il Fatto Quotidiano, 7 marzo 2018
Attila era Cavour
Ricordate Attila Di Maio e gli Unni grillini pronti al sacco di Roma e dell’Italia tutta con le loro orde di populisti, antieuropeisti, incompetenti, scrocconi, truffatori e impresentabili? Ricordate gli appelli, i contrappelli e i moniti del Partitone TTDM (Tutti Tranne Di Maio) per “fare argine” contro la calata dei terribili baluba, anche a costo di prendere sul serio un caso umano come Renzi e soprattutto riabilitare Berlusconi occultando le sue sentenze, le sue corruzioni, le sue frodi, i suoi finanziamenti alla mafia, i suoi disastri, le sue leggi vergogna, i suoi conflitti d’interessi, il suo rincoglionimento senile? Ecco, scordatevi tutto: Attila sta per diventare Cavour. Tutte le lingue di velluto che fino a sabato leccavano Renzi, Gentiloni, Calenda, Bonino, Boschi, Napolitano, Prodi e B., domenica e lunedì si sono riavvolte in attesa di fare i conti sui nuovi oggetti del desiderio. E ieri si sono srotolate per posarsi leggiadre sui neovincitori. Che però sono due, Di Maio e Salvini, il che spiega il surplus di prudenza che ancora tiene socchiuse le cateratte e frena l’ipersalivazione generale: meglio, in attesa del governo, portarsi avanti con leccate “di posizione”, hai visto mai.
Il “rompete le lingue” lo dà Sergio Marchionne, fedele alla linea del vecchio senatore Agnelli: “Noi siamo governativi per definizione”. Prima dà il calcio dell’asino all’amico Matteo: “Non riconosco più il Renzi di un tempo”, proprio mentre, con le dimissioni senza dimissioni, si conferma più che mai quello di sempre. Poi aggiunge: “Paura del M5S? Ne abbiamo passate di peggio” (cioè tutti i governi precedenti, regolarmente appoggiati dalla Fiat e da Marchionne). E ancora: “Salvini e Di Maio non li conosco, ma non mi spaventano”. E ora chi lo dice a quelli de La Stampa, che fino a ieri lottavano come un sol uomo contro le fake news dei famosi hacker russi al servizio di Putin pro Lega&5Stelle? Al segnale convenuto, anche Vincenzo Boccia, il presidente di Confindustria che vaticinò l’Apocalisse in caso di vittoria del No al referendum e dei populisti alle elezioni, spiega che aveva scherzato: “Il M5S è un partito democratico, non fa paura”, e quanto all’orribile reddito di cittadinanza (già demonizzato come stipendio ai fannulloni), se ne può parlare. E i giornaloni non si son fatti cogliere impreparati: già ieri erano pronti alla pugna, pancia in dentro e lingua in fuori. Johnny Riotta, trascurando la Task Force contro le fake news putiniane, rende omaggio su La Stampa al grande “Gianroberto Casaleggio”, che aveva intuito la fine del XX secolo e “anticipato questa dinamica nei suoi scritti”.
Poi s’inchina al “trionfo 5Stelle, che annichilisce le riforme di Renzi e il ventennale fascino elettorale di Berlusconi” e “ha radici politiche profonde e rispettabili” perché “tanti elettori detestano un sistema di disoccupazione e scarsa meritocrazia… La corruzione, la litigiosità, l’arroganza solipsistica che hanno diviso, prima la destra da Berlusconi, poi la sinistra da Renzi, sono la corrente che raduna gli elettori 5Stelle: ma la forza che li compatta è il senso di identità comune, il sentirsi ‘altro’ davanti allo spirito del tempo”. Perbacco. “È giusto – turibola il Cortigiano Johnny –, ed è bene per la democrazia, che tocchi adesso a Luigi Di Maio il compito di tentare la formazione di una maggioranza di governo”. Apperò. È l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende: “Come Kagemusha, antico condottiero morto che doveva riapparire, grazie alla sua armatura, alla battaglia di Nagashino, gli elettori di Di Maio hanno seguito la bussola del simbolo-identità, chiunque ci fosse dietro”. Corbezzoli. Appena più prudente il direttore Maurizio Molinari, che teme qualche rischio per l’adorato Occidente, ma vede pure in un governo a 5Stelle, “figlio dello scontento sociale” (ma va?), “l’opportunità di riforme sociali”: l’esatto opposto di quelle antisociali (Fornero, Jobs Act, art. 18) sempre appoggiate da La Stampa. In attesa di notizie da Putin e dagli hacker della Lubjanka, Iacoboni tenta un allarme perché “Assange si congratula” con Grillo (brutto segno): ma appare un po’ isolato. Sergio Staino, che sull’Unità disegnava Grillo con la svastica, ora vede Berlinguer che dà la linea al Pd: “Sostituite Renzi con qualcuno che sa fare politica e alleatevi con i grillini. Per tanti elettori è un voto di speranza, quella speranza che non avete saputo dar loro voi!”.
Su Repubblica, Mario Calabresi ammette di essere fra gli sconfitti, ma poi spiega: “Per metà dell’Italia l’unico cambiamento possibile sono i 5Stelle… il grido di chi si sente escluso dal futuro e non ha più alcuna fiducia nelle politiche tradizionali” (e figurarsi nei giornaloni che le hanno appoggiate perinde ac cadaver). Francesco Merlo dà l’estrema unzione all’ex amato Matteo, “eroe suonato” di un “mondo tramortito”, nonché all’ex “amazzone” Maria Elena, in lacrime “perché finisce un mondo che è fatto di buone maniere, di educazione e di civiltà”, ma soprattutto di buone “letture” (Chi di Alfonso Signorini e i bilanci falsi di Banca Etruria). Gli fa eco sul Corriere un altro ex fan di Matteo, Aldo Cazzullo, officiando le esequie dell’“ex fuoriclasse alla ricerca del tocco magico perduto” e ormai “in agonia”, che “a un diciottenne appare come Andreotti”. Sul Messaggero, Virman Cusenza bacchetta chi non ha “voluto cogliere il cambiamento radicale cominciato nel 2016 con la vittoria del No” ed “erroneamente collocava sotto le insegne del populismo” M5S e Lega. Ce l’avrà mica col suo giornale? Gran finale: Scalfari, che prima sceglieva B., ora preferisce Di Maio, “leader della grande sinistra moderna” e forse al prossimo giro “lo voto”.
Ps. Non so a voi, ma a me questi grillini cominciano a stare un filino sul culo.