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 2018  marzo 04 Domenica calendario

India, la rivolta dei contadini contro fabbriche e cemento

Negli imprecisi e fluttuanti confini tra le città e le campagne indiane si combatte una battaglia tra gli industriali che spingono per cementificare i campi e i contadini che non credono più alle promesse dorate dell’urbanizzazione. La città spinge per conquistare terreno, la campagna resiste più che può.
In nessun altro Stato questa battaglia, diffusa in tutta la nazione, è evidente come nel Gujarat, patria del primo ministro Narendra Modi, ex chief minister a capo di un progetto di trasformazione di 800 villaggi da inglobare in 12 città.
Molti contadini, nel Gujarat, ora si oppongono alla continuazione di questo progetto, con manifestazioni e proteste pubbliche, per evitare una perdita di libertà e dignità, come lavoratori agricoli trasformati in operai sottopagati di un panorama periferico che non riflette le promesse.
È una situazione di crisi ben descritta da un’inchiesta della giornalista esperta di ingiustizia sociale e diritti civili, Raksha Kumar.
Al ministero dello Sviluppo Pubblico del Gujarat assicurano che i contadini accorrono felicemente dai villaggi alla città alla ricerca di «una vita più comoda», e trovano nei centri urbani «scuole migliori, ospedali migliori, strade, connettività: la gente preferisce trasferirsi nelle città. E noi stiamo solo offrendo di costruirgliele».
Ma non è proprio così. «Se fosse come dice il ministero», ribatte Dara Singh, del villaggio urbanizzato di Nasmed, «dovremmo vedere qui attorno bellissime strade e case ovunque. Invece cosa si vede? Fogne a cielo aperto e strade sterrate piene di polvere o fango».
Chiunque abbia cercato di uscire in auto da una grande città indiana sa di cosa si parla: chilometri e chilometri di un caos di fili elettrici, strade con buche, anarchia edilizia. Altro che le città futuristiche dei progetti e dei plastici.
«Lasciateci in pace», dice il contadino Lalji Bhai Thakor, che vive a Bhavanpur, villaggio a 15 km da Ahmedabad. «Siamo felici con la nostra agricoltura e non vogliamo che una grande città rimpiazzi le nostre case».
Ma non è detto che il governo indiano glielo consenta. L’agricoltura produce il 17 per cento del Pil indiano, ma occupa il 47 per cento dei lavoratori. Bisogna industrializzarsi o perire, questa la parola d’ordine da Delhi, perché l’agricoltura non genera abbastanza occupazione. L’industrializzazione è un’alternativa più conveniente per l’economia, ma non necessariamente per la qualità della vita, perché le due cose non sempre si equivalgono.
Nel settembre del 2015, dopo molte manifestazioni di piazza, 42 villaggi hanno raggiunto il loro obiettivo, farsi esonerare dall’Autorità per lo Sviluppo Urbano della città di Junagadh. E i contadini sono riusciti a salvaguardare i loro campi.
Anche i 68 villaggi attorno ad Ahmedabad sperano di cavarsela così, ma non sarà altrettanto facile. Gli viene proposto di sviluppare il 40 per cento dei loro terreni con strade, ospedali, scuole e palazzi residenziali: la periferia del territorio misto del cosiddetto Quarto Mondo, insomma.
«Siamo convinti che sia solo un grande imbroglio», dice Jassu Ba, anziano del villaggio di Nasmed. «E, cosa ancora più importante – aggiunge Thakor – non siamo per niente convinti che questo sia davvero un futuro migliore per noi».
Così, protesta su protesta, si è arrivati a 100 mila contadini in diverse parti del Gujarat che si sono uniti per fare strategia contro l’espansione delle città, programma centrale del governo Modi.
Il problema non è solo la parcellizzazione dei campi circondati dallo sviluppo edilizio, che darebbe rese inferiori dei raccolti. Ma è anche l’acqua, che già scarseggia. «Se ci coprono d’asfalto, avremo molta meno acqua dei pozzi», avverte Singh. A favore dei palazzinari, il nuovo chief minister del Gujarat mostra i dati. Disoccupazione allo 0,9 per cento, ben al di sotto della media nazionale del 5 per cento. Ed è dovuto, dice, proprio all’urbanizzazione. Ma molti giovani non ci credono. «Non abbiamo le capacità di adattarci facilmente ai lavori offerti da un contesto urbano», ha commentato Thakor. «Finiremo a fare i lavoratori a giornata nelle città. E ciò che sarà più danneggiato sarà la nostra dignità».