La Stampa, 2 marzo 2018
Puglia, nel Gargano che rialza la testa contro i clan
Suo figlio volta sempre la fotografia del padre, come se lo cercasse dietro la cornice. «Fra un mese vorrei si materializzassero due cose: per me, un’idea sulle parole da usare con Antonio in futuro, ora ha solo un anno e mezzo. Per questi posti, un ministro clemente che dia continuità alla risposta fornita durante l’emergenza e protegga chi ha voglia di partecipare a una metamorfosi comunque avviata. Io stessa ero così indifferente, che quando mi parlavano di mafia pensavo alle serie tv. Ma non so se andrò a votare».
Arcangela Petrucci aveva lasciato San Marco in Lamis, cuore del Gargano, da studentessa: laurea in psicologia a Padova e lavoro a Bolzano. «Sono tornata per amore, insegnante precaria e Luigi, mio marito, agricoltore. Amavo la nostra vita di corsa». La mattina del 9 agosto alla vecchia stazione due sicari uccidono un boss e il suo factotum. Lì ci sono terreni dei fratelli Luigi e Aurelio Luciani, 47 e 43 anni: li scambiano per referenti del capo clan confondendo una targa, li falciano a mitragliate. Arcangela ora è una vedova e descrive il seguito con un flash: «Sono arrivati i 100 uomini annunciati dal governo e i massacri sono finiti». Però. «Una mattina mia zia è andata dal fioraio, il giornale era aperto sull’arresto d’un ragazzo trovato con molte armi. “Poverino lo conosco”, ha detto quella. E la zia: “Poverino? Ma Luigi e Aurelio te li sei dimenticati?”. Le hanno risposto che era un tasto da non toccare, solito tabù». All’osteria «Sombrero» Giovanni il titolare mescola necessità e virtù: «Se un boss entra e rispetta ciò che faccio, non lo snobbo sennò finisco male». Davanti all’ingresso lo spazio per i manifesti elettorali è vuoto eppure l’ex sindaco è di nuovo in corsa per il Parlamento, dal centrosinistra al centrodestra, e s’intravede il suo volto sbiadito sulle gigantografie delle politiche 2013. «A San Marco non si usciva più per i furti, le cosche non ci toccavano e quindi se ne discute poco in campagna elettorale. Vorrei fosse eletto uno che non mi mette nei guai se uso la pistola per difendermi da un ladro». Alfredo Della Bella vende biancheria, magnifica la risposta del Viminale all’ultimo agguato «ma noi ci siamo finiti in mezzo. I traffici stanno a Foggia o San Severo e taglieggiano sulla costa dove girano i soldi, la strage è capitata a San Marco per caso…». La buona fede è un anestetico, qualcuno se ne accorge. Ludovico Delle Vergini ha messo su il laboratorio ArteFacendo, ne inventano mille per drenare lo spopolamento: «Una parte di noi ha aperto gli occhi, ma capita che un amico t’inviti al funerale d’un malavitoso, “ci vanno tutti”. È la mancata riprovazione a rendere i partiti timidi sul tema». Prima di rincasare compra il pane al market Omnibus, il proprietario ha paura degli immigrati la cui diaspora da campi di pomodori e ghetti è impressionante a Foggia, non sui monti dove forse apriranno un centro d’accoglienza fra settimane. Voterà per «prevenzione».
Nel Gargano da due milioni di presenze estive tra mare, natura e Padre Pio, le cose cambiano più veloci di come le afferri da lontano. Il 9 agosto avevamo scoperto che tre organizzazioni (i «montanari», la società foggiana e i cerignolesi, i primi desiderosi di spremere il turismo, la seconda commercio e agroalimentare, i terzi specializzati in assalti ai camion e tutti accomunati dal narcotraffico foriero di faide) hanno ammazzato 300 persone per regolamento di conti in trent’anni: 900 affiliati fra 26 gruppi, capaci d’infestare una provincia. Dettagliare le statistiche sul promontorio è meno agevole. E il Foggiano precipita oltre la casella numero 100, su 110, per la durata del percorso scolastico o il Pil pro-capite, la disoccupazione è al 20% e resta nella top ten di auto rubate ed estorsioni. Ma la retorica dello strapotere criminale dopato da omertà e oscurantismo mediatico è un abbaglio, basta un giro fuori stagione sul mare di Vieste per capirlo. «Fra 2008 e 2009 – spiega Vittoria Vescera, imprenditrice e guida dell’antiracket – si denunciavano 20-25 attentati al mese per il pizzo, ora una ventina all’anno». Si sono coalizzati e nel 2014 un pullman accompagnava i commercianti ricattati in tribunale. «Abbiamo rialzato la testa, cerchiamo di trascinare i sammarchesi e gli altri paesi, San Nicandro e San Giovanni Rotondo in primis, aldilà del guado». Certo, Vieste resta il posto dove il 27 luglio un ristoratore è stato freddato alle 3 di pomeriggio davanti ai clienti. «La legalità organizzata ha creato vuoti di potere e le esplosioni di violenza sono un effetto, non una causa». E però sfibrano la popolazione insieme alla microcriminalità latente, e il pendolo va a destra. «Sono una moderata, voterò chi ritengo in grado di stabilizzare strutture investigative e protezione dei testimoni. Poi c’è Foggia, che ci zavorra…». Ne parlano con insofferenza, ma è nel capoluogo appesantito che si circoscrivono il clou delle candidature e l’agenda politica. Intorno alla stazione dove i migranti brancolano – letteralmente – nel buio svolazzano i volantini del candidato leghista: Noi con Salvini alle regionali 2015 ha rasentato il 3% (7186 voti), nella circoscrizione s’è astenuta oltre metà degli elettori e una scheda su 12 era nulla. Il miraggio d’una soluzione sbrigativa dà respiro a chi è ossessionato più dal degrado sociale che dai kalashnikov, sebbene la medaglia sia la stessa. E così capita che nel quartiere popolare di Ordona Sud il ricercatore universitario Claudio De Martino s’accapigli con il fratello: «Io sceglierò chi ha proposte sensate sul lavoro legale, lui non ci sente più: “Bisogna ribaltare”, sta con i Cinque Stelle che vanno forte». Il Gargano (190 mila abitanti) e il resto della provincia (420 mila) sono mondi diversi; ma la criminalità organizzata che li attraversa, a ridosso del voto, è rimasta sottotraccia ovunque. Daniela Marcone è la responsabile di Libera e a Foggia il 21 marzo si terrà la giornata nazionale in memoria delle vittime. «Non ho spulciato i programmi, sapevo non avrei trovato nulla d’importante sulle mafie. La richiesta prioritaria qui è di occupazione pulita e servizi, surrogati sovente dal volontariato». A prescindere dai vincitori basterebbe che da Roma non stoppassero l’abbrivio sui rinforzi, allettando chi ha voglia di mettere la faccia contro le famiglie.