la Repubblica, 2 marzo 2018
L’amaca
La maestra di Torino diventata immeritatamente celebre per le sue urla funeree contro la polizia, in una noterella social spiega di augurare la morte solo “al fascismo”: non agli esseri umani, dunque, ma alla ideologia che li possiede. Ma in una certa prassi “antifascista” che torna di moda (ieri l’altro a Livorno l’ultimo episodio) la differenza tra fascismo e fascista è considerata di impedimento, tanto è vero che per colpire il fascismo si massacra la persona fascista.
Allo stesso modo l’esorcista, per scacciare Satana, attua la sottomissione fisica del posseduto: «Gli cercarono l’anima a forza di botte», canta De André nel suo Blasfemo. Non è un caso che siano “due guardie bigotte”, nel racconto di Fabrizio, gli autori del pestaggio mortale: il bigotto è il persecutore più cieco e più sordo, perché accecato e assordato dalla propria virtù. Così, nel nome di un “antifascismo” usurpato (ben prima che politicamente, umanamente usurpato) capita di legare mani e piedi, agendo in branco, una persona fascista, e in quello stato di assoggettamento che rimanda a Salò di Pasolini di spaccargli la testa. Oppure si può scrivere su un muro (nella mia strada, a Milano) “fascista morirai male”: cioè non ti darò una morte ordinaria, ma una morte sadica. Riconoscere il proprio sadismo – il proprio piacere nel fare male agli altri – è la prima misura di antifascismo, quella basica, che ognuno dovrebbe praticare.