Corriere della Sera, 2 marzo 2018
Amélie Nothomb
A Montparnasse, nel piccolo studio al pianterreno della casa editrice Albin Michel, Amélie Nothomb interrompe la religiosa occupazione di ogni mattina – rispondere ai lettori – per parlare con il Corriere di amore filiale tradito, invidia materna, adolescenza crudele, donne cattive e uomini tonti. Sono i temi di «Colpisci il tuo cuore» appena uscito in Italia per Voland, e come nel libro il tono è leggero, a dispetto dell’argomento.
Cinquantun’anni e 26 romanzi, la scrittrice belga racconta la storia di Diane, bambina adorabile con l’unica colpa di essere bella almeno quanto la madre Marie. La quale, quindi, la detesta, preferendole non solo il maschio Nicolas (e pazienza), ma pure la sorella minore Célia.
In «Colpisci il tuo cuore» non ci sono grandi cataclismi, eppure succedono un sacco di cose. Ogni giorno. La vita quotidiana viene raccontata con precisione, passata ai raggi X, e i dispiaceri arrivano non dalle disgrazie (o non solo) ma dai sorrisi mancati, dai silenzi violenti, dalle carezze negate con studiata ed efficace perfidia. «È vero, Marie, la mamma di Diane, non è un mostro dichiarato. Non fa niente che possa tradirla in modo oggettivo, non ammazza nessuno. Ma commette una quantità di piccoli crimini, e sono i piccoli crimini della vita quotidiana a essere i più interessanti. I serial killer affascinano, d’accordo, ma io sono d’accordo con Hitchcock: i più grandi delitti sono domestici. Quel che succede nell’intimità di una casa, il male che è possibile fare all’interno di una famiglia è sicuramente più intrigante. Ed è tutto legale».
La Nothomb pronuncia frasi tremende sui suoi personaggi e sulla vita con il sorriso sulle labbra. Come se avesse trovato il distacco della spettatrice, o meglio il modo per rendere sopportabile quello che non lo sarebbe.
«Quando Diane finalmente affronta la madre per imputarle anni e anni di freddezza e distanza, lei cade dalle nuvole. È semplicemente una donna ordinaria, il male che ha fatto è quello di una donna ordinaria». Ed è questo che fa venire i brividi. Il centro del libro è l’invidia e il senso di competizione che la mamma, abituata a essere la ragazza più desiderata e ammirata del paese, prova per la figlia.
I sentimenti La gelosia e l’invidia sono importanti nella sua vita? «Non sono mai stata gelosa, e da quando sono scrittrice sento molta invidia nei miei confronti, ma grazie a Dio ero già adulta e non mi ha fatto soffrire troppo. Ma ho una particolarità, mi ricordo benissimo di quando avevo due o tre anni di vita. Sono certa che a quell’età ci siamo tutti posti la stessa domanda fondamentale. E cioè: chi è la preferita di mamma?». Che cosa si è risposta? «Avevo e ho ancora una sorella maggiore meravigliosa. Verso i tre anni mi sono chiesta: “che cosa faccio: la amo o la detesto?”. Per fortuna ho scelto di amarla alla follia». Insomma sua sorella era la preferita. «La sfida era impossibile perché mia sorella era infinitamente superiore a me, non potevo vincere. Ho preferito allargare il mio cuore e amarla. Poi la questione si è riproposta quando avevo 19 anni. Ho avuto un’adolescenza molto lunga e dolorosa, ero soffocata dalla certezza di essere brutta. E giuro che non è letteratura, forse ero normale ma mi sentivo spaventosa, come lo scarafaggio di Kafka nella Metamorfosi». E cosa è successo a 19 anni? «Passeggio per Bruxelles e incrocio tre ragazze della mia età, piene di grazia, splendenti, gioiose. Mi sento un vuoto allo stomaco, di nuovo, e mi chiedo”cosa faccio, è talmente ingiusto, perché loro sono così e io no?” E mi ricordo di essermi detta”Amélie, di nuovo, hai solo due possibilità: o le odi o le ami”, e ho scelto di nuovo la seconda soluzione. Credo insomma che la gelosia sia la risposta sbagliata a una questione legittima. Che è quella dell’alterità, del come sopportare di non avere gli stessi doni, come tollerare l’ingiustizia: non sono abbastanza bella e intelligente, come faccio?».
I rapporti Oggi si tende a mitizzare il rapporto genitori-figli, una donna può sentire di nuovo la pressione sociale di avere bambini e adorarli, forse qualche decennio fa non era così. «È vero, e si dà per scontato l’istinto materno, quando penso che non sia per niente universale. Ci sono donne che ce l’hanno e altre no». E ci sono donne che decidono di non avere figli. «Come me per esempio, e che non sono mostri per questo. Nella mia famiglia allargata ancora non si sono ripresi dalla mia scelta. Per il clan Nothomb, che è la famiglia più cattolica del Belgio, sono una persona anormale. Mi trattano come un caso umano, quando parlano di me dicono “sì ma sai, ha uno stile di vita tutto suo...” Siamo in un periodo di regressione sociale e lo trovo inquietante. Come se ci fosse sempre qualcuno a ripeterti”guarda che la vita non è uno scherzo”. Persino alcuni lettori giudicano i tuoi libri non dal punto di vista letterario ma morale. Per esempio in “Né di Eva né di Adamo” racconto di avere lasciato il mio fidanzato quando avevo 23 anni. C’è chi mi scrive per rimproverarmi».
Gli uomini Se le donne devono affrontare la questione dell’invidia, nel romanzo gli uomini non stanno meglio. Non capiscono nulla di quel che succede loro intorno. «Non è un giudizio generale, ma mi ricordo che mio padre in casa era un personaggio subalterno. Ambasciatore, uomo influente, perdeva il potere appena rientrato tra le mura domestiche, dove le leve del comando ce le aveva mia madre. Mio padre aveva una vita professionale magnifica ma non provavo alcuna ammirazione per lui».
In questi giorni si parla molto di violenze sulle donne. Lei è stata violentata quando aveva 12 anni, in Bangladesh. «È stato un episodio centrale della mia adolescenza, senza dubbio. Ha contribuito a renderla il periodo orribile che è stato. Detto questo, credo che tutte le adolescenze siano violente. La prima domanda che mi viene da fare quando conosco qualcuno è sempre”come è riuscito a superare l’adolescenza?” Io per esempio sono ancora incredula di essere sopravvissuta. E in uno stato, tutto sommato, passabile (ride, ndr )».