La Stampa, 7 marzo 2018
Rivoluzione in ambulatorio arriva l’infermiere di famiglia
Medici e infermieri di famiglia pronti a lavorare a braccetto nei nuovi studi «ad alta intensità di assistenza». Dove non si va più solo per ritirare la ricetta dopo una visita frettolosa, ma anche per fare piccoli accertamenti, suturare una ferita, programmare la presa in carico dei malati cronici.
I dottori si dichiarano pronti ad abbattere il muro che da anni li separa dai loro cugini infermieri. Sempre meno figli di un dio minore ora che hanno anche un loro ordine professionale, il più grande d’Italia con 440 mila iscritti, che proprio questi giorni celebra il suo primo congresso. Mentre la trattativa per la convenzione, ossia il contratto dei medici di base, è al rush finale e dovrebbe portare oltre che un po’ di soldi, anche la rivoluzione degli ambulatori in coabitazione con gli «infermieri di famiglia».
Diagnosi e terapia
«La collaborazione negli ospedali è già nei fatti, ora con la nuova convenzione diventerà realtà anche nella medicina del territorio», assicura Pierluigi Bartoletti, vice segretario nazionale vicario della Fimmg, il sindacato dei medici di famiglia. «A parte piccoli interventi in studio – spiega – l’infermiere di famiglia potrà garantire l’assistenza a domicilio, verificando l’aderenza alle terapie di malati cronici e anziani non autosufficienti, o assicurandosi che gli accertamenti necessari avvengano nei tempi prestabiliti. E poi si occuperanno di flebo, iniezioni, inserimento di cateteri, tutte cose troppo spesso demandate a badanti impreparate».
«L’infermiere di domani è una figura che fa da cabina di regia del percorso personalizzato e di continuità assistenziale con gli altri professionisti, tra cui il medico di famiglia quale referente clinico e gli altri specialisti», rivendica Barbara Mangiacavalli, presidente della Fnopi, la neonata Federazione degli ordini infermieristici. «L’infermiere non vuole andare sul territorio da solo, ma dentro modelli organizzativi e innovativi che assicurino risposte a bisogni complessi». «Quello che stiamo studiando – spiega a sua volta il segretario nazionale della Fimmg, Silvestro Scotti – è un modello di presa in carico del paziente cronico dove i medici di famiglia, con il supporto degli infermieri, organizzano il percorso diagnostico e terapeutico, prenotazioni comprese, impedendo così che gli assistiti siano costretti a girovagare da un medico e da una struttura sanitaria all’altra».
Per fare questo i medici rivendicano l’assegnazione di un budget da gestire, che comprenderebbe anche le spese per l’infermiere di famiglia. Che, sia pure a macchia di leopardo, in qualche Regione è già una realtà. Più diffusa in Piemonte e Lombardia, un po’ meno in Campania e Molise.
Contratto
Il problema, denunciato al congresso della Fnopi, è che gli infermieri, come i medici, scarseggiano. Ad oggi ne mancano 50 mila, 20 mila nelle corsie degli ospedali, i restanti proprio in quel territorio dove si vorrebbe lanciare il nuovo modello di assistenza. E da qui a cinque anni, se perdureranno i blocchi delle assunzioni, ne spariranno altri 20 mila. Peggiorando ancora quel rapporto infermieri-assistiti che dovrebbe essere di uno a sei ed è invece doppio. Con uno studio pubblicato sul prestigioso «British Medical Journal» che indica tassi di mortalità in crescita del 20% già quando il rapporto è di uno a 10. E siccome si è in pochi, quasi la metà degli infermieri fa due o più turni di notte a settimana. Uno stress che fa abbassare le soglie di sicurezza per i pazienti e anche mal ripagato, visto che il lavoro notturno è retribuito appena due euro e mezzo l’ora in più di quello diurno, mentre lo stipendio annuo è in media di 30 mila euro lordi. La metà di quello dei medici con i quali dovrebbero lavorare a braccetto.
«Tante vite si salvano grazie a voi, perché siete tutto il giorno lì e vedete cosa accade al malato», ha ricordato Papa Francesco ricevendo in udienza gli infermieri. Che ora sperano in una carezza anche da parte dello Stato, con la firma del nuovo contratto.