il Fatto Quotidiano, 2 marzo 2018
Bonino e l’elettore (finto) di sinistra
Salutiamo l’entrata (e la prevedibile imminente uscita) nell’antropologia politica italiana, già stravagante di suo, di una nuova eclettica figura: l’elettore di sinistra della lista +Europa di Emma Bonino. Il fenotipo è facilmente identificabile: non vota Pd perché “non riesce a dimenticare che il segretario è Renzi” (Michele Serra), anche se finora era riuscito a ignorarlo senza particolari remore morali; ciò nonostante, sostiene “la coalizione”; anzi, ad esser precisi “sostiene Gentiloni” (Enrico Letta), che però non è candidato e deve aver lasciato detto all’intellighenzia di citofonare a Bonino.
Non serve che dica, questo furbone machiavellico, che vuol fare dispetto a Renzi, raccontando a sé stesso che se Bonino supera il 3% si aggiudica i seggi in Parlamento che il Napoleonino di Pontassieve era già convinto di accaparrarsi come previsto dal Rosatellum.
Ora, a questo bizzarro animale elettorale non serve dire che Emma si è già dichiarata disponibilissima, nel caso, a sostenere un governo con B. (alleato della Lega anti-europeista), come del resto fece nel ’94, trovando fino al 2006 (due anni prima di allearsi col Pd di Veltroni) che di B. fosse da “apprezzare ciò che fa come premier” (non come palazzinaro, non come padrone televisivo, e nemmeno come utilizzatore finale: proprio come premier).
L’elettore +europeista, al caldo nel suo soggiorno pieno di prime edizioni Einaudi, non proverà alcuna dissonanza cognitiva nel sostenere i Radicali (da non confondere col Partito Radicale di Bernardini e Turco) che sostengono il Pd che ha distrutto lo Statuto dei lavoratori ed è alleato con la lista della berlusconian-alfaniana Lorenzin. Del resto si è fatto andare bene che non riuscendo a raccogliere le 25mila firme necessarie alla presentazione della lista, Emma abbia accettato l’ospitalità offertale dal cattolico antiabortista Tabacci nel proprio Centro democratico, aggirando la legge nel sollievo e persino nel tripudio generale. Posto che non c’è giornale che non si genufletta ogni volta che la nomina, Bonino da mesi si fa le sette chiese televisive chiedendo, come nella migliore tradizione radicale, non si capisce bene cosa (che i radicali non siano boicottati, che è ora di smetterla di non farli parlare, che bisogna accogliere gli immigrati che Minniti respinge etc.), e può contare su pannelli elettorali luminosi giganteschi nelle maggiori stazioni come nemmeno Ceausescu, e forse neanche Renzi, avrebbe potuto desiderare.
E sì che Emma non manca occasione di far capire dove batte il suo cuore. Dopo aver indicato la cura per la Nazione in una maggiore austerità e in una minore spesa pubblica (per le famiglie, i cittadini, la Sanità, la Scuola, insomma per quella cosa romantica e lontana chiamata popolo), e aver del resto chiamato la sua lista +Europa a scanso di equivoci, l’altro giorno ha detto che la “scuola deve preparare più e meglio al lavoro”. Quale tipo di lavoro, lo ha chiarito lei stessa: “Nei Paesi vicini alla piena occupazione come la Germania, cercano più ingegneri e operai specializzati che non dei latinisti“. È vero. Anche sotto Hitler la disoccupazione in Germania era pari a zero e il lavoro rendeva liberi i cittadini, specie quelli ebrei, nelle fabbriche del Reich; la cultura, davanti alla quale mettevano mano alla pistola i gerarchi nazisti, non era che uno strascico kitsch della passata grandezza o un lusso raffinato per pochi eletti. Latinisti non ne servivano, al regime, e anche oggi le nostre città sono piene di classicisti disoccupati, in tutta evidenza non talentuosi come la Lorenzin, che ha trovato lavoro come ministro (della Sanità!) con la sola maturità classica.
Per Bonino andrebbe anche “bene il boom del liceo classico”, purché provveda a irrobustire braccia per il lavoro, beninteso questo lavoro del 2018, che per chi ha il culo al caldo è un’ottima occasione di crescita e progresso e per gli altri schiavismo legalizzato a tutele crescenti.
Mancava Bonino, di cui non stiamo a ricordare le nobili battaglie civili del passato, a dare manforte alla dottrina neoliberista della scuola come allevamento di polli da batteria per ingrassare i padroni e non come educazione alla Storia, alla riflessione e all’uso critico dell’intelletto; non fossero bastate le dannose riforme della Scuola ad opera di ministri dipendenti di un miliardario milanese coi libri finti nel tinello, o l’ultima, renziana, detta Buona Scuola, con la incredibile idea dell’alternanza scuola-lavoro con la quale si sottraggono gli studenti alle ore di studio per fargli svolgere gratis mansioni manuali che altrimenti andrebbero pagate.