Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  febbraio 28 Mercoledì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA SULLA POLITICA –

Renzi o Gentiloni? "Serve un periodo di maggiore rassicurazione di questo Paese perché il Paese bisogna portarselo dietro. Contro il Paese è difficile cambiare. L’esperienza e le modalità di Gentiloni possono essere più propizie per un’inclusione. Questo Paese è pieno di insulti e volgarità". Così Emma Bonino, leader di +Europa, intervistata a HuffPost Live da Pietro Salvatori e Angela Mauro.


"Con Renzi - ha aggiunto Bonino - ci conosciamo poco, lui sa come la penso. Non c’è mai stato un rapporto e non si è creato in queste elezioni. Renzi sa bene che i Radicali sono difficili da convincere, ma sono istituzionalmente leali, lo sono sempre stati".


***


==Lega: Salvini,con CasaPound parlo se entrano in Parlamento 

Tajani stia a Bruxelles. Manifestazione centrodestra? Io ci sarò (ANSA) - ROMA, 28 FEB - "Tajani fa egregiamente il suo lavoro al Parlamento europeo e credo che continuerà anche a farlo. Perché il 4 marzo vinciamo noi". Matteo Salvini - intervistato da La Stampa - è sicuro che nel centrodestra la Lega supererà Forza Italia. Sul possibile sostegno di casaPound, Salvini glissa: "Chiedo voti per la Lega e per il centrodestra. CasaPound non fa parte del centrodestra, quindi la questione non si pone". Però è disposto a discutere con loro: "Se saranno in Parlamento. Quando sarò premier parlerò con tutti i partiti rappresentati in Aula. Quindi anche la Boldrini o la Bonino o la Lorenzin. Anzi, con la Bonino o la Lorenzin, dati i sondaggi, probabilmente no. Potremo sempre scriverci delle mail". E sulla manifestazione comune del centrodestra di domani commenta: "Cosa sarà, comizio, conferenza stampa, incontro pubblico, ancora non lo so. Di sicuro c’è che l’Atlantic di Roma è prenotato per le 18 di giovedì e che io ci sarò. Gli altri, non so". E il gran finale di campagna venerdì lo farà "a Milano. Lì ci sono anche le regionali da vincere". E il chiarimento con Maroni, avverrà "dal 5 marzo in avanti". (ANSA). Y12-LEM 28-FEB-18 08:57 NNNN


***


GRASSO APRE ALLE LARGHE INTESE – LASTAMPA.IT – 

Governo di scopo con Berlusconi e Renzi? «Se ci dovesse essere questo scopo, se il presidente Mattarella ce lo chiedesse, noi saremmo assolutamente disponibili». Così Pietro Grasso, leader di Liberi e Uguali, nel corso della registrazione di Porta a Porta, in merito a un esecutivo a tempo con l’obiettivo di fare una nuova legge elettorale. Parlando Movimento 5 Stelle, ne ha definito l’atteggiamento «cangiante. Su alcuni temi sono incompatibili con i valori, le idee e i principi di sinistra, come Europa, immigrazione e diritti civili. Quindi sono incompatibili con Liberi e Uguali, perché noi siamo la sinistra». Secondo il presidente del Senato, infatti «sembrano più vicini a destra che a sinistra». 

 

“Progetto non finalizzato alle elezioni”  

«Dal 5 marzo faremo il nuovo partito della sinistra da rifondare per arrivare eventualmente ad un allargamento al centro» ha aggiunto. All’obiezione se ciò significhi ammettere la provvisorietà di Leu, Grasso ha risposto: «Leu nasce dall’unione di Si, Mdp e Possibile ma abbiamo un progetto comune che non è finalizzato alle elezioni ma è molto più ambizioso». 

