Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  marzo 06 Martedì calendario

Dimmi come parli... (il dialetto)

Il Paese dei campanili è anche quello dei dialetti. Delle lingue popolari che cambiano a volte radicalmente anche a distanza di pochissimi chilometri e che custodiscono un patrimonio storico e culturale antichissimo. Eppure per moltissimi decenni i dialetti sono stati dimenticati, accantonati come fossero un’onta. Progressivamente hanno cominciato a sparire dalle strade, dagli ambienti di lavoro, dalle famiglie. «È successo all’indomani dell’Unità d’Italia spiega Giovanni Gobber, linguista dell’università Cattolica di Milano -. Il Paese aveva bisogno di affermare la sua lingua ufficiale, e così ha messo da parte le proprie parlate popolari. L’inversione di tendenza tipica dei nostri giorni si è innescata quando finalmente è stato capito il valore di queste tradizioni. Oggi la promozione delle lingue minori rientra a pieno titolo fra i diritti fondamentali dell’uomo». 
Eppure alcuni dialetti rischiano l’estinzione. Per questo nel 2012 l’Unesco ha stilato la lista delle lingue popolari da proteggere, in tutto il mondo se ne contano venti in pericolo: tre sono italiane. Sono il sardo, il siciliano e il napoletano. Anche grazie a iniziative come queste qualcosa sta cambiando, e oggi più che mai il nostro Paese è pronto a riscoprire e valorizzare le sue lingue popolari. «Siamo di fronte a un atteggiamento quasi ecologico, o protezionistico, nei confronti dei dialetti conferma Pietro Maturi, docente di Linguistica italiana all’università di Napoli Federico II Finalmente vengono visti anche come un bene culturale a rischio. Per questo sono entrati nella musica e perfino nella letteratura contemporanea di successo. Così come nelle conversazioni in rete, nei graffiti, nelle insegne dei negozi e nei menù dei ristoranti». 
LA LINGUA DELL’AMORE
Al punto che anche Papa Francesco è recentemente sceso in campo per ricordare l’importanza delle lingue popolari nella comunicazione genitori-figli. «La trasmissione della fede soltanto può farsi in dialetto. Nel dialetto della famiglia, nel dialetto di papà e mamma, di nonno e nonna. Se manca il dialetto, se a casa non si parla fra i genitori quella lingua dell’amore, la trasmissione della fede non è tanto facile, non si potrà fare», ha detto il Pontefice. 
Insomma, la spinta verso queste lingue è sempre più forte. A dimostrarlo è il caso veneto. I cittadini chiedono da tempo allo Stato il riconoscimento del proprio dialetto come lingua vera e propria, al pari del ladino, del friulano e del sardo. Così il Consiglio regionale ha approvato una proposta di legge, con l’obiettivo di avviare quanto prima l’insegnamento del dialetto nelle scuole. L’obiettivo adesso è raggiungere il Parlamento. «Mi auguro che questa norma venga discussa e portata fino in fondo il prima possibile. Sogniamo di vedere inserito anche il veneto tra le lingue minoritarie tutelate dall’articolo 2 della legge 482/1999 spiega il firmatario del documento, Antonio Guadagnini, consigliere regionale della lista «Indipendenza noi Veneto» -. Se è corretto che lo siano il sardo, il ladino e il friulano, così come l’albanese, il franco-provenzale, l’occitano e le numerose altre che non sto qui a citare, non capisco perchè il veneto sia escluso». 
Ma il veneto ha già conquistato un primato: secondo l’Istat è il dialetto più parlato in ufficio. In tutta la Regione, almeno una persona su dieci lo usa regolarmente sul posto di lavoro, sostituendolo del tutto all’italiano. Un dato molto più alto rispetto alla media nazionale. «I veneti pensano in veneto va avanti il consigliere è quindi normale che venga loro spontaneo esprimersi con questa lingua». 
LEZIONI ON LINE...
Ma ci sono anche movimenti di valorizzazione che partono dal basso, dalla ferma volontà dei cittadini di un determinato territorio. È il caso dell’Emilia Romagna, che alle sue variegate lingue popolari tiene moltissimo. E così all’inizio di gennaio su YouTube ha debuttato un nuovo canale: Romagna Slang. Sulla piattaforma video più popolare del mondo sono stati pubblicati 40 brevi filmati: ognuno spiega un termine o un modo di dire, con uno stile divertente e scherzoso. Tutto questo grazie alla volontà dell’Istituto Friedrich Schürr di Santo Stefano di Ravenna, associazione per la salvaguardia e la tutela della lingua romagnola. Ma non finisce qui, perché c’è anche chi il suo dialetto lo ha già portato fra i banchi di scuola. Succede a Foligno. Nella scuola secondaria della frazione montana di Colfiorito i ragazzi frequentano le lezioni di lingua locale, nell’ambito del progetto «Dialettiamo». Iniziative simili sono state lanciate anche a Parabiago (Milano) e Forte dei Marmi (Lucca). Mentre in Liguria sono i nonni a entrare in classe per trasmettere ai più giovani la lingua della tradizione. 
...E SUI BANCHI
Il merito è della Regione, che ha stanziato 20mila euro per un bando finalizzato proprio a promuovere il genovese a scuola. I contributi sono stati erogati ad associazioni di tutela e valorizzazione delle tradizioni liguri per organizzare le lezioni in collaborazione con gli istituti del territorio. Tutto questo per riavvicinare i giovani a modi di comunicare che altrimenti rischierebbero di essere dimenticati.
«I dialetti sono fondamentali nella vita sociale e culturale delle persone che li parlano come lingua madre, ma anche in quella di coloro che pur usando solo l’italiano sono inseriti in contesti familiari e amicali dove queste parlate circolano prosegue Maturi -. Va poi ricordato che molti dialetti italiani, come il napoletano, il siciliano, il veneziano, il milanese e il romanesco, hanno avuto e hanno una ricchissima produzione di poesia, canzone, spettacolo, teatro, cinema. Infine queste lingue sono importanti nella trasmissione della cultura popolare, dalla gastronomia ai proverbi, dalle filastrocche ai gerghi professionali». 
Anche per questo da qualche anno è stato istituito un premio. Si chiama «Salva la tua lingua locale» ed è organizzato ormai da cinque anni dall’Unione nazionale proloco d’Italia in collaborazione con Legautonomie, centro internazionale Eugenio Montale e Eip-Scuola strumento di pace. «Tutelare le lingue popolari significa proteggere la dignità locale delle persone che le parlano conclude Gobber -. Inoltre è stato dimostrato come i bilingue, i parlatori di dialetto e italiano, abbiamo una marcia in più perché possono contare su una maggiore varietà espressiva».
Ne sanno qualcosa a Monza dove, in occasione dei saldi invernali, un negozio ha riempito le sue vetrine con avvisi in dialetto. O a San Giovanni in Persiceto, provincia di Bologna, dove i cartelli stradali ormai sono tutti «bilingue». Un modo per ricordare e difendere le proprie origini.