la Repubblica, 2 marzo 2018
«Basta tabù, il sesso tra anziani non è brutto sporco e cattivo». Intervista Arlene Heyman
Davvero Il buon vecchio sesso fa paura? Se si hanno settant’anni o anche di più, la sfera della sessualità ci terrorizza? O il desiderio senile è cosa sana e giusta, e vanno combattuti i pregiudizi?
In questo gioco scivoloso di domande irrompe, con acutezza ironica e spudorata, il libro di Arlene Heyman Il buon vecchio sesso fa paura, uscito per Einaudi nella magistrale traduzione di Anna Nadotti. È l’esordio letterario di una psicoanalista settantaseienne di New York che in gioventù studiò scrittura creativa con Bernard Malamud, divenendone a suo tempo l’amante. Concepito e limato lungo decenni, Scary Old Sex – questo il titolo originale – riunisce sette short story mordenti e caustiche sulla défaillance del corpo nella terza e quarta età e sulla frenesia della libido che non si estingue.
Festeggiatissima dalle recensioni statunitensi, l’attempata debuttante Heyman si presta con gioia all’intervista che segue.
Quanto la psicoanalisi da lei esercitata come terapista ha contribuito alla sua prosa?
«Nel libro non ho usato alcuna rivelazione di un paziente. Non sarebbe etico. Però non c’è niente di scritto, inclusa una tesi di dottorato, che non contenga riferimenti autobiografici.
D’altronde i diari e i gossip non sono arte: la non-condensazione impedisce loro di raggiungere il piano della letteratura. Il brivido letterario è connesso alla sintesi dell’immaginazione».
Nel racconto “L’amore con Murray”, che narra (benché con molte maschere) il suo antico rapporto con Malamud, il dato autobiografico balza in primo piano.
«Murray non è proprio Malamud e io non somiglio alla protagonista, cioè la sua studentessa e amante Leda.
Però confesso di aver ripreso certi dialoghi dalle lettere che all’epoca mi mandava Bern».
Fu segnata da quell’amore?
«Conoscere da vicino Malamud è stato un privilegio e un’iniezione di fiducia: credeva in me come scrittrice senza riserve. Le sue battute, il suo ateismo ebraico, la sua vitalità, la sua passione per l’arte e per me, hanno nutrito la mia intera vita».
Perché soltanto adesso si può parlare della sessualità degli anziani?
«Le censure su questo tema ci saranno sempre: è un dato che appartiene al destino umano. A sei anni abbiamo un blocco nel riconoscere padre e madre come individui sessuali perché altrimenti vorremmo far sesso con loro. Nell’adolescenza il rifiuto dei genitori ci serve per amare i nostri coetanei. Così padre e madre si trasformano in presenze imbarazzanti, disgustose e sceme, e un po’ di quest’atteggiamento non ci lascia mai. Per le donne è peggio perché hanno figli maschi che governano il mondo, e infatti la sessualità degli uomini vecchi non è stata mai rinnegata quanto quella femminile.
Comunque bisogna ammettere che col femminismo la situazione è migliorata».
Il corpo, in quanto motore di desiderio e specchio del declino, pare implicitamente al centro delle sue storie.
«Tutto inizia dal corpo. Un buon genitore accudisce fisicamente il suo bambino. Prendersi cura del proprio corpo per tutta la vita significa riconoscere la bontà dimostrataci i genitori.
Farlo anche se nessuno si è preso cura di noi vuol dire dichiarare la determinazione a essere padri e madri di noi stessi».
Le coppie dei suoi racconti sono “desideranti” malgrado gli anni e il peso di malattie che a volte sono terminali.
«In molti hanno sentito ottimismo nel libro. Secondo il New York Times uno dei suoi pregi è che il “buon vecchio sesso” non solo non fa paura, ma i personaggi “umanizzano sé stessi con impegno e grazia”.
Una giovane lettrice mi ha riferito di averlo regalato alla madre perché convinta che nelle sue pagine possano rispecchiarsi anziane vogliose di orgasmi. Non ho avuto intenti di propaganda ma il beneficio parallelo mi rende felice».