 

Fitto: “Come centrodestra puntiamo a vincere”  

Nello stesso momento Raffaele Fitto, capo politico di Noi con l’Italia-Udc, intervenendo al forum live Ansa-Facebook esprime una intenzione opposta: «Noi siamo convintamente contrari alle larghe intese, come centrodestra puntiamo a vincere». Confermando la manifestazione unitaria in programma per giovedì pomeriggio ha aggiunto: «Domani emergerà con chiarezza l’obiettivo del centrodestra che chiede il voto utile perché è l’unica coalizione che può vincere avendo i numeri per governare».  


***


GOFFREDO DE MARCHIS, REPUBBLICA.IT –

Enrico Letta si schiera: "Sostengo Gentiloni e la coalizione di centrosinistra". Il primo presidente del Consiglio di questa legislatura fa la sua dichiarazione di voto. Voto che avrebbe già espresso, con qualche giorni di anticipo rispetto a domenica come italiano all’estero in quanto residente a Parigi. "La drammaticità della situazione - dice Letta - mi sembra che richieda questa scelta".

L’ex premier si riferisce al confronto in corso tra europeisti e nazionalisti, tra forze responsabili e populismi. Proprio in queste ore Letta è Varsavia a una conferenza su Populismi e Nazionalismi. In quella sede ha incontrato, come si può vedere sul suo profilo Twitter, Adam Michnik, storico, scrittore, ex dissidente, da sempre in prima fila contro il totalitarismo e il comunismo.

Tra i fondatori del Pd, Letta prende la stessa decisione di Romano Prodi e Giorgio Napolitano decidendo di votare a favore soprattutto del premier in carica Paolo Gentiloni. E di non rompere il cordone ombelicale con il centrosinistra, nonostante gli attriti con il Pd di Renzi.

"Le parole di Enrico Letta sono importanti", ha dichiarato il vicesegretario Pd e ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina. "Come Pd e centrosinistra andiamo avanti con impegno per un’Italia più forte e più giusta".

Sempre sul fronte del centrosinistra Pier Fedinando Casini ha risposto a chi lo ha criticato per la sua candidatura con una lista che sostiene il Pd: "Stare ancora con Berlusconi? Non siamo su Scherzi a parte" ha detto.

"Io nel 2001 sono stato eletto presidente della Camera, in quei cinque anni ho avuto un rapporto molto difficile con Berlusconi. Ho espresso il mio favore dello Ius soli in tempi non sospetti ed il segno che questo Paese sta regredendo è dimostrato dal fatto che quando ne parlai il centrodestra non polemizzò con me, ora invece il Paese è andato indietro".

"Io non sono del Pd, sono un alleato: il centrodestra non è più quello di ieri, l’elemento trainante sono i lepenisti di Salvini e le persone hanno capito la differenza rispetto a com’era prima. Poi ci sono i cinque stelle che hanno idee come Scientology, una setta. Oggi rafforzare il centrosinistra è rafforzare un’idea d’Italia".

E infine commenta la scelta del leader della Lega di giurare con un rosario in mano: "Quando uno ricorre a una esibizione di un rosario per prendere quattro voti in più si commenta da solo. Non capisco come uno possa pensare che un’esibizione di quel tipo possa piacere alle persone di buon senso".

Del dopo voto ha parlato anche il presidente del Senato e candidato premier di LeU Pietro Grasso: "Noi siamo una forza di sinistra responsabile di governo, se ci dovesse essere questo scopo e il presidente Mattarella ce lo chiedesse noi saremmo disponibili", ha detto a Porta a Porta su Rai 1 rispondendo alla domanda se Leu sia disponibile ad un governo di scopo che modifiche la legge elettorale con Renzi e Berlusconi.


