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 2018  marzo 02 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA SULLA FINE DELLA CAMPAGNA ELETTORALE –

La Gazzetta dello Sport

Anno XII – Numero 3965

3 marzo 2018

Siamo in silenzio elettorale. Fra due giorni si vota e l’impressione generale è che ci in molti non abbiano ancora le idee chiare su chi votare dopodomani. D’altra parte, stando al sociologo Domenico De Masi, «l’indecisione fa parte delle caratteristiche del genere umano. E noi italiani soffriamo di tutte le caratteristiche del genere umano, anche se pensiamo di essere gli unici con questa pena. Negli Stati Uniti si sono macerati tra Donald Trump e Hillary Clinton. Ma in Italia abbiamo una componente in più di pseudointelettuali che complica tutto…». 

• Dai comizi finali di ieri nessuna indicazione particolare?

La notizia di ieri è che è tornato a farsi vedere e sentire Beppe Grillo, che finora s’era tenuto ben lontano da palchi e microfoni. Il fondatore del M5s prima ha scritto un lungo post sul suo sito e poi si è presentato all’appuntamento a Piazza del Popolo a Roma, piena a metà, dove c’erano tutti i big del Movimento, da Di Maio a Casaleggio. Grillo ha detto che siamo rimasti soltanto noi e Forza Italia, il movimento si confronta con il più grande ed efficace spot pubblicitario dopo la Coca Cola di tutti i tempi. Ci siamo imposti con parole guerriere, mandare a casa una casta occupante spazio. Adesso siamo qui, a confortarci con il lato più oscuro e nebbioso del carattere del nostro popolo. Diamogli l’ultima spallata».

Perché Grillo non cita il Pd?

O perché considera il Partito democratico politicamente morto oppure perché non vuole escludere la possibilità per il M5s di entrare in un governo di scopo con i dem. Dal canto suo Renzi, intervistato ieri sera da Bruno Vespa, si è detto convinto che «i Cinque stelle faranno l’accordo con la Lega. Quindi, chi vota Cinque stelle si ritrova Salvini». Contemporaneamente Salvini considera il M5s «fuori partita» e «sopravvalutato al Sud» (dove secondo gli esperti si potrebbe decidere molto). Per il leader del Carroccio la vera sfida è tra il centrosinistra e il centrodestra: «Adesso la gente scelga fra il futuro che è Lega e il passato che è Renzi. È un referendum, Renzi da una parte e Salvini dall’altra», ha detto da Milano, dove ha chiuso la campagna elettorale della Lega accanto al candidato per la Lombardia Attilio Fontana.

Salvini contro Renzi? E Berlusconi non ha detto nulla?

Ieri è rimasto a Palazzo Grazioli, nella sua casa romana, dove ha ricevuto a pranzo Antonio Tajani, l’uomo da lui indicato come candidato leader del centrodestra nel caso in cui il centrodestra dovesse vincere e Forza Italia prendere più voti delle Lega. C’è da dire che l’entrata in scena di Tajani è stata accolta con scarsissimo entusiasmo dalle altre anime della coalizione. Per Salvini «è un buon presidente del Parlamento europeo e spero che continui a fare quello. Io ho una visione più netta sull’Europa». Perplessa anche Giorgia Meloni, che ieri ha parlato da Latina: «Tajani lo rispetto, ma io preferirei uno che in Europa sappia battere di più i pugni sul tavolo. E poi la candidata premier di Fdi sono io».

Una protagonista a sorpresa di questa campagna elettorale mi è sembrata Emma Bonino, o sbaglio?

È vero. I suoi Radicali rischiavano quasi di non partecipare alle elezioni per una complessa questione di regolamenti e firme, poi sono stato ospitati in lista da Tabacci. Il consenso della Bonino, partita dallo zero virgola qualcosa, è sembrato crescere di settimana in settimana, anche se non sappiamo in realtà quanto valga davvero +Europa. Potrebbe calamitare i consensi di chi è deluso dal Pd renziano ma non vuole dare il suo voto al di fuori del centrosinistra, così come potrebbe rosicchiare elettori al M5s. Probabilmente Renzi quando ha accettato di averla in coalizione sperava che non raggiungesse il tetto del 3% per far confluire così i voti dei radicali nelle liste del Pd. È molto probabile invece che il partito della Bonino superi quella soglia e a questo punto per il Pd è il caso di sperare che prenda più voti possibili, soprattutto sottraendoli alla sinistra di Leu e ai grillini.

Ma alla fine cosa rimane di questa campagna elettorale?

Pochissimi contenuti, molte grida, vecchi slogan riciclati e qualche scandaluccio già dimenticato. Come hanno sottolineato molto bene sul Corriere della Sera i due economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, in questi mesi i partiti si sono occupati di tutto tranne che affrontare con serietà i temi dai quali dipende il nostro futuro. Temi complessi come la demografia, cioè l’invecchiamento degli italiani, la crescita, il debito pubblico, i nostri rapporti con l’Europa. Le poche ricette nei programmi dei partiti sono aritmeticamente fantasiose se non impercorribili o si limitano a indicazioni vaghe. In questo scenario si è andato radicando soprattutto nelle aree moderate la convinzione che non sarebbe drammatico mantenere ancora Gentiloni a Palazzo Chigi, se non si trovasse una maggioranza.  D’altra parte il suo governo, nato come precario, ha accompagnato il consolidamento della nostra economia, sfruttando un trend continentale. Anche l’Economist, l’autorevole settimanale inglese, ha scritto che «la figura di Gentiloni rassicurerebbe gli investitori».


***



*Salvini: M5s sopravvalutato e fuori partita, sfida è con Renzi

È referendum, Lega sarà prima in Veneto, Lombardia e Piemonte Milano, 2 mar. (askanews) -


Per il segretario della Lega, Matteo Salvini, il M5s è "sopravvalutato" e "fuori partita", mentre la vera sfida delle elezioni politiche è tra il centrosinistra di Renzi e il centrodestra dello stesso leader leghista. Lo ha detto a margine dell’appuntamento che chiude la campagna elettorale di Attilio Fontana, candidato del centrodestra alla presidenza della Lombardia, nel quartiere di Bonola. "Adesso la gente scelga fra il futuro che è Lega e il passato che è Renzi. È un referendum, Renzi da una parte e Salvini dall’altra" ha detto. Il segretario del Carroccio non teme dunque il "cappotto" al Sud evocato ieri in un fuori onda durante un appuntamento elettorale del centrodestra a Roma. "No, io penso che siano sopravvalutati, poi il voto vero arriva domenica e la Lega sarà primo partito in Veneto, Lombardia e Piemonte, il centrodestra primo in Liguria, Toscana, Emilia Romagna, Marche e Friuli. Da leader della Lega conto nell’orgoglio del Sud" ha proseguito. Salvini ha infine ribadito il proprio "no" a qualsiasi accordo con il M5s. "No. Lo ripeto, con Renzi, Grillo e la Boldrini non abbiamo niente a che fare", ha concluso. Red-Mil 20180302T182636Z


