Libero, 28 febbraio 2018
Erdogan manda le bimbe a farsi uccidere per Allah
Fateci rivedere la faccia dei favorevoli a una Turchia europea, forza: noi gli mostreremo questa foto, c’è anche il video. Si vede il presidente-satrapo di 75 milioni di musulmani, Recep Tayyip Erdogan, che augura a una bambina di diventare una «martire» durante un congresso del suo partito, nel sud della Turchia. In sostanza le augura di morire: è solo questo che una bambina di sei anni può aver recepito. E si vede che ne aveva poca voglia, di morire, perché è scoppiata a piangere. «Ha la bandiera turca in tasca», aveva detto il satrapo indicandola, «e se diventerà una martire, a Dio piacendo, la avvolgeremo con quella». Grazie, presidente. Ma la bambina, agghindata con la divisa degli stessi «berretti marroni» impegnate dal 20 gennaio nell’invasione armata della Siria, non la piantava di frignare: forse un’infedele. Ma no, niente ironia e niente falso stupore: per varie culture musulmane è normale augurare a un bambino di morire in battaglia appunto come un martire, solo che queste culture in genere non appartengono all’islam moderato per eccellenza (la Turchia) che intanto fa ancora parte della Nato e viene equipaggiato con 116 jet F35 e 250 jet Tai Tfx, giocattoli in mano a chi di moderato ormai non ha più nulla, neanche per finta. In genere queste culture non sono alle porte di casa, non caldeggiano la propria entrata nella Unione Europea (dicasi Occidente), non beccano miliardi di euro anche dall’Italia per arginare le frontiere con la minaccia continua di riaprirle ai profughi, e non arrestano migliaia tra oppositori e intellettuali e professionisti, insomma, no, non elogiano il tipico martirio contro gli ebrei e i cristiani, e in genere no, non ci sono vecchi che augurano la morte alle bambine: a dio piacendo, beninteso. Niente falso stupore, adesso: anche se molti guardano al presente di Erdogan, e al futuro, come se non avesse un passato.
TRASFORMISTA
Il giovane Erdogan mostrò subito aderenza all’islamismo estremista: nel 1970 era a capo della sezione giovanile del Partito della Salvezza Islamico (Msp, un partito teocratico simil-Isis) che dopo il colpo di stato militare del 1980 tuttavia fu sciolto e riapparve come Partito del Welfare. Erdogan ne divenne leader: si rivolse, già allora, al malcontento popolare verso le autorità militari. Usò la poltrona da sindaco di Istanbul come piattaforma per predicare l’islamismo militante, tanto che nel 1998 finì in galera (4 mesi) per sedizione contro lo stato laico e incitamento all’odio religioso: aveva ripreso i versi di un poeta secondo i quali «le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati». Divenne un martire (ma da vivo) e di lì in poi prese a travestire il suo fanatismo. Cambiò ancora nome al partito (divenne Partito della Giustizia e dello Sviluppo, Akp) e fece alleanze poi regolarmente tradite sino all’elezione a primo ministro. Ma è sempre restato leader di un partito che si chiamava «islamico», secondo il quale uomini e donne non possono ricoprire le stesse posizioni «per natura e per indole», secondo il quale l’uguaglianza non va bene, tanto che sua figlia Summeyye precisò che il compito dell’uomo era «portare il pane a casa e mantenere la moglie e i figli», e tanto che sua moglie Emine, invece, ribadì che le turche dovevano trarre «ispirazione» dagli harem «che preparavano le donne alla vita». Questo in un periodo in cui Erdogan già chiudeva giornali, incarcerava scrittori, censurava internet, riammetteva il velo per le donne e discriminava apertamente le minoranze: in altre parole re-islamizzava il Paese, e già che c’era si faceva costruire un palazzo megalomane da 800 milioni di dollari (Palazzo Bianco, mille stanze, 34mila metri quadrati di moquette, un parco e un bunker anti-atomico) e se ne fotteva di qualsiasi lagnanza rivoltagli dalla stessa Unione Europea in cui aveva chiesto di entrare nel 2003.
IL FÜHRER
Parliamo di un personaggio che poi, nel gennaio 2016, citò «Hitler» come esempio di «un sistema presidenziale forte», lo stesso sistema che poi avrebbe introdotto in Turchia usando la vaselina dell’emergenza golpe. Poteva citare, ai tempi, l’esempio della Francia di Hollande o degli Stati Uniti di Obama: no, scelse Hitler. E parlò di limitare i poteri del Parlamento, reintrodurre la pena di morte, spuntare ancor di più le libertà di espressione, di stampa, di manifestazione, tutti questi banali status da occidentali. L’obiettivo? Non serve un paragnosta per saperlo: trasformare la Turchia in forza egemone nella regione e nel mondo. Lo stesso mondo che finge di stupirsi se adesso augura il martirio a una bambina di sei anni. Ma è normale. È islam.