circolare».
Delle regole Elon Musk non sembra se ne sia mai preoccupato e Hyperloop è una sua iniziativa. «Nessuno l’ha mai realizzata perché in passato è stata proposta da una singola azienda o da un singolo Paese. Per questo l’Hyperloop di oggi è un movimento fatto da diverse società in diverse nazioni», sottolinea l’amministratore delegato di Htt. «Noi stessi siamo un gruppo di quaranta società differenti con ottocento persone che lavorano in cambio di una quota della compagnia».
Nel gruppo dei quaranta ci sono nomi di buon livello come la tedesca Leybold o la britannica Atkins, società di ingegneria edilizia. Ma nulla di paragonabile, per ora, alla Virgin di Sir Richard Branson, entrata da poco in Hyperloop One. Anche lei di Los Angeles, è diretta da Rob Lloyd, ex presidente di Cisco. È la concorrente della Htt. Questo però, come dicevamo, vien venduto come “movimento”: più aziende ne fanno parte meglio è. Negli Usa c’è anche Arrivo. TransPod è in Canada, DGWHyperloop in India, Zeleros in Spagna, Hardt Global Mobility in Olanda. Ma le due che sembrano più avanti sono proprio le compagnie di Ahlborn e Lloyd. Ammesso che dai proclami passino ai fatti. Nel frattempo, strano a dirsi, guardano perfino più avanti a Spresiano (Treviso). Qui Lorenzo Girotto, con la sua IronLev, sostiene di poter sollevare i treni magneticamente. Come? «Aumentandone la velocità e riducendo quasi a zero la manutenzione della rete ferroviaria, non essendoci più contatto fra vagone e rotaia», racconta lui stesso. Il bello? «Il sistema è applicabile alle locomotive esistenti ed è più economico sia dei Maglev sia di Hyperloop». Per dimostrare le potenzialità, Girotto ha messo su un carrello ferroviario una vettura spingendola con una sola mano senza fatica. Ma serviranno almeno due anni di ricerca per svilupparlo.