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Grillo sul palco con la Raggi, inizia comizio M5s Il comico: vi lascio in buone mani Roma, 2 mar. (askanews) - Beppe Grillo a braccetto con Virginia Raggi sale sul palco e la sindaca di Roma apre il comizio di chiusura della campagna elettorale M5s, in piazza del Popolo a Roma. "Vi lascio in buone mani, ci vediamo a mezzanotte", dice Grillo lasciando Raggi sul palco. "Un anno fa abbiamo iniziato un cammino che ora dobbiamo completare. Mandando Luigi Di Maio al governo", ha detto la sindaca molto acclamata dalla piazza. "Non mollare mai", la incitano gli attivisti. Red/Pol 20180302T183310Z


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== Elezioni: Grasso, assolutamente incompatibili con il M5s = 

(AGI) - Palermo, 2 mar. - "Il M5s ha delle posizioni che sono assolutamente incompatibili con quelle di Liberi e uguali, come l’immigrazione, l’Europa, l’euro e i diritti civili. Quindi, non si possono trovare dei punti di contatto". Lo ha detto il leader di Leu Pietro Grasso, parlando con i giornalisti alle spalle del palco allestito accanto al Teatro Massimo di Palermo, in piazza Verdi, dove oggi chiude la campagna elettorale. (AGI) Pa3/Mrg 021835 MAR 18 NNNN


== Elezioni: Bersani al Pd, non si puo’ ammucchiare tutto = 

(AGI) - Bologna, 2 mar. - "Qui non e’ questione delle persone ma e’ questione della linea di chi ha pensato che espellendo il ’vecchiume della sinistra’ si potesse aggregare un’area centrale, moderata" ma un’idea del genere "e’ totalmente fuori contesto": lo ha detto Pier Luigi Bersani dopo aver citato alcuni candidati ’centristi’ come Casini o la Lorenzin sostenuti dal Pd in corsa nella coalizione del centrosinistra "Ma dov’e’ questa Italia centrale e moderata? Il centro del Paese - ha spiegato l’esponente di Liberi e Uguali da Bologna in chiusura della campagna elettorale - e’ arrabbiato. Non si puo’ ammucchiare tutto". Ricordando, poi, la foto diventata virale di Pier Ferdinando Casini (in corsa per il Senato a Bologna) in un circolo Pd circondato da immagini appese al muro dei leader storici della sinistra, Bersani ha sottolineato: "mi sono detto ’ma pensa all’autocontrollo dei comunisti di una volta che sono rimasti su... Ci fosse stato sui quadri un padre nobile piu’ reattivo come Dossetti, forse veniva giu’ il quadro’. Non disperdiamo l’orgoglio di una sinistra - ha concluso l’ex segretario Dem - di cui ha bisogno il Paese". (AGI) Bo1/Gim 021830 MAR 18 NNNN


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Elezioni: Gelmini, c’è voglia cambiamento, FI serve a Paese 

Galliani, chiedo voto anche a chi tifa Inter, Juve, Roma, Napoli (ANSA) - MILANO, 2 MAR - Si chiude anche a Milano la campagna elettorale di Forza Italia, che con i suoi candidati al Parlamento e alle regionali si è riunita in un gazebo - nonostante la neve - in Largo Cairoli. "Un campagna elettorale fredda dal punto di vista climatico - ha detto Maria Stella Gelmini, coordinatrice del partito in Lombardia e candidata alla Camera - ma calda per l’affetto delle persone, in un momento in cui la politica non è particolarmente popolare. Ora c’e voglia di cambiare pagina", ha detto davanti ai pochi militanti che si sono radunati al gazebo con le bandiere. "Il 4 marzo è una data fondamentale per l’Italia, molte persone sono deluse, ma la soluzione non è rimanere a casa. Forza Italia è l’unica forza che serve al Paese" ha proseguito Gelmini invitando ad andare a votare e ricordando i punti principali del programma, dalla flat tax alle pensioni, fino alla sicurezza e alla riforma delle legittima difesa. "Un programma concreto e non fatto di sogni o slogan" ha concluso. Insieme a lei, anche Adriano Galliani, Paolo Romani, Lara Comi, Laura Ravetto, Giusy Versace e i candidati alle regionali, tra cui Valentina Aprea, Silvia Sardone, Luigi Pagliuca. Immancabile per Galliani, ex ad del Milan, il rimando ai campi di calcio: “io voglio anche i voti degli interisti. Sono milanista - ha detto - ma in 31 anni non ho mai detto nulla contro l’Inter. Quindi chiedo il voto anche a interisti, juventini, a chi tifa Napoli, Roma e Lazio". Per Paolo Romani, la battaglia alle urne, oltre a quella contro Pd, M5S e astensionisti è quella contro la Lega: "Dobbiamo batterli tutti: la Lega è nostra alleata, ma anche concorrente: chi prima arriva, prima esprime il presidente del Consiglio - ha spiegato - saremo contenti alle 23.05 di domenica, di dichiarare che Tajani sarà il nostro presidente del Consiglio". (ANSA). Y9M 02-MAR-18 18:34 NNNN


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Elezioni: Bonino, fatto tutto quello che dovevamo = 

(AGI) - Roma, 2 mar. - "Tutti insieme abbiamo fatto una cosa importante, faticosa, coraggiosa, ma bellissima. Non sto bene, solo una influenza, ma non mi sarei mai persa per nulla al mondo questa giornata. Sono venuta soprattutto per ringraziare tutti quelli che ci hanno creduto fino dall’inizio, ma anche chi gli si e’ accesa la pallina negli ultimi giorni". Lo ha detto la leader radicale Emma Bonino, nel corso della chiusura della campagna elettorale della lista + Europa, a Roma. "Certamente abbiamo fatto degli errori, ci sono state sbavature - ha aggiunto - pero’ vi posso assicurare che nella concitazione dei giorni e delle notti abbiamo cercato di fare e di dare il nostro meglio. Ma non riesco a sentirmi in colpa perche’ abbiamo fatto tutto quello che dovevamo". (AGI) Rmy/Ted 021845 MAR 18 NNNN




