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 2018  marzo 05 Lunedì calendario

Quante liti nei condomini e chi ci rimette è l’amministratore

MILANO Chihuahua nervosi, aroma di minestrone che invade i pianerottoli, risse per la ripartizione delle spese. In condominio si litiga e, a farne sempre più spesso le spese, è l’amministratore. I tribunali civili sono invasi dalle richieste di revoca, sono portate avanti da uno o più condomini che, non riuscendo a convincere l’assemblea sulla necessità di cambiare amministratore, si rivolgono direttamente al giudice per chiedere la testa di chi non ha saputo fare da paciere nelle disfide del caseggiato. Ora, a quanto pare, i condomini non raramente hanno ragione: a Milano nel 2017 i giudici della sezione specializzata in condominio, la Tredicesima, hanno revocato più di duecento amministratori per irregolarità, malafede, conflitti d’interesse. O per avere dimostrato poca energia nel chiedere i soldi ai morosi. Ma bisogna sapere che i tentativi di ricorso erano cinque volte più numerosi.
Un altro dato è utile. Oggi, in tutta Italia, si supera quota 12mila sentenze; nel 2011 erano 3mila. Il quadruplicarsi dei benservito decisi in tribunale è l’onda lunga della modifica dell’articolo 1129 del codice civile, decisa nel 2012, che ha reso più semplice salutare una volta per tutte l’amministratore. Un’accelerata l’ha data la sentenza 15/706 della Cassazione, pronunciata lo scorso anno, secondo cui per chiedere la revoca dell’amministratore il condomino arrabbiato non deve nemmeno rivolgersi a un avvocato. «Le richieste di revoca sono cresciute anno dopo anno – dice Marco Manunta, presidente della Tredicesima sezione civile – quando il condomino si presenta senza avvocato, quasi sempre perde».
E intasa gli uffici. Al tribunale di Roma la sezione specializzata è la Quinta, e l’andazzo è lo stesso. A Brescia lo scorso ottobre un condomino ha ottenuto la revoca dell’amministratore, accusato di non avere fatto causa a una vicina di casa morosa, «con cui aveva un rapporto di amicizia». A Padova, un anno fa, un amministratore ha pagato caro il fatto di non avere risolto una disputa antica sulle rastrelliere delle bici in cortile. E sono frequenti i casi – l’ultimo ad Ancona – di condomini che, non apprezzando l’amministratore, indagano sul suo curriculum fino a scoprire che non ha i requisiti previsti dall’articolo 71 bis del codice civile. Nel caso marchigiano, il ragioniere era inviso a una coppia di anziani per un problema di infiltrazioni d’acqua, ma sono riusciti a farlo cacciare «per non avere completato i corsi di formazione».
Secondo Anammi, Associazione nazional-europea amministratori di immobili, la litigiosità contro gli amministratori dipende dalla crisi dell’assemblea come luogo per comporre i contrasti. Il 15% delle sedute si scioglie per mancanza del numero legale. Il 52% di condomini non è mai disposto a votare soluzioni di compromesso. E solo il 10% chiede di verificare i conti annuali, salvo poi contestare le spese al momento di doverle pagare.
Da un punto di vista numerico le revoche degli amministratori, pur in crescita vertiginosa, si perdono nell’oceano delle cause nate fra scale comuni e cortili.
Codacons, che ha censito le molte associazioni di amministratori e di condomini, stima in due milioni le cause pendenti. Sei italiani su cento sono in causa col vicino. Il record negativo spetta al Lazio con 190mila fascicoli aperti, molti di fronte al giudice di pace, responsabile per le pendenze sotto i 5mila euro.
Seguono la Campania, con 170mila, e il Veneto con 160mila.
«In rapporto alla popolazione – dice il presidente Marco Donzelli – si litiga di più al Nord e al Centro».
Anammi stima in 500mila il numero di italiani che nel 2017 hanno fatto causa ai vicini o al condominio. Interrogando i suoi 13.500 amministratori iscritti, ha scoperto che il 29,8% delle liti arrivate in tribunale riguarda i cattivi odori, con prevalenza per i fumi di cucina. Non di rado, alla causa civile si associa la querela.
La Cassazione, con la sentenza 14467 del 2017, ha riconosciuto colpevole per «getto pericoloso di cose» (i vapori fetidi) una massaia di 78 anni di Monfalcone. Il reato era prescritto, ma è stata costretta a pagare le spese legali, perché la puzza di fritto «eccedeva il criterio della normale tollerabilità» previsto dal codice civile.
Seguono in classifica i rumori (dal ticchettio dei tacchi, ai mobili trascinati), gli oggetti lasciati negli spazi comuni (dai passeggini alle fioriere), i rumori in cortile compreso il gioco dei bambini, l’annaffiatura delle piante che fa piovere dai balconi, e il «fastidio da animali domestici». È dei giorni scorsi la sentenza del tribunale di Roma sul caso di un condominio in via Fontanile Arenato, che chiedeva 500 euro di sanzione al proprietario di un piccolo cane, che nella passeggiata mattutina scambiava l’androne per un tronco d’albero. L’avvocato Cristina Adducci ha difeso il padrone del cagnolino, ottenendo in tribunale una riduzione della sanzione a 200 euro. Ci sono voluti quattro anni, fra istruttoria e udienze.
Per Giuseppe Bica, presidente di Anammi, «raramente fare causa conviene, visto che spesso il comportamento illecito o fastidioso non si interrompe nemmeno dopo la sentenza».
Per evitare il moltiplicarsi delle liti inutili, i giudici civili applicano l’articolo 96 del codice di procedura, che prevede per chi agisce o resiste in giudizio in malafede un risarcimento del danno. «È l’arma più efficace per evitare che le liti inutili rallentino il lavoro sulle cose serie», dice Manunta. Sempre per alleggerire i tribunali, una legge del 2010 prevede l’obbligo di tentare una mediazione prima di avviare il contraddittorio fra avvocati.
Dopo otto anni, oggi appena un quinto dei tentativi va a buon fine. A Milano solo il 20,48% delle 4.570 mediazioni tentate per contese condominiali all’Ordine degli avvocati si è concluso con un accordo. La tendenza è confermata in tutta Italia.
Mario Dotti, avvocato esperto in conciliazione, spiega: «Più della metà delle domande di mediazione si arena al primo incontro fra le parti, perché la controparte non si presenta, o perché l’assemblea si oppone.
Un secondo imbuto lo si ha quando mediatore illustra costi e durata del procedimento». Ed è fallito il tentativo fatto con la legge delega 57 del 2016 di scaricare la materia condominiale al giudice di pace, anche oltre i 5mila euro di importo. Dopo gli scioperi dei giudici onorari, a corto di personale, e le proteste di Confedilizia, la riforma della Giustizia ha posticipato il passaggio di competenza all’ottobre 2025. «Il condominio è fonte inesauribile di contenzioso – dice Claudio Bacherini, giudice di pace a Milano – non saremmo in grado di occuparcene da soli».