***


MONICA GUERZONI, CORRIERE.IT –

Paolo Gentiloni incassa un altro endorsement tra i padri nobili del centrosinistra. Dopo Romano Prodi, Giorgio Napolitano e Walter Veltroni, anche Enrico Letta annuncia il suo sostegno al premier in carica. Da Varsavia — dove è volato per la conferenza su Populismi e nazionalismi e per incontrare il celebre scrittore, giornalista ed editore polacco, Adam Michnik — l’ex presidente del Consiglio ha lanciato un tweet di appoggio a Gentiloni e alla coalizione: «Il voto del 4 marzo? Se penso a Italia e Europa voglio augurarmi che Paolo Gentiloni ne esca rafforzato con la coalizione che lo sostiene». Pur essendo fuori dalla politica attiva, Letta è molto preoccupato per le sorti dell’Italia e per questo ha sentito il bisogno di battere un colpo: «Percepisco un tasso di pericolo per paese oltre il livello di guardia». L’ex vicesegretario del Pd si dice «molto addolorato» per le divisioni nel centrosinistra: «Spero che sia l’ultima volta e che siano recuperabili».


***

Luigi Di Maio ha fatto avere a Mattarella (che non la leggerà) una mail con la lista dei 17 ministri del prossimo governo cinquestelle. Al mondo, per ora, ha fatto conoscere altri tre nomi, dopo quelli di Fioramonti, all’Economia o allo Sviluppo economico, e del generale dei carabinieri Sergio Costa, all’Ambiente: si tratta di Pasquale Tridico (Lavoro), Alessandra Pesce (Agricoltura) e Giuseppe Conte (Pubblica amministrazione). In un anticipo del primo, futuro consiglio dei ministri, Di Maio ha anche riunito ieri il suo governo. Adesso si tratta solo di vincere le elezioni.
• «I Cinque Stelle vogliono far sapere che non sono più il partito dell’anti-sistema concepito da Grillo e da Casaleggio padre. Ora sono, o meglio vogliono essere, un’altra cosa. Anche se non si capisce esattamente che cosa» [Folli, Rep].
• Intervistato da Ilario Lombardo della Stampa, l’ipotetico ministro del Lavoro Pasquale Tridico fa sapere che potrebbe reintrodurre l’articolo 18 e che di sicuro rendere meno flessibile il mercato del lavoro («in linea teorica abbassare eccessivamente il costo del lavoro spinge le imprese a investire in produzioni labour intensive, ostacolando crescita della produttività e innovazione tecnologica»).

***

La via Washington, a Milano, una sfilata di cartelloni destinati alla propaganda politica rimasti vuoti. «I manifesti costano di più e garantiscono meno visibilità, i post online sono gratuiti e si affacciano simultaneamente su un bacino di milioni di utenti. Oggi i problemi di cassa, aggravati dal taglio progressivo ai finanziamenti pubblici, hanno costretto a investire tutto o in parte sulla Rete». Lo spot del Pd su YouTube ha fatto 20 mila visualizzazioni nei primi due giorni, la clip di Forza Italia dove Berlusconi spiega come si vota ha ottenuto 200 mila clic. Idem su twitter: «Liberi e Uguali ha sfornato poco più di 1.700 tweet, il Pd 47.700, Noi con Salvini 48.800, Forza Italia 150mila». Si sfrutta in maniera esplicita la strategia pubblicitaria del marketing online: non è l’utente che incrocia il contenuto, ma il contenuto che rincorre l’utente. «È più facile distogliere gli occhi dalla strada, che non da un display controllato fino a 2mila volte al giorno». Però «il messaggio di un candidato pubblicato online viene visto con maggiore probabilità da chi la pensa come lui. Mentre un manifesto può essere visto da tutti e quindi aiutarlo a raggiungere pubblici nuovi. “Pubblici”, non elettori. Per nobile che sia, anche la politica è un prodotto» [Magnani, Sole].

***

FIORAMONTI CONTRO ISRAELE? – GIANLUCA ABATE, CORRIERE.IT – 

La scelta di Lorenzo Fioramonti — professore di Economia politica all’Università sudafricana di Pretoria, indicato da Luigi Di Maio come possibile ministro dello Sviluppo economico in caso di vittoria dei Cinque Stelle — scatena una nuova bagarre politica. A innescarla è il deputato del Pd Emanuele Fiano, secondo il quale Fioramonti «applica il boicottaggio di Israele». Il parlamentare cita diversi episodi a sostegno della sua tesi, ricorda che «questo professore non accettò di partecipare ad un convegno perché avrebbe parlato anche l’Ambasciatore di Israele», fa riferimento a «una sua intervista in inglese dove spiega la sua posizione» e attacca: «Si possono esprimere le critiche che si vogliono sulle scelte dei governi di qualsiasi paese, ma il boicottaggio di Israele è un’altra cosa, gravissima».

