Il Messaggero, 6 marzo 2018
Fico, Spadafora e Toninelli, task force per le trattative
ROMA Quella che per il Pd sarà la fase congressuale, per il M5S è una seduta frenetica di autocoscienza nelle sontuose stanze dell’Hotel Parco dei Principi la cui sala conferenze è stata pagata fino alle 19 di ieri sera e che quindi ha consentito fino all’ultimo i toni entusiastici dell’analisi post voto. Ma i segnali che arrivavano ieri dalla war room occupata dai leader e colonnelli M5S facevano trasparire il lungo guado che attende Luigi Di Maio a cui spetta l’impresa di far lievitare quel 32% che tradotto in termini di numeri vuol dire che servono un centinaio di parlamentari delle altre forze politiche che arrivino in soccorso.
I FEDELISSIMI
Insieme a Di Maio ieri c’erano Beppe Grillo sceso da Genova apposta, Davide Casaleggio e i componenti della sua associazione Rousseau, Max Bugani ed Enrica Sabatini. C’era il fedelissimo Dario De Falco, una figura a metà tra la guardia del corpo e il segretario personale. È di Pomigliano D’Arco come lui e il suo obiettivo da quando è stato coptato nel comitato elettorale è sempre stato tutelare l’integrità del candidato premier dagli attacchi interni ed esterni. Ma ora tutti vogliono partecipare al cantiere delle alleanze che si va aprendo in queste ore. E in questa fase i fedelissimi di Di Maio, colleghi e new entry, giocheranno il ruolo delle colombe. Sono tutti parlamentari uscenti, riconfermati dalle urne, tranne qualche figura più spuria che dovrà lavorare sotto traccia e senza promettere troppo per non turbare l’anima ortodossa del M5S. Quindi, il braccio destro di Di Maio, Vincenzo Spadafora, che ha vinto il collegio uninominale di Casoria, sarà in prima linea per arare il terreno delle convergenze. E con lui Emilio Carelli e Gianluigi Paragone che conoscono molto bene l’arte della mediazione. E poi c’è un altro volto chiave. Quello della sindaca di Roma Virginia Raggi a cui, non va dimenticato, la sinistra e una buona fetta di Pd regalarono i propri voti al ballottaggio di Ostia. È stata la sindaca la prima a imprimere una forte spinta legalitaria che tanto piace a sinistra. Cercò di coinvolgere, senza successo, il pm Raffaele Guariniello al pari di Di Maio che ingaggerebbe un generale dei carabinieri per il dicastero dell’Ambiente. Raggi inoltre, ha marcato molto più di Di Maio un carattere antifascista e nella sua giunta ha voluto due personalità come Laura Baldassarre e Luca Bergamo. Raggi vanta anche ottimi rapporti basati su alcuni provvedimenti amministrativi con diversi ministri di sinistra del governo uscente come Andrea Orlando (c’è un progetto sulle mamme detenute), con Marco Minniti con cui Raggi dovette affrontare il caso sgomberi e anche Graziano Delrio.
GARANZIA
Ma il vero federatore a sinistra è uno che non mai stato un Di Maio boy: è Roberto Fico, individuato come una di quelle figure di garanzia per invogliare i possibili transfughi di un Pd che post Renzi. L’ex capo della commissione di Vigilanza Rai è stato corteggiatissimo a sinistra: LeU si spinse perfino a proporgli una candidatura in antitesi a Di Maio durante i giorni tormentati di Rimini, dell’elezione del capo politico M5S. Fico verrà proposto come presidente della Camera. E poi ci sono Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro. Sono anche loro ritenuti importanti fluidificatori della situazione. Il primo è stato vicepresidente della commissione Giustizia e designato come possibile Guardasigilli, l’altro è stato segretario dell’ufficio di presidenza della Camera e scelto come eventuale ministro dei rapporti con il Parlamento. Ecco, proprio le relazioni con i futuri e nuovi membri delle Camere sono in questo momento fondamentali per capire chi sarà disposto a sganciarsi per sposare il progetto politico di Di Maio. Ai microfoni arrivano altri tre fedelissimi uguali e diversi per storia: Paola Taverna che in quanto più votata alle parlamentarie è entrata d’ufficio nella rosa di nomi per la presidenza del Senato, Danilo Toninelli, il primo a sedersi al tavolo di una trattativa pesantissima come quella sulla legge elettorale e rimasto a digiuno nel toto ministri perché a lui si pensava inizialmente per il dicastero delle Riforme di cui invece non c’è traccia. Lui ha parlato di «rosa di nomi» su cui poter lavorare. Infine c’è Giulia Grillo, deputata apprezzatissima per la pacatezza e che a Pescara, durante la kermesse di Rousseau (e dunque in tempi non sospetti), aveva parlato di convergenza sui temi e di ragionamenti su sottosegretari e collaborazioni proficue con le altre forze politiche. «Se proprio insistono, qualche sottosegretario si può pure dare, anche perché non è che potremo fare tutto da soli», disse Giulia Grillo. Si fa anche il nome del membro del comitato di garanzia del M5S Vito Crimi come prossimo capogruppo, d’altronde lo è già stato nel 2013, all’inizio della scorsa legislatura. Anche lui potrebbe riattivare i contatti al Senato.