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 2018  marzo 07 Mercoledì calendario

Intervista a Mario Monti: È stata una lotta tra populisti. Ha cominciato Berlusconi. Il mio governo fu la prima vittima

Introdotte insieme, la flat tax e il reddito di cittadinanza aprirebbero la porta a «una strage degli innocenti» e disegnerebbero un mondo in cui «gli italiani di domani farebbero meglio a non nascere». Mario Monti lo dice con cautela, ben consapevole della gravità della sua profezia. Presi da soli, i due provvedimenti che il centrodestra e i grillini hanno utilizzato per vincere le elezioni, suggeriscono parecchi dubbi al professore ed ex premier. Non è una missione impossibile, lascia intendere, però il rischio è di «essere stroncati dal debito». Servirebbero dei correttivi, cose che qualunque governo dovrebbe fare. Come creare un mercato che funzioni, tagliare le tasse, battere l’evasione fiscale e ridurre le diseguaglianze.
Professore, siamo il primo Paese europeo candidato ad essere guidato da un governo anti-establishment. Non è sorpreso, vero?
«In fondo, la campagna elettorale è stata una lotta tra populisti. Due populisti venuti dal basso, Di Maio e Salvini, apparsi più freschi e genuini, hanno sconfitto due populisti più consolidati nel sistema, un po’ logori e meno credibili: il padre storico di tutti i populisti, Berlusconi; e Renzi, che perfino da Palazzo Chigi aveva praticato un suo populismo contro l’Europa».
Era un processo inevitabile?
«Dando spesso all’Europa la colpa dei loro insuccessi (uno di loro sostiene addirittura che abbia complottato per porre fine a un suo governo), sono stati proprio Berlusconi e Renzi a spianare la strada a Salvini e Di Maio, instillando per anni nella mente degli italiani un riflesso anti-Europa sul quale il Movimento 5 Stelle e la Lega hanno capitalizzato alla grande. Per questo è parso un po’ goffo che Berlusconi abbia cercato di accreditarsi in Europa come il bastione contro gli euroscettici italiani».
Un Paese è sempre quello che vota. Il nostro sta migliorando o peggiorando?
«La politica italiana è riuscita a screditarsi oltre ogni limite. Basta pensare al tourbillon di passaggi da uno schieramento all’altro, da un partito all’altro. Il capitalismo italiano, la classe dirigente dell’economia, le organizzazioni imprenditoriali, non hanno mostrato grande capacità né volontà di riformarsi».
Cos’è successo?
«Tutti tendono a considerare lo Stato come bestia da fustigare e da mungere al tempo stesso. Sarebbe stato sorprendente che proprio l’Italia restasse immune da quella miscela di risentimento verso la politica, verso tutte le istituzioni, verso l’establishment che in questi anni ha percorso l’Europa e gli Stati Uniti».
Cosa vogliono i populisti?
«Colpire due obiettivi: l’establishment e l’Europa».
Come andrà a finire?
«Mi auguro che riescano a imporre all’establishment una drastica cura per renderlo più moderno, più responsabile, più rispettoso delle leggi e dell’interesse generale».
E l’Europa?
«L’auspicio è che i populisti non compiano un grave errore di prospettiva storica. L’Europa deve essere riformata e migliorata in tanti aspetti. Ma non va depotenziata rispetto agli Stati nazionali, né bisogna uscirne. In un Paese come l’Italia, il “sogno” di un’Europa espulsa dalla vita italiana, o di un’Italia ritornata alla totale sovranità nazionale, avrebbe conseguenze su cui Di Maio e Salvini, nell’interesse soprattutto dei loro elettori, dovrebbero riflettere».
Faccia un esempio.
«È stata l’Europa, per dirne una, a limitare lo strapotere delle caste, a cominciare dalle partecipazioni statali. Ha poi liberato i risparmiatori dall’obbligo, di fatto, di comprare solo titoli dello Stato italiano, per vederseli tosati da ondate di inflazione. Guai se puntassimo tutto su “Prima l’Italia”. Se mai, la traduzione geopolitica di “America First” dovrebbe essere “Prima l’Europa”, con il rafforzamento complessivo del nostro continente nella competizione mondiale. Di ciò necessita un Paese come il nostro, importante ma non molto potente. La Germania ha meno bisogno dell’Ue. L’economia tedesca la farebbe più da padrona in Italia, se l’Unione venisse meno o l’Italia uscisse».
Se andassero al governo, grillini e centrodestra si troverebbero ad attuare politiche che sembrano nel migliore dei casi difficili. È un vicolo cieco?
«Guardiamo anzitutto al contesto. Abbiamo vissuto tempi in cui i mercati finanziari grandinavano sui Paesi che praticavano politiche non ortodosse o si lasciavano andare a promesse non ponderate. Era eccessivo. Ma è altrettanto eccessivo – e più pericoloso perché può condurre a scelte poco responsabili che i cittadini pagheranno caro in futuro – vivere nel Nirvana finanziario creato da un “quantitative easing” della Bce, a mio parere troppo generoso e che dura da troppo».
E allora?
«Non credo che i partiti, tutti, avrebbero dato tanta prova di irresponsabilità nelle promesse elettorali, se non ci trovassimo con tassi di interesse così bassi da rimuovere psicologicamente il vincolo di bilancio, malgrado le prediche della Ue e dei banchieri centrali. E non credo che i mercati avrebbero mostrato encefalogrammi così piatti, in termini di spread, di fronte a risultati elettorali che in altri tempi li avrebbero fatti rabbrividire. Meglio così, finché durerà».
Le promesse sono state chiare. M5s ha vinto col reddito di cittadinanza. Berlusconi e Salvini con la Flat Tax. Sono ricette ardue per un Paese indebitato.
«Ho qualche dubbio sull’uno e sull’altra, presi individualmente. E dubbi ancora maggiori se dovessero arrivare congiuntamente. Resto convinto che un’economia sociale di mercato che funzioni e crei lavoro deve avere grande attenzione sia all’aspetto produttivistico, sia a quello della riduzione delle disuguaglianze».
Qual è la giusta medicina?
«In ogni caso in Italia occorre una politica durissima contro l’evasione fiscale, oltre che il taglio della pressione complessiva, usando lo strumento fiscale contro le eccessive disuguaglianze. Probabilmente, le due visioni di Renzi e Berlusconi, piuttosto simili, avrebbero reso improbabile una tale strategia. Con Di Maio e/o Salvini potrebbe rivelarsi più facile combinare un’impostazione produttivistica “di destra” con un’impostazione distributiva “di sinistra”. Certo, se si introducessero il reddito di cittadinanza e la flat tax, nessuno protesterebbe. Ma sarebbe la “strage degli innocenti”: gli italiani di domani farebbero bene a non nascere, per non essere stroncati dal debito pubblico che scaricheremmo su di loro».
Il suo governo e la legge Fornero vengono spesso indicati fra le cause del populismo in Italia. Si sente colpevole?
«Allora, nel 2012, non era proprio possibile fare diversamente. Tant’è vero che tutti i provvedimenti presentati dal governo sono stati approvati in Parlamento con i voti sia del Pdl di Berlusconi che del Pd di Bersani. Questi due grandi partiti hanno contribuito al successo del M5s alle elezioni del 2013 non perché abbiano adottato misure impopolari, ma perché, avendo avuto per una volta una condotta molto responsabile, invece di rivendicare il merito di avere salvato l’Italia, in campagna elettorale hanno preferito dare la “colpa” al mio governo e all’Europa».