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 2018  marzo 02 Venerdì calendario

Tra i giovani sopravvissuti all’Isis. «Mosul rinasce con libri e musica»

MOSUL In una piazza dove i tagliagole dello Stato Islamico seviziavano le loro vittime, un gruppo di volontari sta adesso piantando rose e oleandri, mentre dalla terrazza di un bar poco distante arriva il profumo dolciastro dei narghilè, fino pochi mesi fa vietatissimi dalla feroce polizia per la repressione del vizio.
Intanto, nel mercato di libri usati dell’Università un vecchio altoparlante diffonde le dolci note di un notturno di Chopin. E due mesi fa, nella città espugnata dall’esercito iracheno lo scorso luglio, s’è perfino disputata una maratona. «Sotto il Califfato, i giovani hanno bruciato tre anni della loro vita e adesso vogliono recuperare il tempo perso. Sono loro che ci spingono a insegnare in una facoltà molto danneggiata dalla guerra, spesso senza corrente né computer, in anfiteatri dove si sta stipati fino all’inverosimile perché molte aule sono state distrutte», spiega il professor Mohammed Najem, decano del dipartimento di Ingegneria civile.
Come in una favola edificante, la rinascita di Mosul passa attraverso la cultura e l’istruzione, la musica e il gusto del bello, ossia tutto quello che gli “uomini neri” detestavano e temevano maggiormente. Una volta riconquistata della libertà le studentesse hanno smesso i veli neri e portano ora hijab dai colori vivaci; quasi tutti i ragazzi, invece, si scolpiscono i capelli con la brillantina, oltre a radersi scrupolosamente in segno di rigetto per le lunghe barbe ostentate dei salafiti.
«L’Isis aveva chiuso tutte le facoltà salvo quella di medicina e usava la nostra tipografia per stampare opuscoli propagandistici», dica ancora il professor Najem. «Ma oggi, sia pure con enormi difficoltà, l’Università di Mosul conta nuovamente 50mila studenti.
Basti dirle che tutti i nostri laboratori sono stati distrutti da una bomba sganciata da un jet americano, forse a caccia di una banda di jihadisti. Per ripararli ci vorrebbero milioni di dollari, che noi ovviamente non abbiamo».
In città non si contano i palazzi sventrati dalle bombe lanciate per snidare i miliziani dell’Isis e ovunque vedi i crateri provocati dai razzi della coalizione a guida statunitense. Ma per gli abitanti della seconda città irachena il maggior danno è stato inferto dagli islamisti quando hanno incendiato la grande biblioteca.
In quest’imponente edificio, di cui rimane soltanto l’armatura di ferro annerita dalle fiamme, erano conservati testi antichi, mappe dell’Impero Ottomano, edizioni del Corano rilegate in pergamena d’inestimabile valore. Nel loro gigantesco autodafé gli scherani del Califfo hanno bruciato un milione di volumi. «Meno i diecimila che un gruppo di specialisti è riuscito a riesumare quasi intatti dalle ceneri. A questi vanno aggiunte le decine di migliaia di libri che diverse città del pianeta ci hanno inviato negli ultimi mesi», racconta l’architetto di interior design, Oday Qusay Abdulkader. «Storico vanto della città, quel luogo era per noi così importante che tra pochi mesi sarà pronta una nuova biblioteca, in un edificio originariamente destinato ad altri scopi».
Moataz Amghad, 26 anni e proprietario di una piccola libreria, ricorda come un incubo la sua vita nel Califfato fondato a Mosul da Abu Bakr al Baghdadi nel 2014, dov’era proibito perfino possedere la sim card di un cellulare. «Per essere puniti bastava la minima trasgressione. Se, per esempio, venivi trovato con una sigaretta in mano potevano anche tagliarti un dito, e se portavi la barba troppo corta rischiavi dieci frustate.
Dopo qualche mese, come molti altri ragazzi della mia età, ho perciò deciso di non uscire più di casa», racconta Amghad. «Ma da quando Baghdadi e il suo esercito di bruti sono stati sconfitti viviamo tutti in paradiso. Ho amici che hanno cominciato a scrivere romanzi, altri a dipingere, altri ancora che si sono dati alla fotografia. Dopo tre anni di spaventosa prigionia, assistiamo in città a una straordinaria esplosione di energie creative».
Certo, nella zona di Mosul adagiata sulla riva sinistra del Tigri molti quartieri sono ancora “zona rossa”, sia per via di edifici pericolanti sia perché gli artificieri non li hanno ancora bonificati dagli ordigni piazzati dagli islamisti. Da questo lato, è una città mutilata, ancora ingombra di rovine. Qui è tutto da ricostruire. Eppure, anche in questa zona dove ancora aleggia la morte, magari sotto il cornicione penzolante di una casa colpita, puoi già trovare un ambulante che vende pistacchi e melograni, o qualcuno che su una griglia arrostisce spiedini di pecora. Nell’ormai verdeggiante piana di Ninive, sono state disposte le tende di due sconfinati campi profughi. I loro ospiti sono coloro che aspettano con impazienza l’arrivo dei soldi da Baghdad, affinché abbia inizio l’enorme cantiere per riedificare la città.