la Repubblica, 2 marzo 2018
«Dopo Duisburg nulla è cambiato, l’Europa fa finta di non vedere». Intervista a Nicola Gratteri
ROMA «L’Europa continua a far finta di niente, come se la ‘ndrangheta fosse un problema che non la riguarda. Una roba di italiani e tra italiani. Non impara la lezione perché non la vuole imparare: dopo la strage di Duisburg niente è cambiato». Si avverte un certo scoramento nelle parole che il magistrato antimafia Nicola Gratteri sceglie per commentare l’arresto in Slovacchia di sette componenti della famiglia calabrese Vadalà dopo l’omicidio del giornalista Jan Kuciak.
Gratteri, infatti, è una Cassandra che a Bruxelles fanno fatica ad ascoltare.
I fatti di Duisburg risalgono al 2007. Possibile che non si siano fatti passi avanti?
«A parole, molti: convegni sull’antimafia, dichiarazioni di principio, impegni per il futuro. In concreto è tutto come prima. Più volte sono stato invitato a parlare davanti alla Commissione europea. Da magistrato italiano le dico che ho paura di sedermi a un tavolo coi rappresentati dell’Unione per discutere di omologazione dei codici di procedura penale.
L’ultimo tentativo è stato avvilente».
Quando?
«Nel 2015, durante il semestre lettone di presidenza del Consiglio d’Europa. Il sistema giudiziario scelto come base di partenza era proprio quello della Lettonia. Con quei presupposti l’Italia rischiava di dover accettare un compromesso al ribasso: fare passi indietro allo scopo di allinearsi agli altri vorrebbe dire uccidere un secolo di lotta alla mafia».
Perché questo atteggiamento snob?
«In Germania e in Francia semplicemente ritengono che le mafie da loro non ci siano. Invece sono presenti e fanno affari milionari: vendono cocaina e infiltrano le economie. Raramente uccidono. L’opinione pubblica non si indigna, quindi la politica non si muove: solo quando i giornali portano la ‘ndrangheta in prima pagina allora si interrogano sulla necessità di introdurre il reato di associazione mafiosa. Dibattiti che sono fuochi di paglia: finiscono nel nulla».
Chi è Antonino Vadalà, l’imprenditore accusato?
«La famiglia Vadalà di Melito Porto San Salvo più volte è finita in inchieste sulla ‘ndrangheta, però non emerge che lui sia organico al clan. Gli arrestati provengono da quel ceppo e sicuramente sono in Slovacchia per sfruttare delle opportunità».
Come i ricchi fondi europei per lo sviluppo.
«La ‘ndrangheta si sta espandendo molto in Bulgaria, Romania e Slovacchia, dove fioriscono gli affari attorno all’agricoltura e all’energia eolica. In Italia abbiamo sequestrato a Isola Capo Rizzuto il secondo parco eolico d’Europa. Vediamo le ‘ndrine comprare latifondi per partecipare ai bandi europei e prendere i contributi: lo fanno nel Sud Italia ma anche nell’Est Europa».
Perché lì?
«Sono Paesi facilmente infiltrabili: i casi di corruzione nella pubblica amministrazione sono il triplo rispetto all’Italia e ci sono associazioni criminali feroci con le quali possono stringere alleanze e proteggere il business».
Tanto da arrivare a eliminare un reporter?
«La ‘ndrangheta compie atti del genere solo quando lo ritiene strettamente necessario, perché sa che la conseguenza sarà accendere i riflettori dei media e delle polizie.
La strage di Duisburg, per esempio, venne considerata un errore dalla élite mafiosa, tant’è che due settimane dopo, il 2 settembre 2007, il Crimine di San Luca convocò le famiglie della faida imponendo loro la pace.
E ammazzare un giornalista è come uccidere un magistrato, perché entrambi rappresentano la democrazia: è un atto gravissimo che ha risonanza internazionale. Ma non bisogna pensare che i clan all’estero restino sempre silenziosi: non molto tempo fa hanno ucciso il capo della polizia di Melbourne e continuano a spararsi in Canada.
Del resto, la stessa Duisburg alla fine ha offerto loro uno spunto di riflessione».
Quale?
«Dopo la strage, la Germania è rimasta inerte e non ha fatto l’unica cosa che andava fatta: copiare il sistema italiano».
Una procura europea antimafia sarebbe utile?
«L’Unione non è uno stato federale, quindi se non modifica l’apparato giudiziario complessivo non si può fare. E non credo ci sia questa volontà politica. Fino a quando l’Europa non avrà la pazienza e l’umiltà di rivedere il proprio sistema di contrasto alle mafie, tutto rimarrà immobile».