+ Europa chiude la campagna elettorale a Pescara 

Una richiesta di più europeismo, e contro fascismo e razzismo (ANSA) - PESCARA, 2 MAR - I candidati di + Europa con Emma Bonino, candidati nei collegi abruzzesi, hanno chiuso la campagna elettorale questa sera a Pescara, ricordando i punti salienti del programma del Partito agli elettori della regione. Il capolista al Senato Carlo Troilo: "Avendo una storia personale particolare, essendo il figlio del comandante della Brigata Maiella Ettore Troilo, ribadisco che l’antifascismo è una bandiera per noi tutti e per l’Abruzzo. Così pure contro il razzismo visto che noi siamo stati un popolo di emigranti, non possiamo oggi prendercela con chi viene nel nostro Paese. Vogliamo più Europa perché sappiamo che è l’unica salvezza per il Paese e personalmente, se dovessi essere eletto, andrei nelle commissioni che si occupano di Ambiente e soprattutto di Turismo perché sono convinto che la grande risorsa dell’Abruzzo non completamente sfruttata è il Turismo con la montagna, le piste ciclabili e un mare da ripulire. Credo che siano obiettivi fondamentali considerando i tanti turisti alle porte che vogliono visitare la nostra regione". Il capolista alla Camera Nico Di Florio ha puntato e posto l’indice sull’importanza di avere più Europa: "L’ Abruzzo è parte integrante dell’Europa e della UE a pieno titolo e noi oggi stiamo trattando e ricordando i temi dell’europeismo, ribadendo che la migliore riforma economica che l’Italia possa fare è quella dell’aggiustamento del debito pubblico. I miliardi di euro che oggi paghiamo di interessi ogni anno sul debito sono i soldi che servono per migliorare le strade abruzzesi, le scuole, i servizi e la diminuzione delle tasse. La migliore riforma economica secondo noi è proprio quella della creazione degli Stati Uniti d’Europa perché così facendo i sistemi fiscali dovranno necessariamente allinearsi, e il welfare dovrà essere all’altezza di quello degli altri Paesi europei. Quello di dopodomani sarà un test importante per la nostra regione e + Europa, che secondo noi otterrà un buon risultato diventerà un player per la politica locale e quindi - ha proseguito Nico Di Florio - senz’altro diremo la nostra in quelle che saranno delle elezioni molto importanti perché sappiamo che la legislatura regionale finirà necessariamente prima per le decisioni del presidente della Regione, peraltro decisioni del tutto legittime, e questo ci porterà ad una campagna elettorale anticipata, e noi faremo valere i nostri temi anche in quella occasione". Questi i candidati. Camera nel collegio 1 proporzionale Pescara-Chieti, Nico Di Florio, Michela Di Michele, Dario Bollini, Elena Fantoni. Collegio 2 L’Aquila-Teramo Camera: Maurizio Di Nicola, Velia Nazzaro, Francesco Visini, Romina Margani. Senato Proporzionale circoscrizione unica Abruzzo: Carlo Troilo, Daniela Colombo, Alessio Di Carlo, Anna Alba Autorino. (ANSA). Y4M-PRO 02-MAR-18 18:31 NNNN


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CORRIERE.IT – 

La Gazzetta dello Sport

Anno XII – Numero 3965

3 marzo 2018

Siamo in silenzio elettorale. Fra due giorni si vota e l’impressione generale è che ci in molti non abbiano ancora le idee chiare su chi votare dopodomani. D’altra parte, stando al sociologo Domenico De Masi, «l’indecisione fa parte delle caratteristiche del genere umano. E noi italiani soffriamo di tutte le caratteristiche del genere umano, anche se pensiamo di essere gli unici con questa pena. Negli Stati Uniti si sono macerati tra Donald Trump e Hillary Clinton. Ma in Italia abbiamo una componente in più di pseudointelettuali che complica tutto…». 

• Dai comizi finali di ieri nessuna indicazione particolare?

La notizia di ieri è che è tornato a farsi vedere e sentire Beppe Grillo, che finora s’era tenuto ben lontano da palchi e microfoni. Il fondatore del M5s prima ha scritto un lungo post sul suo sito e poi si è presentato all’appuntamento a Piazza del Popolo a Roma, piena a metà, dove c’erano tutti i big del Movimento, da Di Maio a Casaleggio. Grillo ha detto che siamo rimasti soltanto noi e Forza Italia, il movimento si confronta con il più grande ed efficace spot pubblicitario dopo la Coca Cola di tutti i tempi. Ci siamo imposti con parole guerriere, mandare a casa una casta occupante spazio. Adesso siamo qui, a confortarci con il lato più oscuro e nebbioso del carattere del nostro popolo. Diamogli l’ultima spallata».

Perché Grillo non cita il Pd?

O perché considera il Partito democratico politicamente morto oppure perché non vuole escludere la possibilità per il M5s di entrare in un governo di scopo con i dem. Dal canto suo Renzi, intervistato ieri sera da Bruno Vespa, si è detto convinto che «i Cinque stelle faranno l’accordo con la Lega. Quindi, chi vota Cinque stelle si ritrova Salvini». Contemporaneamente Salvini considera il M5s «fuori partita» e «sopravvalutato al Sud» (dove secondo gli esperti si potrebbe decidere molto). Per il leader del Carroccio la vera sfida è tra il centrosinistra e il centrodestra: «Adesso la gente scelga fra il futuro che è Lega e il passato che è Renzi. È un referendum, Renzi da una parte e Salvini dall’altra», ha detto da Milano, dove ha chiuso la campagna elettorale della Lega accanto al candidato per la Lombardia Attilio Fontana.

Salvini contro Renzi? E Berlusconi non ha detto nulla?

Ieri è rimasto a Palazzo Grazioli, nella sua casa romana, dove ha ricevuto a pranzo Antonio Tajani, l’uomo da lui indicato come candidato leader del centrodestra nel caso in cui il centrodestra dovesse vincere e Forza Italia prendere più voti delle Lega. C’è da dire che l’entrata in scena di Tajani è stata accolta con scarsissimo entusiasmo dalle altre anime della coalizione. Per Salvini «è un buon presidente del Parlamento europeo e spero che continui a fare quello. Io ho una visione più netta sull’Europa». Perplessa anche Giorgia Meloni, che ieri ha parlato da Latina: «Tajani lo rispetto, ma io preferirei uno che in Europa sappia battere di più i pugni sul tavolo. E poi la candidata premier di Fdi sono io».

