La Stampa, 7 marzo 2018
Il reddito di cittadinanza resta un tabù. Su scuole e salari le possibili intese
«Mai con i barbari a 5 stelle o i leghisti», scrive Carmen sulla pagina Facebook di Renzi. «Nessun appoggio a chi ci ha tacciato di avere le mani sporche di sangue», aggiunge Mara, un paio fra i tanti messaggi di sostegno alla linea del segretario: no a un governo con i Cinque Stelle. Un’ipotesi che nelle stanze dei vincitori si sta invece esplorando, pur con mille cautele vista la posizione diffusa nella base, condensata da messaggi tipo quello lasciato sul profilo di Di Maio da tal Vincenzo: «Non alleatevi con nessuno! Devono andare tutti a casa!».
Al netto delle reciproche, radicate diffidenze, quello su cui i cinquestelle vogliono concentrarsi per trovare punti di contatto è il programma. A cominciare da quello economico. Andrea Roventini, il professore che prima del voto Di Maio ha proposto come potenziale ministro dell’Economia, ha «un approccio keynesiano espansivo», lo descrive il suo mentore accademico, l’economista Dosi: a voler banalizzare, un approccio di sinistra. A lui si chiederebbe di realizzare misure di contrasto alla povertà, che entrambi i partiti hanno a cuore.
Cavallo di battaglia del Movimento è il reddito di cittadinanza: su questo, il Pd a trazione renziana è sempre stato iper-critico («vogliamo creare lavoro, non sussidi»). Anche se, notano i grillini, il governo dem ha varato il più modesto (come consistenza dell’assegno) reddito di inclusione, che potrebbe forse essere un punto di partenza comune per qualcosa di più strutturato. Più certa la convergenza sul salario minimo, una paga oraria per tutelare lavoratori senza contratto nazionale, proposto dal Pd: sul tema, il M5S aveva presentato nel 2013 una proposta di legge.
I programmi sono sufficientemente ampi e cangianti da permettere interpretazioni e aggiustamenti, specie se in partenza ci sono buone intenzioni comuni. Il M5S parla di «riduzione del cuneo fiscale e riduzione drastica dell’Irap»; i dem di «riduzione del cuneo contributivo di quattro punti in quattro anni». Il Movimento propone 10 mila nuove assunzioni nelle forze dell’ordine: il Pd pure. I Cinque Stelle giurano che taglieranno i costi della politica, primo punto della loro azione politica fin dagli esordi: sarebbe difficile imporre anche ai parlamentari dem la restituzione di parte dello stipendio, ma sul taglio ai vitalizi degli ex parlamentari – previsto dal ddl Richetti – una parte di loro ci starebbe.
Anche sull’immigrazione, su cui pure ci sono state distanze su dichiarazioni come le Ong «taxi del Mediterraneo» pronunciata da Di Maio, potrebbero trovare un punto d’incontro sulla linea Minniti. «Ha capacità che altri del Pd non hanno», si è lasciato andare Di Battista sul ministro uscente sul finire di campagna elettorale.
Grande distanza resta sulla valutazione di alcune leggi dell’epoca renziana e precedente: il M5S vuole superare la riforma Fornero, il Jobs Act e la Buona scuola; il Pd che le ha votate, naturalmente no. Ancora, restano lontani sul tema dei diritti, fondamentale per una forza di centrosinistra e snobbato dal capo politico del Movimento: «I diritti delle minoranze? Discutiamone», la sua vaga risposta a precisa domanda. Eppure, chi ha accesso ai vertici dei Cinque stelle assicura che anche su questo argomento qualche apertura si potrebbe fare, magari sullo Ius soli, derubricato finora a «scelta europea». Un governo val bene una legge.