La Stampa, 7 marzo 2018
Giacomo Poretti non dimentica i suoi anni da infermiere: Da quegli 11 anni in corsia sono nati tanti miei sketch
Da anni ha successo al cinema e in televisione, ma non dimentica – anzi ce l’ha nel cuore – il suo passato da infermiere. Giacomo Poretti, il mitico Tafazzi del trio Aldo Giovanni e Giacomo, racconta quegli undici anni passati in corsia tanto tempo fa. Quando i medici si sentivano gli unici depositari del sapere. «E trattavano gli infermieri un po’ come servi».
Il suo passato da infermiere a quando risale?
«Al 1974, quando ho fatto il mio ingresso, un po’ casualmente, all’Ospedale di Legnano. Non avevo nemmeno 20 anni e ho appeso il camice che ne avevo 31, dopo undici anni. Di sofferenze ne ho viste tante, ma lo considero sempre uno dei lavori umanamente più belli».
Com’era la professione negli Anni Settanta?
«Era un altro mondo. In corsia c’erano ancora le suore e di infermieri ce n’era una carenza pazzesca. Usavamo le siringhe di vetro e facevamo un po’ di tutto. Io all’inizio ero addetto alle pulizie. Uno dei pochissimi maschi ad indossare il camice. Mentre il medico era considerato l’unico depositario del sapere. Diciamo la verità: a volte ci trattavano un po’ da servi. Poi c’era la frustrazione di una formazione non universitaria. Fino all’85 si faceva la Scuola infermieri che durava 5 anni ma non ti consentiva di accedere all’Università. Oggi chi fa Scienze infermieristiche può anche decidere di passare a Medicina. All’epoca potevamo solo rosicare».
Un ricordo divertente?
«A ortopedia, quando per le fratture al bacino ancora si ingessava tutto, dalle ascelle alla caviglia. C’era un omone di 150 chili, una statua di gesso. Quando lo dovevamo cambiare andavamo in quattro. Sembravamo i meccanici della Ferrari al pit stop».
L’esperienza di quegli anni l’ha ispirata per qualche sketch?
«Il professor Alzheimer un po’ si ispira a quel vissuto. Lì con Aldo e Giovanni abbiamo usato l’arma del paradosso, ma situazioni comiche c’erano anche nella realtà. Un classico erano i siparietti durante i turni di notte, quando per convincere il medico di guardia ad alzarsi dal letto ci inventavamo di tutto, persino attacchi cardiaci quando magari il paziente aveva solo mal di denti. Però alla fine lo spirito di collaborazione prevaleva su tutto».
Oggi finalmente gli infermieri hanno un Ordine. È un bel passo in avanti?
«È il riconoscimento di una professione che ha un’importanza pazzesca. Lo hanno capito anche molti medici. Oggi quei dottori che guardano i miei ex colleghi dall’alto al basso sono autolesionisti, un po’ come Tafazzi». [Pa. Ru.]