Una protagonista a sorpresa di questa campagna elettorale mi è sembrata Emma Bonino, o sbaglio?

È vero. I suoi Radicali rischiavano quasi di non partecipare alle elezioni per una complessa questione di regolamenti e firme, poi sono stato ospitati in lista da Tabacci. Il consenso della Bonino, partita dallo zero virgola qualcosa, è sembrato crescere di settimana in settimana, anche se non sappiamo in realtà quanto valga davvero +Europa. Potrebbe calamitare i consensi di chi è deluso dal Pd renziano ma non vuole dare il suo voto al di fuori del centrosinistra, così come potrebbe rosicchiare elettori al M5s. Probabilmente Renzi quando ha accettato di averla in coalizione sperava che non raggiungesse il tetto del 3% per far confluire così i voti dei radicali nelle liste del Pd. È molto probabile invece che il partito della Bonino superi quella soglia e a questo punto per il Pd è il caso di sperare che prenda più voti possibili, soprattutto sottraendoli alla sinistra di Leu e ai grillini.

Ma alla fine cosa rimane di questa campagna elettorale?

Pochissimi contenuti, molte grida, vecchi slogan riciclati e qualche scandaluccio già dimenticato. Come hanno sottolineato molto bene sul Corriere della Sera i due economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, in questi mesi i partiti si sono occupati di tutto tranne che affrontare con serietà i temi dai quali dipende il nostro futuro. Temi complessi come la demografia, cioè l’invecchiamento degli italiani, la crescita, il debito pubblico, i nostri rapporti con l’Europa. Le poche ricette nei programmi dei partiti sono aritmeticamente fantasiose se non impercorribili o si limitano a indicazioni vaghe. In questo scenario si è andato radicando soprattutto nelle aree moderate la convinzione che non sarebbe drammatico mantenere ancora Gentiloni a Palazzo Chigi, se non si trovasse una maggioranza.  D’altra parte il suo governo, nato come precario, ha accompagnato il consolidamento della nostra economia, sfruttando un trend continentale. Anche l’Economist, l’autorevole settimanale inglese, ha scritto che «la figura di Gentiloni rassicurerebbe gli investitori». 


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Prima l’annuncio che l’era del «Vaffa» è finita (forse). Ora il lancio dell’ultima sfida, a poche ore ormai dall’apertura delle urne. Beppe Grillo torna a parlare dal suo blog. «Siamo rimasti soltanto noi e Forza Italia, il movimento si confronta con il più grande ed efficace spot pubblicitario dopo la Coca Cola di tutti i tempi. Ci siamo imposti con parole guerriere, mandare a casa una casta occupante spazio. Il movimento è nato su quelle parole guerriere e si è nutrito della saggezza migliore degli italiani: adesso siamo qui, a confortarci con il lato più oscuro e nebbioso del carattere del nostro popolo. Diamogli l’ultima spallata».


Grillo: «Non posso non esserci»

Grillo scrive un post sul blog dal titolo «Non posso non esserci». «Rimuovere un intoppo, la casta che blocca il corso normale della democrazia nel nostro paese. Questo lo scopo del nostro movimento, quando si è imposto alla corrotta attenzione dei media anni fa. Non essere più costretti a sentirci una democrazia di serie b, annoiati prima dai discorsi di presidenti del consiglio deliranti e poi da quelli di sommessi contabili asserviti ad una moneta. Un popolo mai protagonista di nulla, con una storia ed una cultura uniche lasciate nelle mani di personaggi che parlano a quel popolo dalla tazza di un cesso, da una cena elegante oppure da un esilio in Nord-Africa. Avvilito da saccenti provenienti da grandi università, che parlano tra loro con idee di altri, dove non hanno pubblicato quasi nulla, sino alle umiliazioni più estreme: il governo del nipote e quello del bugiardo compulsivo. Oggi, come un vecchio camino spento l’insignificante vuoto nulla occupa quella poltrona in attesa di sviluppi, come nella storia infinita», scrive Grillo.


«L’ultima spallata»

«Guardate quello che sta succedendo, osservateli con attenzione: sono in brandelli, si travestono, tolgono e mettono pezzi di simbolo e nomi dai loro imbrogli: lega, libera non più nord, di sinistra ma anche no, abbasso l’abbacchio ed evviva i meloni sgarbati, evviva i re delle cliniche private del Lazio e della Lombardia, ne resteranno soltanto due: noi ed il partito di plastica», attacca Grillo. «Luigi non può rifiutarsi, dovrebbe essere impossibile che l’Ex cavalier-badante sia lì? ma il Presidente tace, i giornalisti gli mettono dei cuscini sotto le chiappe, l’ex capo dell’ex Lega Nord si nasconde dietro quell’ologramma, l’ex sinistra è diventata la banca intorno a noi ed ha partorito una scialuppa di salvataggio capitanata da piagnucoloni e brontoloni. Quelli che hanno sempre ruminato la demolizione dello stato sociale per conto della finanza adesso si dissociano. Ma il mondo non è un utero in affitto, sono tempi difficili, non c’è da scherzare», prosegue Grillo che conclude: «Nelle stanze dei bottoni sono davvero disperati se contano su un pubblicitario da cassazione! Diamogli l’ultima spallata!».



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BERLUSCONI RICEVE TAJANI – REPUBBLICA.IT – 

ROMA - Il giorno dopo avere sciolto la sua riserva circa la disponibilità a essere il candidato premier di Forza Italia, il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani è arrivato all’ora di pranzo a Palazzo Grazioli, residenza romana di Silvio Berlusconi, per uscirne cinque ore dopo senza rilasciare dichiarazioni. Prima, in mattinata, Tajani si è intrattenuto diverse ore nella rappresentanza del Parlamento europeo a Roma.


L’entrata in scena del presidente dell’Europarlamento, a poche ore dalla chiusura della campagna elettorale, è stata rapidamente metabolizzata, senza grandi entusiasmi, dalle altre anime della coalizione di centrodestra, dove ognuno continua a tirare la volata a se stesso nella corsa a Palazzo Chigi. Il mantra di Matteo Salvini, che stasera chiude a Milano, Auditorium di Bonola, a sostegno del candidato alla regione Lombardia Attilio Fontana, è sempre quello. "Sono pronto a fare il premier, oneri e onori. Sono pronto a cominciare a lavorare" insiste a Tgcom 24, "ho già in mente la lista dei ministri ma non faccio nomi, per evitare di fare come i grillini che mettono e tolgono".


