Il Giornale, 2 marzo 2018
«Lavoriamo come 150 anni fa, ma ora l’aceto è più buono». Intervista a Claudio Stefani Giusti
Come si racconta un aceto balsamico? Semplice: è «quel» balsamico che si racconta da solo. Dentro botti che hanno secoli e che regalano sentori e gusti che non hanno pari. «Ed è una storia che piace perché siamo la più antica acetaia del mondo», rivela Claudio Stefani Giusti, 44 anni, laurea in ingegneria gestionale, da dodici anni rientrato nell’azienda di famiglia per portare la sua esperienza internazionale.
«Quando mio padre mi ha chiamato, dodici anni fa, e mi ha proposto di entrare in azienda, perché altrimenti la Giusti sarebbe passata di mano, ho capito che sarebbe stata una sfida. Mi piaceva il fatto di vivere e promuovere qualcosa di modenese ma anche di nobile. Da quando sono arrivato ho reso l’azienda visitabile. Aperta a tutti, sette giorni su sette, compresi i giorni di festa. Dodici anni fa ho cominciato io stesso ad accogliere e raccontare, nel tour di un’oretta, i nostri segreti e a fare scoprire i pezzi storici del nostro piccolo museo. Come la bottiglia, che è la stessa da cento anni. L’anno scorso, per darle un’idea, abbiamo avuto 20mila visitatori. Per assumere non guardo i curricula. Voglio gente con la luce negli occhi, che abbia tanta voglia di fare, di sentirsi parte della nostra famiglia e che, se in un giorno festivo c’è da preparare una degustazione a Venezia, piuttosto che organizzare, una sera qui da noi, una cena tra le botti con una delegazione di visitatori russi, venga volentieri a dare una mano perché, poi alla fine, è bello ed esclusivamente nostro stare insieme anche fuori dagli orari, fuori dagli schemi. In azienda siamo in 40, due persone lavorano nel corner della Rinascente a Milano, una in Germania, una in Olanda e tre a Seul, dove abbiamo una piccola filiale commerciale».
Lei oggi è amministratore delegato, ha poco più di quarant’anni, ma si porta sulle spalle quattro secoli di storia. Siete arrivati alla diciassettesima generazione. Che effetto le fa? «Intanto me la cavo circondandomi di giovani, l’età media qui è sui 30 anni, e poi cerco, nel rispetto della nostra tradizione, di migliorare questa nostra tradizione. Mi spiego meglio. Oggi l’aceto balsamico è migliore di quello di 150 anni fa. Se oggi si lavora con artigianalità e professionalità si fanno cose sublimi. Io continuo ad acquistare botti da famiglie modenesi, le taglio con i miei prodotti per un paio di anni, dopodiché ecco che cominciano a prendere il sapore che vogliamo. L’aceto qui lo si rincalza, lo si taglia, lo si passa, se necessario, magari dalla botte di castagno a quella di ginepro». La perfezione degli aceti detti Balsamici di Modena, dipende unicamente da tre condizioni, cioè dalla scelta delle uve, dalla qualità dei recipienti, e dal tempo. Davvero dobbiamo aspettare cent’anni per apprezzare il balsamico? «No, non necessariamente. I nostri due ottimi balsamici tradizionali hanno un invecchiamento di 12 e 25 anni ma noi proponiamo anche balsamici con un invecchiamento di sei-dieci anni che sono già molto buoni. La mia filosofia è portare nelle case degli aceti balsamici buonissimi che costino 30 euro non 200. Quando mi si chiede come si fa a distinguere il vero balsamico io rispondo che l’unico modo sarebbe quello di affidarsi al DOP di Modena. Ma questo significa pagare una bottiglietta, quando si riesce a trovarla, anche 150-200 euro. Purtroppo dall’altro lato la verità è che con il marchio IGP, invece, è stato coperto un ventaglio di qualità di balsamici diversissimo con prezzi da 2 euro a 50-100 che disorientano il consumatore. E su questo fronte ci sarebbe da parlare per ore».
Come si usa e dove si usa l’aceto balsamico? «Praticamente con tutto, sul parmigiano, sul pesce e sulla carne, su qualunque tipo di verdura. Ma anche sulla pasta. E persino sugli erborinati come il gorgonzola o con la burrata. Ed è anche un digestivo. A proposito di abbinamenti vi è quello con il leggendario marchio Chartreuse, con cui condividiamo lo stesso anno di fondazione: 1605. Con Gianfranco Pola, noto barman italiano è stata creata una carta di 6 drink che vede la miscelazione dei nostri balsamici con la Chartreuse.
Oggi dall’Acetaia Giusti, strada delle Quattro Ville, quante bottiglie escono? «Ogni botte risponde diversamente, abbiamo qualche migliaio di botti, fra antiche e giovani, cioè di 20-30 anni. Facciamo tre-quattromila bottiglie delle due qualità top di balsamico tradizionale, circa 10 mila delle cinque IGP, di cui la più pregiata è il Banda Rossa, mentre sulle 20-30 mila per quelle invecchiate sui 15 anni e di qui a crescere. Complessivamente, quindi, qualche decina di migliaia di bottiglie». E dove va il vostro balsamico? «Vendiamo il 50 per cento in Italia e il 50 all’estero. Gli Stati Uniti sono il primo mercato perché hanno capito come il balsamico può sostituire le loro salse cariche di calorie. Nel mondo mitteleuropeo il successo dell’aceto balsamico è stato introdotto dalla presenza di tanti immigrati italiani che hanno insegnato ai locali a mangiar bene, mentre nel Far East gli aceti balsamici piacciono perché piacciono le fermentazioni. Così ecco l’aceto Giusti a Dubai in uno stand in oro nel favoloso hotel Burj Al Arab, o nelle migliori cantine di Napa Valley. O da Dean e Deluca a New York o negli opulenti magazzini Gum di Mosca. O ancora a Tromso, in Lapponia, a tu per tu con l’aurora boreale».