Avvenire, 6 marzo 2018
Il cardinale Piacenza: «Gravissimo chattare mentre si confessa»
Il confessore, immedesimandosi nell’«atteggiamento di Cristo», è chiamato «ad amare la libertà del penitente, a rispettarla, anche quando le scelte che egli compie non appaiono ragionevoli né proporzionate con i doni ricevuti ed il cammino compiuto». Ma «rispettare le scelte del penitente, non significa in alcun caso condividerle e “benedirle”», piuttosto «significa semplicemente accettare di non potersi sostituire alla sua libertà». Mentre un «grande errore della cultura contemporanea» è quello di pretendere «non solo che le aberrazioni siano rispettate, ma che siano condivise e benedette e che nessuno si permetta di dire il contrario, di affermare l’esistenza, almeno, di un’alternativa reale e possibile». Così «solo il cristianesimo riesce ancora a distinguere adeguatamente, per amore, l’errore dall’errante». Lo ribadisce il cardinale Mauro Piacenza nella Lectio con cui ieri pomeriggio ha aperto presso il Palazzo della Cancelleria il XXIX Corso sul foro interno organizzato dalla Penitenzieria apostolica, da lui presieduta. Un corso che ha come fine quello di preparare i sacerdoti novelli, i diaconi e i seminaristi prossimi all’ordinazione al difficile compito di ascoltare le confessioni dei fedeli, materia appunto che attiene al “foro interno”, perché riguarda la vita privata, la più intima, quella che si condivide appunto con un confessore sotto il sigillo della riservatezza.
Piacenza rivolge un severo richiamo a quei («taluni») confessori che sono stati visti «a “chattare sui social”, mentre i penitenti fanno la loro accusa». «Questo – ammonisce il porporato – è un atto gravissimo, che non ho timore di definire: “ateismo pratico”, e che mostra la fragilità della fede del confessore nell’evento soprannaturale di grazia che si sta vivendo!». Il penitenziere maggiore cita poi san Giovanni Maria Vianney, il Curato d’Ars, «grande ed esemplare confessore», per ricordare che «Dio ci perdona, anche se sa che peccheremo ancora». E ciò non significa «giustificare il peccato». Infatti questa affermazione «semplice e profonda» nasce dalla «realistica constatazione della fragilità umana e della ferita del “peccato delle origini”», che incide an- che «sulle facoltà superiori dell’uomo», come l’intelligenza «che non sempre conosce il vero», la libertà «che non sempre sceglie il bene», e volontà «che non sempre attua il bene». La Lectio del penitenziere maggiore è titolata “La confessione e il discernimento vocazionale”, con un richiamo al Sinodo di ottobre sui giovani. E proprio a questo proposito si ricorda come sia necessario che «il tratto umano del confessore» accolga «ogni penitente, con ancora maggiore attenzione se giovane, con la stessa carità di Cristo». E così se spesso i penitenti arrivano in confessionale con «espressioni inadeguate, talora perfino distorte o pretenziose», è «la sapienza del confessore » a dover «saper leggere» anche in queste «l’eco remota della domanda di felicità e di compimento, presente nel cuore di ogni uomo». «I giovani – afferma il cardinale Piacenza – con le loro speranze e delusioni, con i loro desideri e le loro contraddizioni e le loro paure, hanno urgente necessità di essere ascoltati, non soltanto dai propri coetanei (ammesso che siano capaci di ascolto), ma soprattutto da adulti veri, autorevoli, accoglienti, prudenti, capaci di una visione unitaria del mondo, dell’uomo e della vita, capaci da essere per i giovani, punti di riferimento saldi, affettivamente significativi ed esistenzialmente determinanti».
Il Corso sul foro interno si svolgerà fino a giovedì. Venerdì mattina l’udienza con il Papa e poi, alle 17, come ogni anno, verrà promossa una celebrazione penitenziale presieduta dal Pontefice nella Basilica di San Pietro nell’ambito di “24 ore per il Signore”, promossa dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Saranno nei confessionali lo stesso Bergoglio, il cardinale penitenziere e circa una ottantina di confessori per le varie lingue.