La Stampa, 2 marzo 2018
Il buco dei conti che non tornano
È un Movimento 5 stelle che sterza a sinistra, forse intuendo che in quest’area ci sono ancora spazi di consenso da conquistare, completando la squadra dei candidati ministri. Soprattutto con il responsabile designato alla Pubblica Istruzione, Salvatore Giuliano, firmatario di un documento che difendeva con forza l’impianto della riforma della Buona Scuola, voluta dal Pd e largamente contestata dagli insegnanti, e ne riconosceva «l’obiettivo di rinnovare» il sistema dell’Istruzione, salvo rinnegarla ieri, prima parzialmente e poi totalmente, dopo l’inserimento nella lista di Di Maio. Ma anche con Andrea Roventini, indicato per l’Economia, da sempre il ministero più sensibile per i rapporti con l’Unione Europea. Roventini, economista, professore associato alla Sant’Anna di Pisa, ha spiegato ieri al Sole 24 ore il suo pensiero, perfettamente in linea con il grillismo delle origini e totalmente contrario ai parametri richiesti dalle autorità di Bruxelles: mercati finanziari meno liberi, no al vincolo del 3 per cento nel rapporto deficit/Pil imposto dal trattato di Maastricht, abbandono delle politiche di austerity, apertura di un negoziato con la Commissione per cambiare il fiscal compact, debito pubblico da diminuire, ma puntando sulla crescita e con un piano di investimenti pubblici, blocco delle privatizzazioni, che l’economista pentastellato considera alla stregua di una svendita, riforma fiscale mirata a ridurre le diseguaglianze (leggi: probabile patrimoniale per i redditi più alti).
Una ricetta che scavalca anche quelle della sinistra radicale e si integra perfettamente con quella del candidato al dicastero del Welfare Pasquale Tridico, pronto a rivedere il Jobs Act e a implementare il reddito di cittadinanza per dieci milioni di italiani, oltre, naturalmente, a cancellare la riforma Fornero delle pensioni; e con quella di Lorenzo Fioramonti, che nelle intenzioni di Di Maio dovrebbe andare allo Sviluppo Economico. La polemica sulle posizioni antisemite, smentite dall’interessato, ha oscurato, ma solo inizialmente, le idee del candidato ministro, un «cervello in fuga» attualmente in servizio all’università di Pretoria in Sudafrica, ed esponente di una corrente di pensiero che contesta le istituzioni economiche e il Pil (prodotto interno lordo) come indice decisivo per misurare la crescita di un paese, e propone come alternativa il concetto di sviluppo sostenibile e la green economy.
Niente da dire: i 5 Stelle non sono certo isolati, concetti come questi nel mondo sono sostenuti da grandi nomi dell’Economia come Amartya Sen o Joseph Stiglitz. Solo, nel caso dell’Italia, almeno per come è percepita in Europa, la domanda è: i soldi chi li mette?