Quanto a Tajani, Salvini dice che "è un buon presidente del Parlamento europeo. Io ho una visione più netta sull’Europa. Rispetto Tajani, ma il mio auspicio è che rimanga presidente del Parlamento europeo, e Salvini sia il premier". Però Salvini garantisce che rispetterà gli impegni. Ovvero, che accetterà Tajani premier se Forza Italia avrà più voti della Lega. "La scelta la farà chi è davanti al televisore", dice il segretario leghista, parlando questa volta a Telelombardia -. Chi vuole Tajani premier vota Forza Italia, chi vuole Salvini premier vota Lega". E a chi gli fa notare le distanze con il presidente dell’Europarlamento sui temi comunitari, risponde: "Nel programma c’è scritto che le regole in Europa cambiano".


Perplessità su Tajani anche da Giorgia Meloni, stasera a Latina, in piazza del Popolo, accanto al leader di Energie per l’Italia e candidato alla presidenza della Regione Lazio per il centrodestra Stefano Parisi. "Tajani lo rispetto, ma io preferirei uno che in Europa sappia battere di più i pugni sul tavolo" dice la leader di Fratelli d’Italia a Un giorno da pecora, su Rai Radio 1.  E ancora, al Tg5: "Abbiamo chiesto a Berlusconi di dire agli italiani chi avrebbero scelto come candidato premier votando Forza Italia". "Chi vota Fratelli d’Italia, sa che vota per Meloni premier" scandisce Giorgia, che poi sottolinea: "Noi siamo il collante della coalizione e non ci sarebbe stato il centrodestra senza di noi, votando Fdi non si faranno cose diverse da quelle dette", ovvero, sarebbe scongiurato il rischio inciucio.


Concetto chiarito ulteriormente a Un giorno da pecora. "Non sono disponibile a un governo con Lega, Fi e M5S. Quindi, se non ci saranno i numeri, per me si può tornare a votare, anche cambiando la legge elettorale, con un bel governo settimanale a scadenza il venerdì". Fratelli d’Italia "collante" di una coalizione che, anche in queste ultime ore di campagna, fatica a tradursi in una visione unica su un obiettivo condiviso. Come si evince ancora dalla risposta resa da Meloni a Carta Bianca, su Raitre, alla domanda se si fidi di Berlusconi e Salvini: "In politica bisogna stare sempre vigili con tutti. Mi fido di tutti e di nessuno, soprattutto dei miei candidati a cui ho fatto giurare che non cambieranno casacca e non sosterranno mai un governo a guida Pd o M5S".


Silvio Berlusconi intanto continua a lavorare ai fianchi il M5s. "Con la campagna elettorale abbiamo fermato i Cinque stelle. Sono lontanissimi dal 40%, come il Pd. Il centrodestra invece è vicino al 40%, chi dice un punto in più chi un punto in meno. Ma i 5 stelle sono un pericolo se acquisiscono troppi voti" perché potrebbero applicare "un ostruzionismo" feroce,  "il Parlamento si potrebbe anche bloccare".


Berlusconi rivolge un invito agli italiani, a diffidare di chi ignorerà il richiamo alle urne . "Penso - dice Berlusconi a Tgcom24 - che un cittadino che non vada a votare debba essere guardato male e con sospetto da tutti gli altri, perché significa che è uno che o non ci capisce niente o proprio non gliene frega niente di se stesso, dei suoi figli e dei suoi nipoti". Da notare come, anche su questo tema, Salvini si smarchi dal leader di Forza Italia:  "L’astensionismo non mi fa paura, mi dispiace solo per chi dice: resto a casa contro i politici ladri. È non votando che si aiutano i politici ladri", dice a Tgcom24.



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LE DIRETTE FACEBOOK –

La diretta Facebook della presentazione della squadra di governo del Movimento 5 stelle pubblicata sulla pagina ufficiale del candidato premier Luigi Di Maio il primo marzo è stata vista da 1,5 milioni di persone in meno di 24 ore, segnando un singolare record in questa campagna elettorale.

Appena partita la diretta il pubblico raggiunto dal candidato premier dei 5 stelle era di circa 50 mila persone, aumentate poi nel corso della diretta. Facebook però una volta terminato lo streaming fa del contenuto video pubblicato una clip, che nelle ore successive all’evento è stata condivisa 64,7 mila volte, consentendo di raggiungere oltre un milione di persone in poche ore.


La diretta con più visualizzazioni di questa campagna elettorale però al momento rimane quello pubblicato sulla fanpage di Matteo Salvini, leader della Lega. Si tratta della diretta del comizio di Milano di sabato 24 febbraio, visualizzato finora 1,7 milioni di volte con 15,8 mila condivisioni, ma che ha avuto almeno 5 giorni in più per essere visualizzato e condiviso.

Nessuna diretta pubblicata sulle pagine ufficiali di altri leader politici hanno raggiunto questi numeri nella campagna elettorale per le politiche del 2018.


Guardando più indietro nel tempo, la diretta più vista sui social è quella del 5 dicembre 2015 pubblicata dall’allora primo ministro dimissionario Matteo Renzi: vista 2,4 milioni di volte e condivisa 10,1 mila volte, era il suo ultimo discorso da premier dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre.

Molto pratica delle dirette Facebook anche il leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, che è riuscita a raggiungere i suoi record di audience nelle ultime settimane della campagna elettorale con le dirette da Livorno, quando venne duramente contestata dai centri sociali. Furono diversi i video pubblicati in quel 13 febbraio da Meloni. Il più visto ha raggiunto 792 mila persone ed è stato condiviso 7,5 mila volte, anche sull’onda di immagini piuttosto forti e cori urlati dai contestatori dei centri sociali.


