il Giornale, 6 marzo 2018
«Io juventino per sempre dal turbante ai piedi». Intervista a Giorgio Chiellini
«Ho lasciato la sacca delle scarpe», dice. La prende, saluta e spiega: «Sono gli attrezzi del mestiere... li voglio sempre con me». Si deve partire dalla fine per raccontare Giorgio Chiellini. Dopo una lunga chiacchierata a Vinovo, poche ore prima della tragedia che ha sconvolto il mondo del pallone, la morte di Davide Astori. «Il dolore è troppo grande, preferisco il silenzio», il suo pensiero ieri. La sensibilità è il valore aggiunto di Chiello, chiuso in se stesso a metabolizzare la perdita di un amico, compagno. La famiglia come rifugio.
Cosa rappresenta per lei?
«In una vita a tremila all’ora mi aiuta a mantenere l’equilibrio. La cosa più difficile è proprio il tempo che togli alle persone a cui vuoi bene: perdi momenti che non recuperi».
Com’è stato diventare papà?
«Ho provato un senso di pace. Anche se il primo anno ho perso tante di quelle notti...».
Prima uomo, poi calciatore. Da sempre. Lo dice anche la laurea in Business administration.
«L’ho fatto per me. Era un mio progetto di vita fin dal liceo, quando non potevo certo sapere che avrei giocato a certi livelli. Ho voluto dimostrarmi che, se vuoi raggiungere un obiettivo, ci arrivi. Le nozioni acquisite non so se le userò, ma sono utili all’uomo».
È un messaggio ai giovani?
«Penso che tanti ragazzi, non solo della serie A, abbiano iniziato a capire l’importanza dello studio. E ora anche l’università aiuta gli sportivi con corsi ad hoc».
Anche nel calcio emerge la sua voglia di migliorarsi continuamente.
«È l’essenza del campione. Per stare a certi livelli devi avere questa voglia quotidiana, perché madre natura arriva fino a un certo punto. L’emblema sono i due alieni, Messi e Ronaldo, che hanno saputo anche cambiare il loro modo di giocare».
Kane lo mette con gli alieni?
«Stiamo parlando di un giocatore che sta tra i primi tre-quattro attaccanti del mondo».
Lo ritroverà a Wembley, dove servirà l’impresa.
«La Juventus deve fare la Juventus. Se facciamo la nostra partita, vinciamo. Il Tottenham è votato all’attacco, ha tanta qualità e concede qualcosa: non verranno all’arrembaggio ma le caratteristiche non le cambi in un giorno».
Fisicamente non siete al top.
«Speriamo di aver più giocatori possibili per avere più armi a partita in corso. Sono in leggero vantaggio loro: hanno fatto due gol in casa nostra e qualcosa vorrà pur dire. Ma è tutto aperto e lo sanno anche loro».
Decisiva la vostra difesa?
«Siamo più preparati, perché dopo l’andata li conosciamo un po’ di più. Davanti hanno quei quattro che non ti danno riferimenti. Andiamo a Londra con equilibrio, senza slogan. È sempre stata la nostra forza».
Quando firma il rinnovo?
«Lo faremo, prima pensiamo al campo. Juventino a vita? Dopo questi altri due anni, non credo ci sarà tanto spazio per altre esperienze. Avrò 34 anni ad agosto...».
Ha detto: è la mia miglior stagione.
«Non pensavo di mantenere questi standard. Non ho l’esplosività di dieci anni fa, ma ho una maturità completa: guadagni così tanto in esperienza, che ti stanchi meno. Meno falloso? Forse perché sprechi meno energie e sei più lucido. Ho trovato un buon equilibrio, ma è tutta la squadra che aiuta il singolo».
Il concetto di squadra ritorna nei suoi discorsi.
«Noi siamo tante piccole aziende. Normale che uno curi i propri interessi, però da solo non vai da nessuna parte e non aiuti neanche te stesso. Alla fine la tua azienda migliora se la squadra raggiunge i risultati. L’alchimia è difficile da ritrovare, ma è quello che ti fa rendere di più».
Come fa la Juventus a trovare sempre questa alchimia?
«Ogni anno è diverso, con tanti nuovi arrivi e questa è la difficoltà principale. Non è merito dello zoccolo duro. La cosa più importante è la testa, la società. L’anima vincente resta sempre lì. Poi a scendere, nel bene, ma anche nel male, viene tutto a cascata. Alla base c’è la programmazione».
A proposito di cose che vanno male, torna la Nazionale tra due settimane...
«C’è un vuoto nello stomaco, che non si è certo cancellato in questi mesi. La fortuna è essere troppo impegnati per pensarci. Ho parlato con Di Biagio. Si torna a Coverciano per senso di responsabilità».
Cosa pensa delle critiche a Buffon che non dice basta?
«Il calcio è bello perché ne possono parlare tutti. Ritengo che la scelta di Gigi sia giusta. Non per dare un contentino, nessuno di noi ha bisogno di contentini. C’è un percorso graduale da fare. Non è che puoi cambiare tutto solo perché hai perso una partita. Da qui a giugno sarà così. Poi vedremo chi sarà il ct e ci saranno altre valutazioni da fare».
Buffon le passerà la fascia di capitano.
«Personalmente spero che giochi il più possibile. Comunque sarà molto più grande il vuoto fuori dal campo che non dentro, non perché non sia bravo ma per tutto quello che abbiamo vissuto. Uno sguardo e ci capiamo».
Cos’è la Juventus dopo averci giocato tredici stagioni?
«Sono in famiglia e do tutto me stesso. Dopo spero di dare una mano, in qualsiasi modo servirà. Sono fortunato a essere diventato parte della storia di questo club».
Il suo simbolo è il turbante che le fascia la testa...
«Rappresenta quella cosa che ho dentro da sempre e mi fa stare in mezzo a campioni incredibili».
Si sente un leader?
«Ognuno ha un ingrediente da mettere. Io non potrò mai essere Pjanic con il suo aroma delicato, ma lui non ci potrebbe essere senza Chiellini. La cosa più difficile è trovare la miscela perfetta. L’allenatore è stato bravo a scovarla».
Allegri in una parola?
«Intelligente. Non si fa problemi a prenderci testa a testa. Tutti. E ha quella capacità di leggere la partita che non si insegna».
Non ha ancora fatto il gorilla in questa stagione?
«Speriamo di fare gol al momento giusto».
Sarri ha detto: il mio Napoli come l’Olanda anni ’70.
«Io spero di vincere ancora tanto».