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 2018  marzo 06 Martedì calendario

Renzi lascerà, ma solo dopo la formazione del governo

Renzi si è dimesso.  

Questo rende più facile la formazione del governo?
Per niente. Il segretario ha precisato che lascerà dopo l’insediamento delle camere e la formazione di un nuovo esecutivo. Parteciperà lui alle consultazioni. E non ha intenzione di fare accordi con nessuno. «Saremo all’opposizione. Il Pd non sarà mai il partito-stampella di un governo di forze anti-sistema. Da Di Maio e Salvini ci dividono tre elementi chiave: il loro anti-europeismo, la loro anti-politica e l’odio verbale che hanno avuto contro i militanti democratici. Quindi, nessun inciucio. Il vostro governo lo farete senza di noi. Provate se ne siete capaci. Noi faremo il tifo per l’Italia».  

Il partito come ha reagito?
Direi male. Un uomo che non è mai stato nemico di Renzi, come Luigi Zanda, capogruppo dei senatori nella scorsa legislatura, ha dichiarato: «La decisione di Matteo Renzi di dimettersi e contemporaneamente rinviare la data delle dimissioni non è comprensibile. Serve solo a prendere ancora tempo. Le dimissioni di un leader sono una cosa seria, o si danno o non si danno. E quando si decide di darle, si danno senza manovre. Quando Veltroni e Bersani si sono dimessi lo hanno fatto e basta. Un minuto dopo non erano più  segretari». Anna Finocchiaro: «Le dimissioni si danno, non si annunciano». Cuperlo: «Da Renzi, coazione a ripetere gli errori. Chiedo l’immediata convocazione della direzione». E probabilmente ci sarà davvero una qualche direzione, con relativa battaglia. Con Renzi duro a questa maniera, il lavoro di Mattarella per dare un successore a Gentiloni parte in salita.  

Che dicono gli altri?
Di Battista ha commentato la posizione del segretario Pd con queste parole: «Un discorso così strampalato non l’ho mai ascoltato, Renzi è veramente in confusione e non se ne rende nemmeno conto. Pur di non dimettersi realmente è disposto a frantumare quel che resta del Pd. E cosa pensa il Pd?». Renzi doveva parlare - e dimettersi - già ieri mattina. Poi ha rinviato alle 17.00 e ha passato la giornata chiuso in ufficio con i suoi. Alle 18, finalmente, il discorso. All’inizio pareva che si fosse dimesso, come tutti si aspettavano. Poi la bomba dell’addio a scoppio ritardato. Non ci sono per ora commenti dal lato di Salvini e del centro-destra, che, visti i risultati elettorali, devono aver escluso la possibilità di un accordo col Pd. Al quale del resto prima delle elezioni aveva pensato - pur negandolo - il solo Berlusconi.  

Quindi?
I due vincitori non hanno abbastanza voti, e questo è il problema. Il Movimento 5 stelle sta fra il 32 e il 33 per cento. L’alleanza di centro-destra fra il 36 e il 37. Il M5s, pur vincitore, è lontano, in termini di seggi, dal 50% + 1 che ci vuole per governare. Quanto al centro-destra, l’altra notte, da Mentana, Brunetta l’ha fatta facile: «Siamo i vincitori e ci sarà la fila per venire da noi». Cioè s’immagina di raccattare con la solita compravendita quella quarantina di parlamentari che mancheranno. Magari avrà ragione, ma a me non pare così semplice. Intanto Mattarella vorrà, relativamente alla formazione di una maggioranza, delle garanzie. Queste possono venire solo da insiemi politici un minimo identificabili e che prendano esplicitamente posizione. I fantomatici quaranta, quindi, non dovrebbero consegnarsi al centro-destra alla spicciolata, ma in qualche modo dar vita a una qualche alleanza, che prenda posizione in quanto tale. Se anche fosse possibile, sarebbe lunga. E ci sono scadenze imminenti. L’elezione del presicdente del Senato e l’elezione del presidente della Camera, previste a partire dal 23 marzo. Ora, mentre per il presidente del Senato sarà semplice arrivare a un risultato, dato che al quarto scrutinio vince chi prende più voti, per il presidente della Camera è indispensabile un accordo politico perché, passati i primi turni, ci vorrà comunque, per eleggerlo, una maggioranza del 50%+1. Le consultazioni del presidente della repubblica, per prassi, cominciano dai colloqui con gli ex capi di stato (il solo Napolitano, in questo caso) cui seguono gli incontri con i vertici di Montecitorio e Palazzo Madama. Quindi, in teoria, finché la camera non eleggerà il suo presidente, Mattarella non potrà dare inizio alle consultazioni per la formazione del governo. Paralisi anche dal punto di vista politico: proprio l’accordo che porterà alla scelta del sucessore della Boldrini potrà prefigurare l’intesa più generale per il nuovo inquilino di palazzo Chigi.  

Accordo del quale a questo punto non farà parte il Pd.
No, a meno che Renzi non sia rovesciato a tutta velocità. E mi pare difficile. Con il Pd esplicitamente contrario a qualunque intesa con chicchessia, le presidenze delle due camere andranno probabilmente al centro-destra. Salvini ha i voti per prendere il Senato, dove dal terzo scrutinio basta la maggioranza semplice (il candidato più ovvio è Calderoli). Alla Camera andrà in cerca dei quaranta evocati da Brunetta. Se il M5s, presentando alla vigilia una squadra di governo con ministri parecchio di sinistra, puntava a un’intesa col Pd, è cascato male. In un certo senso, è una nemesi. Cinque anni fa li inseguiva Bersani e i grillini non si fecero trovare. Adesso le parti parrebbero essersi invertite.