La Stampa, 5 marzo 2018
I poliziotti confessano: «Abbiamo consegnato gli italiani ai narcos». Mistero sulla sorte dei nostri 3 connazionali in Messico
Alla fine hanno confessato, a testa bassa, i quattro poliziotti di Tecalictan accusati di aver consegnato ad una banda di narcotrafficanti locali gli italiani Raffaele e Antonio Russo e Vincenzo Cimmino, tutt’ora scomparsi. Emilio, Salomon, Fernando e Lidia (i cognomi degli agenti non sono stati divulgati) hanno ammesso di aver fermato il 31 gennaio i tre napoletani per consegnarli al “Jalisco Nueva Generacion”, un clan in forte ascesa che domina la regione, tra le più pericolose del Messico. Rischiano fino a 40 anni di prigione, ma la loro testimonianza, da sola, non basta per scoprire che fine hanno fatto i tre napoletani, che erano in Messico per vendere dei macchinari industriali di fabbricazione cinese.
Qualcosa di più potrebbe sapere il loro capo, Hugo Martinez Muniz, che si è dato alla macchia. La vicenda tiene banco da un mese in Messico ed è stata al centro questa settimana di un colloquio telefonico fra il ministro degli esteri Alfano e il suo collega Luis Videgaray. La famiglia Russo ha denunciato tentativi di depistaggio e di insabbiamento del caso e ha respinto la tesi secondo la quale i tre stavano facendo affari con la malavita locale. Francesco Russo, figlio di Raffaele e fratello di Antonio, ha registrato un videomessaggio diffuso delle emittenti locali che stavano mostrando una vecchia fotografia che ritrae suo cugino Vincenzo con sombrero in testa e una pistola in mano accanto ad un signore sulla sessantina. «Si tratta – ha detto in spagnolo – di una vecchia foto scattata con un contadino, l’arma era di quest’ultimo che la usava, come molti in Messico, per difendere le sue proprietà dai ladri. Tutto questo causa molta rabbia, se gli inquirenti di Jalisco non sono in grado di gestire il caso lo devono passare a istituzioni superiori. I nostri parenti sono stati venduti per un pugno di dollari dai poliziotti, vogliamo sapere dove si trovano». Al di là della confessione degli agenti, le indagini sono a un sostanziale punto fermo; resta da capire la finalità del sequestro e se i tre sono ancora vivi.
Il sequestro estorsivo è molto diffusa nella regione ma non tanto nei confronti di stranieri e, in ogni caso, ci si aspetterebbe una richiesta di riscatto che, stando a quanto si sa attualmente, non è mai arrivata. Lo stato di Jalisco è tra i più violenti del Messico e fa parte, assieme a quelli di Michoacan e Colima, della cosiddetta “Tierra Caliente”, un territorio controllato pienamente dalla criminalità organizzata, con diversi clan in lotta fra loro e una complicata trama di corruzione che investe le autorità locali e le forze dell’ordine. Omicidi, sparizioni e attentati sono all’ordine del giorno e le indagini si perdono quasi sempre nel nulla.
Dopo averlo sottovalutato per molto tempo, all’inizio di quest’anno il governo federale ha iscritto il clan della “Nueva Generacion di Jalisco“tra gli obbiettivi prioritari della lotta ai cartelli della droga. Nati dieci anni fa come braccio armato del cartello di Sinaloa e con il compito specifico di uccidere i rivali degli Zeta, sono cresciuti notevolmente e oggi lottano per il controllo dello strategico porto di Veracruz, crocevia della droga verso gli Usa. La guerra fra narcos ha fatto oltre 200.000 vittime negli ultimi dieci anni in Messico: nel 2017 si è registrato il record con 25.000 morti ammazzati. Gli esperti prevedono un’ulteriore impennata della violenza in vista delle elezioni presidenziali di inizio luglio e a causa degli assestamenti nei rapporti tra criminalità e potere politico a livello federale e nei singoli stati.