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ALESINA E GIAVAZZI, CORRIERE DELLA SERA - 

La campagna elettorale che si chiude oggi,iniziata il giorno dopo la bocciatura del referendum costituzionale, è durata più di un anno. Nel frattempo il governo Gentiloni ha accompagnato il consolidamento della nostra economia: in dodici mesi il tasso di disoccupazione è sceso di oltre mezzo punto,dall’11,7 al 11,1 per cento, e quello dei giovani nella fascia di età 15-24 anni di 6 punti.Il governo ha anche varato una legge di Stabilità che ci pone all’interno dei parametri del Fiscal compact con l’obiettivo di ridurre il debito in rapporto al Pil di circa 8 punti in un triennio. In questi mesi i partiti si sono occupati di tutto tranne che affrontare con serietà i temi dai quali dipende il nostro futuro. Eccone quattro fondamentali: la demografia, cioè l’invecchiamento degli italiani;il debito pubblico; la crescita;i nostri rapporti con l’Europa. La demografia è stata strategicamente dimenticata da quasi tutti i partiti. Su debito e crescita si sono per lo più raccontate favole. Alcuni partiti hanno lanciato strali contro l’Europa, per poi rimangiarseli. 
Cominciamo dalla demografia. Nell’arco di due generazioni il numero di figli per donna è sceso in Italia da 2,3 a 1,3. L’età media degli Italiani sale. La percentuale sopra i 60 anni è quasi il 29 per cento contro il 25 in Francia, 23 in Gran Bretagna, 21 negli Stati Uniti (Organizzazione mondiale della sanità, 2015).
L’ indice di dipendenza, cioè il peso economico della popolazione non attiva (0-14 anni e 65 anni ed oltre) su quella attiva (15-64 anni) è salito in quindici anni da 49 a quasi 56. In altre parole in Italia ci sono oggi 56 individui (due terzi dei quali pensionati) a carico di 100 che lavorano. Su questo indice pesa anche il tasso di occupazione femminile che continua ad essere assai basso: 56,6 per cento in Italia, 66 in Francia, 75 in Germania. Un altro argomento dimenticato, eccetto l’8 marzo. 
È evidente che, in assenza di una ripresa della natalità o di un aumento significativo della popolazione immigrata (che ha tassi di fecondità del 50 per cento maggiori dei nostri) un allungamento dell’età lavorativa è inevitabile se non vogliamo affamare i pensionati o caricare su chi lavora un onere fiscale insopportabile. Eppure, con l’esclusione di un cauto accenno nel programma del Pd e di uno più esplicito nel programma di Emma Bonino, i partiti sono unanimi nell’impegno di modificare pesantemente, di fatto cancellare, la legge Monti-Fornero e in particolare la norma che collega l’età della pensione alla nostra vita media. Questa norma è una salvaguardia al disastro demografico. Per fortuna Paolo Gentiloni l’ha salvata, contro il parere quasi unanime del Parlamento. L’invecchiamento della popolazione produce effetti drammatici anche sulla spesa sanitaria che è concentrata negli anni adulti. Un sistema come il nostro,quasi gratuito per tutti, non è sostenibile, a meno di accettare un allungamento insopportabile dei tempi di attesa sanitaria. La soluzione è far pagare di più la sanità ai ricchi, che possono acquistare assicurazioni private, e usare quei fondi per migliorare il sistema pubblico. Ma anche di questo nella campagna elettorale nessuno ha avuto il coraggio di parlare. 
Il debito pubblico è la nostra principale fonte di fragilità. I 5 Stelle hanno annunciato una straordinaria riduzione del debito (in rapporto al Pil) di 40 punti in dieci anni, senza spiegare come otterrebbero un risultato che è più ambizioso delle stesse regole del Fiscal compact. Non solo non lo spiegano, ma annunciano varie elargizioni di denaro pubblico per tutti. Hanno indicato come ministro per l’Economia un economista il quale ritiene che l’austerità sui conti pubblici, qualunque austerità, va evitata. Ricapitolando: nessuna austerità, più spese, magari con il reddito di cittadinanza e un rapporto debito/Pil che crolla. Un miracolo. Forse lo faranno misurando il Pil in modo diverso come propone il loro ministro indicato allo Sviluppo economico. 
Forza Italia si propone di ridurre il debito al 100 per cento facendo leva sulla Flat tax la quale però, almeno all’inizio, ridurrebbe le entrate. L’aritmetica del Pd promette più di quanto si potrà ottenere sulla base di quel programma. La soluzione è proseguire invece lungo la strada del Fiscal compact, che già rispettiamo, ma nessuno lo propone.
La crescita. Cinque Stelle e Liberi e Uguali vogliono cancellare il Jobs act e reintrodurre l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori; quindi ricominciare a difendere posti di lavoro in imprese improduttive che non riescono a stare al passo con la concorrenza internazionale. Invece bisogna proteggere i lavoratori, non i posti di lavoro, esattamente l’opposto di quello che il ministro Calenda vuole fare con Embraco. Occorre costruire un sistema assistenziale di flex security alla danese, cioè un sistema che abbini protezione per chi rimane temporaneamente disoccupato e allo stesso tempo favorisca l’uscita dal mercato di imprese non competitive gestite da imprenditori incapaci con l’entrata di aziende più produttive. Il risultato sarà piu posti di lavoro, non meno. Il contrario di ciò che raccontano 5 Stelle e LeU. Ma per farlo non si può spendere il 77,5 per cento della spesa assistenziale solo per pagare pensioni. Ecco di nuovo la demografia che pesa!
Infine l’Europa. Pareva una campagna elettorale che si sarebbe giocata sul sì o sul no all’Europa. Lega e 5 Stelle erano partiti annunciando un referendum popolare per uscire dall’euro, se non addirittura dall’Unione Europea. Silvio Berlusconi si era inventato l’assurdità della doppia moneta. Poi tutti si sono resi conto che i cittadini sono più intelligenti di loro e hanno smesso di parlarne. Per fortuna in Europa nessuno li ha presi sul serio, altrimenti lo spread, cioè il costo del debito e quindi le nostre tasse, sarebbero volate. Ora tutti si dichiarano «europeisti». Ma nessuno ci crede, i nostri partner europei lo sanno e se eletti saranno trattati come tali: nemici dell’Europa. Non solo: non basta essere europeisti a parole. Ciò che è accaduto durante la crisi delle banche, il modo con cui è stata condotta l’oscura vicenda dell’Ema, ciò che potrebbe accadere con gli effetti della riforma dell’eurozona (ad esempio l’imposizione di vincoli ai titoli pubblici che le banche possono detenere) insegna che in Europa il gioco è duro e se non sei credibile, rispettato e attento ci puoi rimettere molto. Il governo che uscirà dalle elezioni dovrebbe essere tutto questo. 



