La Stampa, 2 marzo 2018
Emanuele Severino: Vi spiego perché quest’intervista è eterna
Nel nostro mondo segretamente angosciato dal continuo svanire delle cose nel nulla, la filosofia di Emanuele Severino naviga da oltre mezzo secolo fieramente controcorrente, ripetendo con Parmenide che ciò che è non può diventare nulla, che niente può scuotere il destino di ciò che esiste. Ottantanove anni appena compiuti, Severino è uno dei più famosi e originali filosofi italiani. Per celebrare il sessantesimo anniversario della sua opera cruciale La struttura originaria (pubblicato da La Scuola e poi da Adelphi) oggi e domani si tiene a Brescia un fitto convegno intitolato «All’alba dell’eternità», ideato da Ines Testoni dell’Università di Padova e organizzato dall’Ases (l’associazione di studi dedicata al filosofo).
Severino, cattedratico a 23 anni, ha pubblicato La struttura originaria nel 1958 quando insegnava alla Cattolica di Milano ma, ricorda, l’idea era nata due anni prima: «Un volume su Aristotele voluto da padre Gemelli e monsignor Olgiati, si apriva con un mio saggio intitolato Aristotele e la metafisica classica, dove il nucleo di pensiero che mi porterà ad allontanarmi dal cristianesimo era già presente, anche se allora non ne ero ancora persuaso». Nato in una famiglia cattolica, si appassiona giovanissimo a Gentile, di cui il fratello Giuseppe (morto nel ’42 sul fronte francese) frequentava le lezioni alla Normale di Pisa. Prima a scuola dai gesuiti poi allievo prediletto a Pavia del neotomista Gustavo Bontadini, non tralascerà di leggere Schopenhauer e Nietzsche. La rottura con la Cattolica e il cristianesimo si consumerà soltanto dal 1964 con il saggio Tornare a Parmenide pubblicato sulla Rivista di studi neoscolastici. «Soltanto allora mi convinsi dell’incompatibilità del mio pensiero con il cristianesimo», dice.
Il frammento parmenideo «l’essere è e non può non essere», che sui banchi di scuola suonava come una facile formuletta, è giustificato nella Struttura originaria attraverso un formidabile apparato logico. «Sulla Struttura originaria mi sono spaccato la testa – ha rammentato il cardinale Angelo Scola -. In Cattolica giravamo con il libro in mano all’epoca del grande dibattito tra il professore e il maestro Bontadini».
«Oggi – interviene Severino – il clima culturale filosofico e scientifico, per non parlare della letteratura, si è allontanato dal concetto di verità definitiva, incontrovertibile. “Le verità” odierne servono a trasformare il mondo secondo certi progetti. Nessuno dice più, come Galileo, che l’uomo conosce le verità matematiche così come le conosce Dio». Spiega che il sapere occidentale ha detto addio a quelao che in greco si chiamava episteme tes aletheias, la scienza della verità «ma è una traduzione debole, episteme vuol dire alla lettera star sopra. Sopra a che cosa? A ciò che vorrebbe scuotere ciò che sta sopra». L’espressione denota dunque qualcosa di inalterabile, indistruttibile. Questa «concezione grandiosa» frana sotto i colpi degli ultimi due secoli del pensiero filosofico secondo cui una verità incontrovertibile è impossibile. La struttura originaria vuole riaprire il discorso sulla verità innegabile.
«Il pensiero greco intende la verità definitiva delle cose come un oscillare delle cose tra il non essere, l’essere e il non essere. Se le cose del mondo, secondo la convinzione dell’umanità attuale, non erano e non saranno, è inevitabile che non esista alcuna verità definitiva». Severino invece ribadisce l’impossibilità che le cose, dalle più nobili alle più umili, non siano state e tornino a non essere. «In passato, la tesi che questa conversazione è eterna, provocava talvolta qualche risolino ma poi mi sono reso conto che valeva la pena di ricordare che la relatività di Einstein, pur con una logica molto diversa dalla mia, dice che le cose future e le cose passate non sono meno reali delle presenti. Tant’è vero che quando Popper dialogava con Einstein lo chiamava Parmenide».
Il fisico inglese Julian Barbour ha sostenuto che il tempo non esiste e gli eventi sono come cartoline appese a un filo da stendere, tutte contemporaneamente presenti… «Sì, ha variato di poco l’immagine che Popper usava con Einstein di fotogrammi avvolti in una bobina. Ma nessuno di loro sa spiegare la macchina da presa o il movimento dello sguardo che passa da una cartolina all’altra. Per farlo occorre una logica (che qui sarebbe troppo complicato esporre) di cui la scienza non può disporre. In generale, la scienza crede che la mente sia una cosa particolare tra le cose. Qui entra in gioco la teoria dell’esperienza che gli scienziati tendono a trascurare. L’esperienza è la mente trascendentale, essa non entra o esce da un campo visivo ma è il luogo in cui tutto entra ed esce. Per capire che cosa sia la sbobinatura dei fotogrammi o lo sguardo che scorre sulle cartoline bisogna introdurre il concetto di coscienza trascendentale che era stato in qualche modo intravisto dall’idealismo, il luogo cioè all’interno del quale sopraggiungono gli eterni. Il cosiddetto divenire del mondo non può essere il cominciare a essere e il cessare di essere ma è il comparire e lo scomparire degli eterni in quella coscienza trascendentale. Stiamo andando un po’ nel difficile...».
Per Severino a connotare il mondo contemporaneo è la tecnica, una concezione che nasce dal concetto greco di divenire come passaggio dal non essere all’essere e dall’essere al non essere. «Da questa visione nasce la volontà di controllare le cose nel loro apparire dal nulla e tornare nel nulla, la volontà vuol fare diventare altro le cose. Quando il serpente dice ad Adamo «Eritis sicut dii» (Sarete come dei) cosa vuol dire? Significa vi trasformerete e diventerete altro da ciò che siete. Far diventare altro nel pensiero greco vuol dire tirar fuori dal nulla e questo è il compito della volontà. La volontà, il suo voler controllare il mondo, è originariamente tecnica. La tecnica è il modo più radicale in cui la metafisica greca si presenta oggi. Così l’unica verità è il travolgimento di tutte le verità. Per ancora molto tempo la tecnica sarà protagonista nel mondo, ma questo i politici non vogliono capirlo».