Dura la reazione della comunità ebraica. «Ha destato inquietudine e indignazione — si legge su Pagine ebraiche 24, quotidiano dell’ebraismo italiano edito dall’Ucei — la notizia della candidatura a ministro di Lorenzo Fioramonti, docente di economia contraddistintosi in passato per aver sostenuto la campagna d’odio e boicottaggio contro Israele».

Subito dopo arriva la replica di Luigi Di Maio, leader politico dei Cinque Stelle e candidato premier: «È una notizia non vera. Il Movimento non è contro Israele, è contro il boicottaggio e non ha un ministro contro Israele. Fioramonti ha già chiarito quella vicenda e telefonerà all’ambasciatore per chiarire. Mi dispiace che si segua la strumentalizzazione del Pd contro i miei ministri». Ma Mara Carfagna, portavoce dei deputati di Forza Italia, attacca: «Aspettiamo chiarimenti e scuse da Luigi Di Maio che, evidentemente, si è messo a scherzare col fuoco dell’antisionismo».

Il professor Fioramonti, però, respinge tutte le accuse. E spiega: «Non ho mai sostenuto e non sostengo tutt’oggi, ovviamente, alcun boicottaggio nei confronti di Israele. Al contrario, ritengo che lo sviluppo e la crescita dell’economia globale passi proprio attraverso la cooperazione e la partecipazione di tutti, anche in Medio Oriente. Israele è e resta un partner importante dell’Italia nel lungo percorso di crescita che vogliamo intraprendere. In queste ore il mio nome è salito alle cronache nazionali per un episodio verificatosi circa due anni fa. Il fatto in questione è oggetto di una strumentalizzazione senza precedenti da parte di una specifica parte politica. Ed è davvero triste che qualcuno prenda a pretesto un tema così delicato, come il conflitto israelo-palestinese, per muovere attacchi contro la mia persona e contro Luigi Di Maio, arrivando persino a parlare di antisemitismo. Tra l’altro proprio io, che per anni ho collaborato con le associazioni per l’amicizia ebraico-cristiano quando ero un giovane studente universitario ed ho collaborato con università israeliane come studioso. Tutto quel che sta accadendo è surreale».

Il chiarimento viene accolto positivamente dalla presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello: «Bene. Israele è uno Stato democratico il cui ruolo è fondamentale per raggiungere la pace in Medio Oriente. È importante che tutti riconoscano come il boicottaggio di Israele rappresenti una formula, nemmeno tanto velata, di discriminazione». Parole che arrivano al termine di una convulsa giornata nella quale il caso Fioramonti ha rischiato di riaprire una ferita nei rapporti tra il Movimento e Israele, già minati da una serie di precedenti. Tre anni fa, infatti, proprio i Cinque Stelle invitarono a Montecitorio Omar Barghouti, il fondatore del movimento per il boicottaggio di Israele, che accusa lo stato ebraico di «nazismo». Nel 2014, durante la guerra a Gaza, il M5S chiese al parlamento di ritirare l’ambasciatore italiano a Tel Aviv. La reazione dei diplomatici israeliani in italia — come sottolineò Giulio Meotti sul Foglio — fu durissima: «Posizioni simili a quelle espresse da chi si oppone al sionismo». Prima ancora, quando l’ex premier Enrico Letta firmò con Benjamin Netanyahu l’accordo tra Acea spa e Mekorot WC ltd, il gruppo consiliare dei Cinque Stelle (del quale faceva parte anche Virginia Raggi) tuonò contro l’intesa: «Contribuisce a legittimare le violazioni del diritto internazionale umanitario».

