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 2018  marzo 04 Domenica calendario

Il rettore è (quasi) immobile. Lavora nella città dei suoi studi

Non esiste attività più difficile da rinchiudere entro una cerchia muraria di quanto sia il sapere. La ricerca e le idee prosperano in una società aperta dove l’una e le altre circolano continuamente, perché solo nell’incontro fra persone e esperienze diverse la conoscenza fa passi avanti. Fin qui la teoria, di cui anche la legge italiana cerca di tenere conto: nel Paese vige il principio del valore legale della laurea, in base al quale un titolo di studio ha ufficialmente lo stesso significato e attesta lo stesso grado di conoscenza da qualunque università esso venga conferito. Poiché anche il personale insegnante ai vari livelli delle università statali è remunerato ovunque nello stesso modo – dal Politecnico di Milano alle Università degli Studi di Teramo, del Molise o della Basilicata – la conclusione dovrebbe essere scontata: titoli di studio e compensi uguali fanno sì che almeno nei confini del Paese le carriere dei professori e dei ricercatori siano fluide, mobili, ricche di scambi frequenti. Giusto?
Sbagliato. In Italia il sapere universitario non è mobile. Al contrario, spesso sembra dipanarsi per intere carriere trincerato entro le mura della stessa città o nei confini dello stesso bacino territoriale. 
Valore legale
Per averne la certezza andrebbe condotto uno studio sui curriculum dei 36.500 docenti universitari nel Paese, siano essi ricercatori, professori associati o ordinari. Per raccogliere qualche indizio il Corriere ha tentato un esperimento più limitato: andare al grado più alto della carriera, i circa 80 rettori di ateneo, e misurare quanti di essi si siano laureati nell’area territoriale, nella città o nell’università della quale oggi sono alla testa. Negli Stati Uniti (dove in maggioranza le università sono private) o in Germania (dove sono pubbliche) chi ottiene un dottorato post laurea deve proseguire la carriera altrove. Questo vincolo mira a scardinare le reti di relazioni chiuse e a obbligare i candidati a ciascun posto a farsi valere, solo sulla base della loro preparazione, là dove non sono già conosciuti da anni.
E in Italia? Il 46,8% dei rettori si sono laureati nella stessa città o (più spesso) nella stessa università nella quale oggi lavorano: spesso accade in atenei principali di Regione, come la Sapienza di Roma, Firenze, Cagliari, Torino, la Statale di Milano, Bari o Palermo, o in sedi antichissime come Urbino o Camerino. Un ulteriore 30,4% dei rettori risponde invece a quella che si potrebbe definire «la legge dei 150 chilometri»: questi docenti hanno conseguito la laurea nell’ateneo principale del bacino territoriale nel quale la loro università è una gemmazione minore che, spesso, non esisteva quando loro si sono iscritti all’università (ad esempio l’Insubria a Varese o la Vanvitelli in Campania). Infine, solo il 22,8% dei rettori si è laureato in un ateneo diverso e lontano da quello che oggi guidano. In questo, la superpotenza universitaria d’Italia è Pisa: è da lì che viene la maggioranza relativa di rettori che sembrano aver avuto una carriera all’insegna di una maggior mobilità. 
Immobilismo di ateneo
Un ulteriore dettaglio: fra il 77% dei rettori che ha avuto una carriera sedentaria, quasi tutti sono stati nominati come professori associati nella o vicino alla città dove si trova oggi il loro ateneo. Niente di tutto questo significa che chi si è mosso poco sia per forza un cattivo studioso o accademico. Spesso è vero il contrario, come attestano Gianluca Vago alla Statale di Milano, Ferruccio Resta al Politecnico o Francesco Ubertini a Bologna. Quest’ultimo contesta che il criterio della mobilità sia indicativo, ma aggiunge: «È vero che nel corpo accademico c’è una prevalenza di carriere dove ci si è laureati». Ubertini riconosce che le recenti riforme in parte aiutano a facilitare gli arrivi di talenti da fuori ma, nota con rammarico, i meccanismi di bilancio imposti agli atenei rendono molto meno costoso promuovere persone dall’interno.
Quale che sia la causa, almeno la struttura delle carriere dei rettori segnala che il sistema universitario in Italia non è affatto uno solo. Sono molti, su base cittadina o territoriale. E il valore legale della laurea, uguale ovunque, nei fatti è già stato archiviato e superato dallo stesso gruppo che si oppone più accanitamente alla sua abolizione: i docenti universitari stessi.