Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  marzo 06 Martedì calendario

E la Sicilia si fa la sua Accademia della Crusca

I dialetti sono vere e proprie lingue e anche loro hanno le proprie regole. Anche se non codificate. In Sicilia nel 2016 è nata una sorta di Accademia della Crusca molto speciale. È stata battezzata Cadèmia siciliana e il suo obiettivo dichiarato è «aiutare i parlanti siculofoni nell’utilizzo della propria lingua». L’istituzione è stata voluta da 60 siciliani emeriti, fra studiosi, poeti, cantautori e appassionati. E lavora per diffondere le regole basilari della lingua siciliana. Perché, come tengono a precisare loro, il dialetto non è solo un modo popolare per esprimersi. 
Ma è il «fattore base per l’autonomia culturale. Matrice della libertà, dell’indipendenza e del riscatto sociale ed economico di un popolo». A spiegarlo è proprio uno dei fondatori, Salvatore Baiamonte: «Ci siamo resi conto del fatto che tutte le lingue hanno un organismo che le tuteli, e mancandone uno per il siciliano abbiamo pensato di cominciare a mettere in piedi una realtà, composta da studenti, ricercatori e docenti universitari che speriamo possa diventare un punto di riferimento per i parlanti racconta -. Ci definiamo una no-profit transnazionale, perché operiamo dovunque nel mondo venga parlato il siciliano, non solo in Sicilia o in Calabria meridionale, ma anche negli Stati Uniti, dove si trova una fiorente comunità siculo-americana, Francia, Canada, Australia, Argentina. Ovunque cerchiamo di costruire ponti per salvaguardare tutti insieme la nostra lingua». 
Il parallelo con la più nota Accademia della Crusca non li spaventa. «Non possiamo che augurarci di fare con il siciliano e i suoi dialetti, nel nostro piccolo, una simile opera di rigorosa documentazione, valorizzazione e apertura alla comunità dei parlanti, dentro e fuori dai social prosegue -. Il siciliano, come tutte le lingue minoritarie, ha bisogno di tutela appunto per far sì che la nostra plurisecolare cultura non si disperda». Per raggiungere questi obiettivi il primo passo è impegnarsi in una corretta informazione. «Partiamo sempre da una solida base scientifica, che spazia dalla sociolinguistica alla glottodidattica dice ancora Baiamonte -. Vogliamo far capire a tutti che la nostra lingua è un patrimonio culturale da conservare, e che può ancora vivere, trasmettersi ed apprendersi anche nel complesso scenario contemporaneo. Non intendiamo fare revival nostalgici o artificiali ricostruzioni folkloristiche di una lingua mai esistita. Ma documentarci e documentare, per poi trasmettere la nostra cultura nei nuovi contesti come quello della comunicazione mediata dei social network, utilizzando le tecnologie per tracciarne gli sviluppi e le nuove traiettorie». A questo lavora attualmente un nucleo di venti persone. «Siamo tutti giovani figli di questa rinascita dialettale. O sdoganamento dei dialetti come l’hanno definita, tra gli altri, i linguisti Sobrero e Berruto, che usano il siciliano sui social, con una formazione accademica linguistica e nel settore dell’informatica».