Sulla stessa linea anti-israeliana si sono poi iscritte le varie dichiarazioni di leader e parlamentari. Alessandro Di Battista ha sostenuto che «Israele sta portando avanti un genocidio» a Gaza (24 luglio 2014). Il parlamentare Manlio Di Stefano, invece, si è spinto un po’ più avanti: «Hamas terrorista? Hanno vinto libere elezioni, poi l’isolamento di Gaza non gli ha consentito di democratizzarsi» (12 luglio 2016). Gli esponenti del Movimento hanno sempre rivendicato il diritto di critica, spiegando che il bersaglio delle loro dichiarazioni è il governo, non il popolo israeliano. Ma Paolo Bernini (quello dei microchip sotto la pelle) il 27 luglio 2013 se ne uscì così: «Il sionismo è una piaga».


***


M5S, FIORAVANTI MINISTRO DELLO SPORT - REPUBBLICA.IT –

Domenico Fioravanti, due volte campione olimpico nel nuoto a Sydney 2000, è il nome indicato da Luigi Di Maio come ministro dello Sport se i Cinquestelle vincessero le elezioni e ricevessero l’incarico di formare il governo. Il nome del nuotatore è contenuto nella lista inviata da Di Maio al Quirinale.

La scelta di Fioravanti è stata annunciata da Alessandro  Di Battista nel corso dell’evento "Sport e legalità" al quale partecipava anche il campione e in cui il Movimento presentava il programma per lo Sport: "Il nuotatore più medagliato del nuoto azzurro, qualora il M5s andasse al governo, sarà il nostro ministro dello Sport. Di Maio ha chiesto la sua disponibilità e lui ha accettato".

"Scusate un pizzico di emozione - ha detto Fioravanti, commentando la notizia nel suo intervento seguito a quello di Di Battista - non capita tutti i giorni di ricevere così tanto affetto. Sarà un grande onore e un privilegio ricoprire questa carica, ma al tempo stesso una grande responsabilità. Mi reputo un uomo di sport ma al servizio dello Sport".

"Bisogna lavorare", ha continuato l’olimpionico, definendosi "molto emozionato", per trasmettere ai giovani e ai più piccoli "le regole e i sani valori" dello sport, compreso il "rispetto dell’avversario. Ho vissuto sulla mia pelle il bello e il brutto dello sport, mi ha insegnato a non mollare mai, mi ha insegnato che è normale perdere e anche questo bisogna spiegarlo ai giovani. Tutti noi ci siamo ritrovati a rialzarci dopo una sconfitta", l’importante è farlo "senza scorciatoie, senza l’utilizzo di sostanze proibite. Non è importante se qualche volta perdiamo e cadiamo, quel che conta è rialzarsi per il raggiungimento degli obiettivi".

"Semmai sarò ministro non sarò solo presente al taglio dei nastri - ha promesso - ma lo sarò in prima persona nelle palestre, nelle piscine e negli impianti sportivi per mostrare che non siamo solo figurine" ma vicini "ai piccoli e ai giovani che rappresentano il motore del futuro".

All’evento a Pescara era presente anche Zdenek Zeman. "Sono qua per sbaglio, dovrei essere tra voi. Mi hanno attaccato dicendo che il voto è segreto, ma io mi sono schierato perché ci credo. Da 60 anni sono nel mondo dello sport e mi interessa... l’unica forza politica che presenta un programma sullo sport, cioè loro. I problemi ci sono, speriamo si riesca a risolverli".

Con l’annuncio di stamattina si rivela dunque un nuovo tassello del governo ombra proposto anticipatamente dal Movimento Cinque Stelle: sui 18 nomi che Di Maio ha spedito al Quirinale in una lista di proposte tanto irrituale da scatenare la bagarre politica, a questo punto si conoscono i primi sei nomi, cioè un terzo del fantagoverno Di Maio. Accanto a Fioravanti per lo Sport ci sono il generale Sergio Costa per l’Ambiente, l’economista Lorenzo Fioramonti allo Sviluppo econmico, Pasquale Tridico al Lavoro e Welfare, Giuseppe Conte alla Pubblica amministrazione e Alessandra Pace all’Agricoltura.



