il Giornale, 2 marzo 2018
Così in Iran Khomeini ha distrutto la modernità nel nome della sharia
Le rivoluzioni che più hanno cambiato il mondo moderno sono quattro. Due avvenute nel XVIII secolo, la rivoluzione americana e quella francese, e due avvenute nel corso del XX secolo, la rivoluzione russa e quella iraniana.
È quasi un’evidenza che di questi rivolgimenti il meno studiato sia quello iraniano, partito quarant’anni fa, nel 1978, a colpi di proteste di piazza e prediche di ulema. La complessa serie di circostanze che ha portato al potere gli Ayatollah è rimasta così negletta essenzialmente perché all’epoca gli osservatori occidentali non sono riusciti a capirne la portata ideologica, presi com’erano a ragionare soprattutto di petrolio; portata che ora, nel perdurare dell’instabilità del Medio oriente appare molto più evidente.
Sino alla rivoluzione khomeinista il mondo islamico, sia sciita sia sunnita, aveva attraversato svariati rivolgimenti politici ma il modello a cui ci si era ispirati era sempre stato un modello di stampo occidentale. Di volta in volta più virato al nazionalismo o al socialismo o al nazional socialismo toutcourt (il modello era stato quello del partito Baath).
Nessuno pensava che davvero potesse avere successo una rivoluzione che ponesse come modello un ritorno alla sharia, alla tradizione islamica. Nessuno immaginava che, tornando in patria dopo una teoria infinita di rivolte e di scontri, Ruhollah Khomeini potesse cambiare tutto con un discorso del 5 febbraio del 1979, nominando il nuovo presidente dell’Iran: «Grazie alla tutela del sacro legislatore, il profeta Maometto, dichiaro presidente Barzagan, e avendolo nominato io, a lui si deve obbedienza. La nazione deve obbedirgli. Questo non è un governo come gli altri. È un governo basato sulla sharia. Opporsi a questo governo significa opporsi alla sharia islamica e ribellarsi alla sharia, ribellarsi al governo della sharia viene punito dalla nostra legge, una pena pesante secondo la giurisprudenza islamica. Ribellarsi al governo di Dio è ribellarsi a Dio. Ribellarsi a Dio è blasfemia». E tutti nel mondo islamico sapevano che la pena tradizionale per la blasfemia era la morte.
Insomma Khomeini, da poco rientrato in patria, alle 9,30 del primo febbraio del 1979, su un Boeing 747 dell’Air France, e certo di un gigantesco appoggio popolare, con poche parole invertiva la storia dei Paesi islamici degli ultimi 50 anni. L’indipendenza e il benessere futuro non erano più da ricercarsi nell’imitazione del modello occidentale. Né in quello marxista, né in quello capitalista che aveva perseguito lo Scià Mohammad Reza Pahlavi (1919-1980). Dopo il fallimento dell’«autocrazia col turbo» di Pahlavi – l’Iran era un Paese in pieno boom economico ma socialmente squilibrato – gli ulema iraniani, forti di una lunghissima tradizione di autonomia e di potere riportavano invece indietro l’orologio della storia, innescando una controrivoluzione conservatrice senza eguali. Il punto di riferimento tornava ad essere la società musulmana delle origini, la Umma. Un ritorno all’indietro così improbabile che, all’epoca, chiunque avrebbe scommesso che alla fine avrebbero prevalso altre forze tra quelle che avevano composto la rivolta popolare del 1978, come il partito di estrema sinistra Tudeh. Entro il 1981 il Tudeh, che pure aveva pesato moltissimo nei moti del ’78, venne messo completamente fuori gioco dal partito islamico. Non andò meglio nemmeno ai nazionalisti. I Comitati rivoluzionari armati, leali a Khomeini (ovvero i Pasdaran), arrestarono migliaia e migliaia di studenti e attivisti, molti dei quali furono processati dall’Ayatollah Sadegh Khalkhali, tristemente noto come il giudice impiccatore, e giustiziati.
E da allora nel mondo islamico i vari movimenti religiosi hanno saputo di poter contare su un chiaro esempio di vittoria che ha ispirato tutti i movimenti, da Hezbollah ai sunniti (e nemici degli iraniani) di Isis.
Per capire bene come sia stato possibile questo campo di prospettive è utile il volume di Michael Axworthy, appena pubblicato da Leg, Iran rivoluzionario. Una storia della repubblica islamica (pagg. 520, euro 30), in libreria da oggi. Axworthy, che è stato capo della sezione del Foreign Office britannico a Teheran dal 1998 al 2006 e ha un dottorato in storia e cultura islamica ricostruisce tutta la storia dell’Iran mettendone in luce le tipicità, compreso il lungo percorso che ha creato una casta religiosa di enorme forza che nessuna riforma è mai riuscita a spazzar via. Le basi del regime di Khomeyni avrebbero le loro radici addirittura in una corrente di pensiero religioso, quella degli Usuli, sviluppatasi durante la crisi che sconvolse la Persia nel XVIII secolo. Ma Axworthy aiuta a capire anche tutti gli errori compiuti da Inghilterra e Russia, che molto a lungo hanno considerato l’Iran solo merce di scambio, instillando nella popolazione un sospetto anti occidentale che è stato l’arma migliore nelle mani degli Ulema. E forse lo è ancora, nonostante ormai un pezzo di popolazione iraniana abbia ben chiaro che tra libertà e sharia c’è una bella differenza, che dietro l’utopia del ritorno alla purezza islamica c’è solo violenza. Farglielo capire nel 1978 avrebbe evitato la destabilizzazione di una bella fetta di mondo.