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GIOVANNI ORSINA, LA STAMPA –

Giovanni Orsina

Non respiriamo certo entusiasmo, a due giorni dal voto. Gli osservatori sono concordi nel ritenere che sia stata una pessima campagna elettorale. C’è chi dice la peggiore della storia. Si teme un’astensione elevata. E gli ultimi sondaggi pubblicati mostravano come in quel momento, a due settimane dalle urne, moltissimi non avessero ancora deciso per chi votare. Eppure la proporzionale dovrebbe almeno far sì che le preferenze dell’elettorato siano rappresentate da vicino. Perché allora siamo così scontenti? Avanzo un’ipotesi: perché tanti elettori ritengono che la scelta sia in verità fra due soli grandi blocchi, entrambi insoddisfacenti. Uno realista ma conservatore; l’altro radicalmente innovatore, ma fuori dalla realtà.
Al primo blocco possiamo ascrivere il Partito democratico e, per l’atteggiamento che ha avuto in campagna elettorale, Forza Italia. Quasi un quarto di secolo fa, quando scese in campo, Berlusconi ci propose un’immagine coerente del Paese: meno Stato, più società civile. Già sette anni dopo, nel 2001, il clima non era più lo stesso. E pur rimanendo fedele all’ispirazione originaria, Berlusconi cambiò allora strategia: non una singola, grandiosa idea del futuro; ma tante idee più modeste, una per ciascuna categoria di elettori.
Meno tasse e disoccupazione, più sicurezza, pensioni e lavori pubblici - prometteva il Contratto con gli italiani. Dal 2001 il clima è cambiato ancora, profondamente, e l’incapacità dei partiti «responsabili» di mostrare con chiarezza in che direzione intendano procedere s’è aggravata. Non è un caso, allora, se a due giorni dal voto Berlusconi non ha estratto la consueta trovata dal cilindro. Perché di trovate che possano avere un vero impatto non ce ne sono più. Mentre - siccome Berlusconi ha fatto scuola - di trovate minori se ne consumano dieci al giorno.

Per il Pd potremmo fare un discorso analogo. Ricordate quando Enrico Letta, da presidente del Consiglio, disse che per sistemare l’Italia occorreva il cacciavite - intendendo tante piccole riforme? Renzi replicò che ci voleva invece il caterpillar. Bene: dov’è oggi il caterpillar democratico? Il programma del Pd è fatto d’una miriade di interventi da cacciavite: utilissimi magari, ma non tali da restituire l’idea d’un progetto politico ambizioso. Qual è il messaggio dei partiti più vicini al centro, in conclusione? Che questo mondo va bene così com’è, e dev’essere soltanto sistemato qua e là. Ma questo è un messaggio che tantissimi elettori non vogliono proprio più sentire - abbiano o non abbiano ragione, e quali che siano i loro motivi (a proposito dei quali mi limito soltanto a suggerire un indizio: chi guarda soltanto all’economia non capirà mai).
E l’altro blocco, quello radicale? La Lega ha presentato un programma schiettamente sovranista: lo Stato nazionale deve riprendere il controllo, ha detto - sulla sicurezza, le migrazioni, la moneta, il debito. Nel Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio sta cercando di giocare la stessa partita delle forze di establishment: la squadra di governo; le tante proposte diverse che puntano ad accontentare ciascuna una fetta d’elettorato. Allo stesso tempo però i militanti, usando la piattaforma Rousseau, hanno prodotto un programma ideologicamente ben più coerente. Un programma - per l’appunto - rousseauiano: l’Italia come una comunità chiusa, a economia circolare, nella quale tutti partecipano, e tutti controllano tutti.
Ora, sovranismo e comunitarismo sono senz’altro due idee chiare e coerenti del futuro. Anche a prescindere da quanto siano desiderabili, però, quanto sono realistiche? E se anche potessimo realizzarle, quale prezzo dovremmo pagare? Talmente alto che le stesse forze politiche che le sostengono cercano in ogni modo di occultarlo. Moltissimi elettori però se ne rendono conto. E non di rado sono proprio quegli stessi che non vogliono più sentirsi dire che le cose vanno bene come sono. Costoro si asterranno. O se andranno a votare, lo faranno senza alcun entusiasmo. In tutti i casi, ne usciranno infelici e frustrati.


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MATTIA FELTRI, LA STAMPA –

Che bello: siamo qui ad assistere a una cosa che non esiste. C’è un candidato premier che non è candidato premier che presenta un governo che non è un governo.
Non è candidato premier (esattamente come ogni altro candidato premier, da Matteo Salvini a Matteo Renzi) poiché la legge elettorale non prevede candidati premier, e tantomeno col proporzionale. Così Luigi Di Maio non sarà premier, a meno che il Movimento non oltrepassi il 40 per cento dei voti, evento piuttosto improbabile, e il suo governo non sarà mai il governo. Però Di Maio ha già mandato via e-mail la lista dei ministri che non saranno ministri al presidente della Repubblica, che non l’ha letta. Anche perché i ministri non li nomina il premier soprattutto se non è un premier, e a maggior ragione prima delle elezioni, ma li nomina il presidente della Repubblica soprattutto se è effettivamente un presidente della Repubblica, ed è il caso di Sergio Mattarella, unico protagonista della vicenda che riveste una carica e non un’aspirazione.