***


ALESSANDRO DI MATTEO, LA STAMPA –


È una campagna elettorale «brutta», «triste», che non sembra appassionare gli elettori, ma gli ultimi giorni saranno comunque cruciali perché i collegi uninominali in bilico sono diversi e gli indecisi ancora parecchi. A quattro giorni dal voto, alcuni dei principali sondaggisti tracciano un bilancio di queste settimane di comizi e interviste tv dei leader politici e il giudizio, mediamente, non è lusinghiero per le forze politiche.

I numeri, i «pesi» dei vari partiti, non possono essere pubblicati, ma gli esperti di rilevazioni continuano a monitorare l’umore degli elettori e perlopiù bocciano la comunicazione elettorale dei vari protagonisti. La vera incognita sembra essere l’affluenza, e alla fine a decidere il risultato in qualche collegio potrebbe essere il freddo siberiano di questi giorni, il vento gelido e la neve che potrebbero tenere a casa diverse persone.
«Sono le peggiori elezioni che abbia mai visto», sentenzia Roberto Weber di Ixè. Una campagna elettorale senza più le ideologie «ma poco fattuale, basata su programmi che non sembrano sostenibili». Inoltre, «è una campagna “povera”, priva di soldi», perché i partiti non hanno più il finanziamento pubblico. Non si sono visti i manifesti. Ancora la scorsa settimana solo il 30% degli elettori conosceva i candidati del proprio collegio». Per Weber «la campagna elettorale sembra non avere inciso, si poteva anche non fare». Ci sono spostamenti, spiega, ma sono soprattutto «tra partiti della stessa coalizione». La vera incognita, conclude, è «l’affluenza, ma è difficile fare previsioni su questo».
Anche Antonio Noto, di «Noto sondaggi», è drastico: «Secondo me la campagna elettorale non sta funzionando. Oltre alla tv non c’è molto altro. Anche i social network sono utilizzati poco e male: si ricorre allo stesso linguaggio usato per i manifesti in strada, ma non dovrebbe essere così». Insomma, «è una campagna un po’ triste, non c’è nulla di nuovo, mancano i grandi argomenti che creano un legame sentimentale con l’elettore», i programmi dei partiti «sembrano più che altro liste della spesa». Anche le proposte ad effetto sono ormai inflazionate: «Prima i partiti si giocavano l’asso vincente negli ultimi giorni. Adesso gli assi sono diventati mille, hanno perso valore». Ma gli ultimi giorni possono essere decisivi: «Nel 2013 il 7% scelse tra il sabato e la domenica e il 5% addirittura cambiò idea in cabina elettorale».
Tanto più che, come spiega Nicola Piepoli, ci sono tanti collegi uninominali in bilico: «Stiamo studiando i collegi marginali: non sono pochi, sono una cinquantina quelli in cui i primi due candidati sono a distanza di uno-due punti percentuali. Molti sono al sud e si decideranno con pochi voti». Anche lui, però, boccia la comunicazione dei partiti: «È una campagna orrenda, non poteva essere peggiore: insulti, aggressioni in strada». L’affluenza, invece, dipenderà molto dal meteo, secondo Piepoli: «Io penso che la partecipazione sarà buona, a patto che non torni “Burian”, che spingerebbe soprattutto gli anziani a stare a casa». Uno scenario che, ovviamente, preoccupa soprattutto i partiti che hanno un elettorato meno giovane.
Fabrizio Masia, Emg, teme invece «un’astensione più forte di cinque anni fa, anche se tutto sommato a livelli accettabili». Anche in questo caso, il giudizio sulla campagna elettorale è negativo: «Sono scomparsi i confronti tv tra i leader. Negli ultimi tempi c’erano anche per le primarie, qui abbiamo una sequenza di monologhi. Ci sono le domande dei giornalisti, certo. Ma il giornalista tende ad avere un atteggiamento neutrale, manca l’antagonista come può esserlo un avversario politico». Anche Masia ritiene cruciali gli ultimi giorni: «Sono ancora tanti gli indecisi e nei collegi uninominali uno spostamento verso l’alto o il basso di 2-3 punti percentuali può cambiare totalmente la partita, soprattutto al sud». Il pronostico è da Totocalcio: «Allo stato dico che potremmo ritrovarci di fronte alla vittoria di qualcuno o davanti a un triplice pareggio». Per i partiti, ancora qualche ora per andare a caccia degli indecisi, con un occhio alla carta del meteo.



