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 2018  marzo 07 Mercoledì calendario

SmartCity SpyCity. Le metropoli intelligenti diventano luoghi di sorveglianza totale

Nelle pagine di un libro giallo di ieri l’eco di passi nel vicolo di una metropoli era indice di pericolo. Sul marciapiede ben curato di una città intelligente dell’immediato futuro il rumore delle suole sull’asfalto avrà un significato ancora più inquietante. Quell’eco potrebbe essere registrato. I passi, seguiti da sensori nascosti nel terreno. L’andatura, analizzata da un software.
Un percorso anomalo, un’indecisione nella passeggiata potrebbe essere giudicata sospetta. Far scattare un allarme. Telecamere a riconoscimento facciale inquadrerebbero ogni movimento. Un drone volante zoomerebbe dall’alto. Antenne aggancerebbero lo smartphone. Tutto verrebbe trasmesso a una nuvola di server, capaci di collegare l’individuo sulla strada a un profilo sfaccettato, che va dalle chat sui social allo shopping online. Ovviamente un algoritmo perlustrerebbe stato di famiglia, relazioni personali ed eventuali precedenti penali. In pochi secondi un supercomputer, mimetizzato dietro le facciate di torri firmate da archistar, valuterebbe l’effettiva pericolosità del cittadino sul marciapiede.
Fantascienza? O la realtà dei prossimi giorni? Il progetto «Big Glass Microphone», realizzato dal laboratorio californiano Stamen, ha reso sensibili i pavimenti del campus universitario di Stanford: le fibre ottiche utilizzate per le telecomunicazioni nell’ateneo sono diventate sismografi di ogni azione e pressione, dal passaggio di un camion alla camminata di una coppia di studenti. Per ora è difficile pensare di tessere una rete del genere sotto una città. Ma l’impresa è già possibile in una piazza o in un quartiere a rischio. Un’amministrazione potrebbe essere tentata di installare l’asfalto-spione in un quartiere abitato da migranti.
Ed è già tecnologicamente «vecchio», pur se futuristicamente disturbante, il sistema di sorveglianza «Gorgon Stare», lo sguardo della Gorgone. Si tratta di una sfera dotata di nove telecamere, elaborata dalla ricerca militare Usa nel 2009, il cui nome è ispirato alle creature della mitologia greca dall’occhio pietrificante: montata su un drone, registra qualunque evento. Ora ne costruiscono versioni più sofisticate, mentre nella città cinesi gli agenti di pattuglia hanno in dotazione occhiali hi-tech in grado di riconoscere il volto di un ricercato alla prima occhiata. E presto scanner portatili per la lettura del Dna faranno parte dell’equipaggiamento di medici e funzionari di sicurezza.
Negli Usa e Regno Unito il Big Data ha permesso di elaborare mappe criminali predittive. I software servono a identificare i punti caldi dove è probabile che un crimine accada. E le ore più a rischio. Inoltre calcolano la capacità di contagio del crimine, come fosse un virus, da un quartiere all’altro. Nella contea del Kent una mappa predittiva, «Predpol», è nei computer della polizia dal 2013. Il sistema ha ricevuto apprezzamenti e diffidenze, queste ultime relative a una sistematica discriminazione delle minoranze etniche da parte del software, che dopotutto si porta dietro i pregiudizi dei programmatori.
Non siamo ancora ai «pre-cog» immaginati da Philip Dick: menti umane, elettroniche o chimicamente alterate capaci di calcolare futuri probabili. Ma quanto è probabile e possibile la «smart city» dagli sguardi incrociati e dai mille sensi, che registra tutto e non dimentica nulla, che regola e agevola, aggiorna e sorveglia? «Invece di essere piattaforme che funzionano alla velocità della luce, le “smart cities” saranno delle “gated communities”, con codici di sicurezza che diventeranno più importanti del codice giuridico», ha scritto un altro autore di fantascienza, Bruce Sterling, fondatore del Cyberpunk, su «The Atlantic». Queste megalopoli intelligenti non avranno bisogno di interrogare i propri cittadini, perché si baseranno sull’estrazione dei dati e sull’analisi dei comportamenti.
L’apparenza è quella di una soffice prigione, una versione tecnologica del Panopticon, il carcere ideale progettato nel 1791 da Jeremy Bentham. Nonostante ciò, o forse per questo, cresce l’interesse per le «smart cities». Il governo indiano si ripromette il traguardo di 100 città intelligenti, mentre in Cina l’ossessione è arrivata a concepire bagni sorvegliati dall’Intelligenza Artificiale. Per i tecnolibertari, invece, queste urbanizzazioni monstre assomigliano alla città in stile «Matrix». Così è nata la filosofia della «sousveillance»: è una sorta di sorveglianza dal basso, fatta di telecamere inserite nei vestiti per controllare l’occhio elettronico delle autorità e automonitoraggi video per avere sempre un alibi. Ma sono manie per pochi, da professori del Mit. «Per ora siamo nel selvaggio West – dice Albert Gidari, direttore degli studi sulla privacy al “Center for Internet and Society” di Stanford -: lo sceriffo è anche il bandito o potrebbe diventarlo».