La Stampa, 7 marzo 2018
Calderoli e gli economisti No euro. Ecco il cerchio magico di Matteo Salvini
Il paradosso, in casa Lega, è che in questi giorni tutti tifano Matteo. Renzi, però. Perché per arrivare a un ipotetico Salvini I, con il ragionevole ottimismo di poter raccattare i voti che mancano in Parlamento e trasformare la maggioranza di centrodestra da relativa ad assoluta, è indispensabile che Renzi riesca a tenere insieme quel che resta del Pd e impedire che voli in soccorso dei vincitori pentastellati. Insomma, dopo averlo massacrato in campagna elettorale un giorno sì e l’altro pure, adesso Matteo Salvini deve sperare che Matteo Renzi resista.
Ammettiamo però per un attimo che Di Maio non trovi i numeri, che dopo un po’ di consultazioni e magari un mandato esplorativo Mattarella affidi l’incarico al centrodestra in generale e a Salvini in particolare, ed è subito tempo di totoministri. Tutto è ancora per aria, il periodo per ora è ipotetico, però i nomi girano già, e sono quelli di chi in questi anni è stato più vicino al Matteo «giusto» e ne ha ispirato e/o assecondato le scelte.
E qui spiccano tre leghisti, guarda caso la stessa troika che è stata incaricata di trattare con gli amici-concorrenti del centrodestra la divisione dei collegi. Il primo è un personaggio noto. Roberto Calderoli era già l’esperto di ingegneria costituzionale ai tempi della Lega di Bossi, ma è tuttora insostituibile. È l’unico del cerchio magico salviniano ad aver già fatto il ministro, delle Riforme istituzionali nel Berlusconi II e della Semplificazione nel Berlusconi IV, è l’autore del già biasimato e forse oggi rimpianto Porcellum e si è concesso, fra una riforma e l’altra, pure invenzioni geniali come il generatore automatico di emendamenti che nel ’15 ne sfornò a fini ostruzionistici 82 milioni contro il ddl Boschi. Il chirurgo maxillo-facciale di Bergamo, 61 anni, è considerato indispensabile per la sua conoscenza della macchina istituzionale e il suo talento di organizzatore.
Secondo nome irrinunciabile, quello di Giancarlo Giorgetti, 51 anni, già sindaco dell’ameno paese natio, Cazzago Brabbia nel Varesotto, attualmente vicesegretario del partito, commercialista con ottimi rapporti e solide amicizie nel mondo economico e bancario. Giorgetti è il mediatore, tiene i rapporti con gli alleati e con il Quirinale e dispone di abbondanti riserve della meno salviniana delle virtù: la pazienza. La sua riservatezza è leggendaria ed era famoso per non dare mai interviste. Poi è stato convinto a esporsi e adesso va anche in tivù, per esempio l’altra sera a Porta a porta, dove mostra un’altra qualità poco praticata in zona Lega, l’ironia. Sarebbe spendibilissimo per un ministero economico.
La terza persona della trinità salviniana è quella forse meno nota, ma non è la meno influente. Si chiama Lorenzo Fontana, è veronese, ha 37 anni, è l’altro vicesegretario ed è l’uomo che ha ispirato la svolta lepenista (ma lui preferisce da sempre chiamarla «identitaria») della Lega. Fontana e Salvini erano entrambi eurodeputati e quando Matteo andava a Bruxelles dormiva a casa di Lorenzo. Certe svolte sono maturate nel corso di interminabili conversazioni sui due divani letti gemelli del salotto di Fontana, il quale è anche molto cattolico e quindi non estraneo agli ultimi approdi evangelici del Capitano che, prima di conoscerlo, un rosario probabilmente non sapeva nemmeno come fosse fatto. Fontana ha molti contatti internazionali che sarebbero preziosi se approdasse alla Farnesina.
E poi? Poi si fanno i nomi dei due capogruppo uscenti, entrambi salviniani a 24 carati, Massimo Fedriga della Camera e Gian Marco Centinaio del Senato. E soprattutto, per un ipotetico ministero della Giustizia, dell’ultima new entry alla corte del Capitano, l’avvocato Giulia Bongiorno, ex An, ex Monti ma insomma un nome, quindi pazienza per le passate frequentazioni. Infine, ci sono gli economisti in quota Carroccio. Sono tre anche loro, due specializzati nella crociata anti euro, Alberto Bagnai e Claudio Borghi Aquilini, e uno in quella pro flat tax, Armando Siri. Ma la Lega non è mai stata troppo prodiga con gli intellettuali e da sempre preferisce la pratica alla teoria. In ogni caso, una squadra c’è. E quando Salvini assicurava in campagna elettorale di essere «pronto a governare» non era solo propaganda.