Ma non è un grosso problema, è soltanto l’epilogo esoterico di una campagna elettorale da realtà aumentata, durante la quale non si è discusso di altro che di cose che non esistono. Ecco, non è un’esclusiva di Di Maio. Si è discusso di coperture che non esistono su promesse che non esistono, dal momento che tutti (i sani di mente) sanno che non saranno mantenute. Si è discusso di aliquote fiscali che non esistono, abolizioni di tasse che non esistono, deportazioni di migranti che non esistono, mondi palingenetici che non esisteranno almeno per un paio di secoli. E dunque perché no? Perché non venire qui a scrivere questo non articolo su questo non premier e il suo governo? In fondo è stata una bella scampagnata, fino all’Eur, la location preferita del berlusconismo champagne degli anni passati, e nel Salone delle Fontane dove nel 2014 si organizzò una cena di autofinanziamento del Pd con Matteo Renzi. Del resto è un altro Movimento, questo. Ha il leader, il capo politico, persino premier e governo. Si è ritagliato un pomeriggio molto istituzionale, senza bandiere grilline, soltanto tricolori e uno sfondo blu di Prussia, un abbondante gruppo di sostenitori o iscritti o scherani, tutti molto gentili, che hanno tradotto la metamorfosi in una mise molto dimaiana, vestito blu Savoia e cravatta tinta unita, preferibilmente blu Tenebra.
Ecco la perfezione della democrazia dal basso molto elevata, almeno nelle ambizioni, in democrazia dal capo: tutti i ministri scelti da lui, in una commovente e apprezzabile esibizione di competenze. Addio all’intronizzazione della casalinga di Voghera. Docenti di stratigrafia e cronologia (Mauro Coltorti, Infrastrutture), dirigenti dell’Associazione italiana qualità della vita (Filomena Maggino, Sviluppo sostenibile), membri del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa (Giuseppe Conte, Pubblica amministrazione), vicedirettori e coordinatori di master di intelligence (Elisabetta Trenta, Difesa), recordman di pubblicazioni economiche (Andrea Roventini, Ecomomia e finanze). Lo si scrive senza nessunissima ironia, specialmente perché i non ministri appena elencati posseggono titoli più numerosi di quelli qui elencati, e vale per ognuno dei non ministri. Tranne l’olimpionico Domenico Fioravanti, sono ignoti, il che non significa che siano scarsi. Lo si sottolinea con buona volontà nonostante qualcuno di loro venga da università marginali, oltreché suscettibili, se le si definisce tali.
Per assegnare alla vicenda tutto il rilievo che merita, si ometterà il primo parodistico impatto di Di Maio con un «qualora», seguito da un tempo verbale inadeguato. Si segnalerà, giusto per diritto di critica, che il non ministro alla Giustizia, Alfonso Bonafede (ecco, qui i titoli sono già più fragili: ha conseguito un dottorato di ricerca in Diritto privato), ha promesso di ridurre i tempi della giustizia bloccando la prescrizione al momento del rinvio a giudizio, e giurando contro le leggi della fisica che così si farà prima. Ma per il resto era anche difficile valutare la portata del rivolgimento, siccome i non ministri avevano a disposizione solo qualche minuto per illustrare i progetti rivoluzionari. Così ne sono usciti molti slogan carezzevoli, la giustizia è uguale per tutti, meno finanza più economia reale, più energia pulita, una svolta per il turismo, lotta alla metastasi del sistema sanitario, sicurezza partecipata (questo già più indecifrabile, del non ministro dell’Interno Paola Giannetakis), riscrivere la Buona scuola (capolavoro di Salvatore Giuliano, dirigente scolastico che la Buona scuola ha collaborato a scriverla coi precedenti governi, e alla fine gridò a Renzi: «Presidente, la scuola è con lei»). Ma, davvero, non si vuole infrangere l’idillio. Là dietro, sullo sfondo alle spalle dei non ministri, c’era scritto Italia 2018-2023. Il governo che non esiste ci crede e sa che durerà per l’intera legislatura. In fondo è il giorno dell’impossibile che Di Maio aveva inaugurato così: «Presentiamo il nostro governo, una cosa che non è mai stata fatta nella storia della Repubblica». Ecco, infatti. 


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GLI INDECISI - PAOLO CONTI, CORRIERE DELLA SERA –

I l sociologo Domenico De Masi, buon conoscitore del tipo medio italiano, che ha dedicato anni ad analizzare il nostro costume sociale e politico, afferma che l’indecisione «fa parte delle caratteristiche del genere umano ed è ciò che distrugge la nostra tranquillità. Borges diceva che le indecisioni sono dei bivi e suggeriva: quando sei di fronte a un bivio, imboccalo. Tanto ti pentirai comunque un attimo dopo. E noi italiani soffriamo di tutte le caratteristiche del genere umano, anche se pensiamo di essere gli unici con questa pena. Negli Stati Uniti si sono macerati tra Donald Trump e Hillary Clinton. Ma in Italia abbiamo una componente in più di pseudointelettuali che complica tutto… ». 

Davanti al bivio 

Gli Indecisi. Ovvero la variabile più imprevedibile delle competizioni politiche, inclusa quella imminente del 4 marzo, e dunque la più ambita dai partiti che stanno lottando fino all’ultimo istante per conquistarli. Tutti i sondaggi (impossibile fare cifre precise per i limiti previsti dall’Autorità per le Telecomunicazioni) indicano in poco più di un terzo dell’elettorato l’area sospesa tra astensionismo e indecisione. Che, rispetto per esempio al 2006, ha subito un sostanziale cambiamento socio-economico-antropologico. Lo spiega bene Nando Pagnoncelli, il sondaggista amministratore delegato di Ipsos: «Nel corso di più di un decennio, per esempio rispetto alle elezioni politiche del 2006, è mutata la composizione della quota di indecisi. In quell’anno si trattava, in larga parte, di elettori appartenenti al ceto popolare, tradizionalmente distanti dalla politica. Quindi non giovani, con una bassa scolarità e abitanti nei piccoli centri. Fu lì che molti partiti tentarono di veicolare i propri messaggi. Oggi la profilazione degli indecisi è radicalmente cambiata». 

I nuovi dubbiosi 

Pagnoncelli delinea una Fenomenologia dell’Indeciso completamente diversa, e per certi versi sorprendente: «L’offerta politica è mutata, sono apparsi sul mercato elettorale nuovi soggetti e si sono fortemente indebolite l’appartenenza e la fedeltà ai partiti. Quindi la replica del voto precedente è assai meno scontata. L’indeciso di questo 2018 appartiene al ceto riflessivo. Non distante dalla politica, anzi: ma che fa fatica a orientarsi». Visto che parliamo di ceto riflessivo, come è culturalmente composto? «Nella media è un laureato o un diplomato, vive nei grandi ceti urbani. Molto rilevante e significativa la quota di studenti. E poi dirigenti, anche imprenditori, liberi professionisti, ceto medio impiegatizio. Una composizione ben diversa dai ceti popolari del 2006, di cui abbiamo già parlato. Una volta questo ceto riflessivo era abbastanza determinato quando si trattava di andare alle urne. Oggi no».

Il «navigatore»

Materia di grande interesse, è facile immaginarlo, per le forze politiche impegnate in questi giorni a raccogliere gli ultimi consensi. Il fenomeno è così interessante che l’Università di Pisa con KiesKompas ha deciso, con un metodo scientifico, di aiutare questi indecisi a orientarsi meglio. È nato così https://navigatoreelettorale.it Si procede per quesiti. Qualche esempio concreto: «Gli immigrati regolari, anche se non in possesso del permesso di soggiorno, dovrebbero avere gli stessi diritti e doveri degli italiani?». Oppure: «L’Islam è una minaccia per l’Italia?». «L’Italia dovrebbe uscire dall’euro?». «Va introdotto un reddito minimo di cittadinanza?». 

Alla fine di un questionario di 32 domande, con cinque ipotesi di risposta da «Del tutto d’accordo» a «Del tutto in disaccordo» più «Nessuna opinione» si arriva al risultato in un quadro politico compreso in una croce con quattro vertici: Progressista/Conservatore/Libero mercato/Interventismo pubblico. Alla fine, un suggerimento per il voto. E così l’Indeciso Italiano può finalmente imboccare il bivio. Così come suggeriva Borges. Salvo, come avvertiva il letterato, pentirsi immediatamente dopo di ciò che ha fatto.