***



MARIA TERESA MELI, CORRIERE.IT –

È il giorno di Renzi e Gentiloni all’Adriano. Ma gli onori di casa non li fanno loro. E non li fa nemmeno Zingaretti. Se ne incarica invece «il Viperetta», al secolo Massimo Ferrero, presidente della Sampdoria, nonché proprietario del cinema dove si svolge l’iniziativa pd. Lui chiacchiera con Padoan e controlla «che sia tutto a posto». «Ma — precisa — non so’ amico de Renzi, non so’ amico de nessuno io».

La manifestazione ha quindi inizio. Mentre interviene Zingaretti il premier e Renzi, seduti in prima fila, parlano fitto fitto. C’è chi, dentro e fuori il Pd, li vorrebbe mettere l’uno contro l’altro allo scopo di stringere all’angolo il segretario. Andrea Orlando dalla Puglia afferma: «Ripartiamo da Paolo». Persino Bersani, contraddicendo Grasso, dice di sì a «un Gentiloni bis per fare la riforma elettorale». Ma Gentiloni non ci sta. E dal palco lo spiega forte e chiaro: «Hanno giocato sulle divisioni del Pd e qualcuno ha assecondato questo gioco. Matteo noi a quel gioco non ci stiamo, alle divisioni non ci prestiamo». Quasi una rassicurazione nei confronti del leader.

E più tardi Gentiloni, intervistato da Floris a La7, a chi gli chiede se con lui candidato il Pd avrebbe avuto maggiori chances di vittoria, sottolinea che «il gioco delle figurine del candidato premier non lo interessa». E quando gli domandano se è Renzi allora il candidato, l’inquilino dà la risposta standard, la stessa che fornisce sempre anche il segretario: «Il Pd ha tanti candidati premier».

Come Renzi anche Gentiloni spera che negli ultimi giorni «la nostra competenza e le nostre capacità sposteranno i voti». Da Floris lo dice in un’altra maniera: «Penso che gli italiani comprerebbero un’auto usata da me. E dal Pd».

Per Gentiloni in queste elezioni «la posta in gioco è alta» e riguarda «i fondamenti della società democratica». Visto che il premier e il segretario si scambiano baci e abbracci, l’attenzione si sposta su Zingaretti. Perché se ne è andato prima del tempo? Per non fare la foto con Renzi? In verità l’ha fatta all’inizio, dal palco, ed è scappato via a metà del discorso di Gentiloni solo perché aveva altre tre iniziative elettorali. Zingaretti viene indicato da alcuni come la possibile alternativa a Renzi. Ma lui lo ha già detto a tutti gli amici: «Non si può amministrare una Regione e occuparsi del partito, e io amministro».

L’ultimo a salire sul palco è il segretario. Mostra i sondaggi delle Europee: «Ci davano il 32 e abbiamo preso più del 40». Un modo per fugare la preoccupazione dei militanti per il risultato. Mentre parla un signore in sala si alza e gli urla: «E la Boschi dove l’avete candidata?». Renzi si ferma e replica così: «A Bolzano, proprio per evitare una campagna con tutta la polemica contro di lei». Poi anche il leader, come Gentiloni, insiste sul fatto che il Pd ce la può fare, perché Di Maio «è incapace a governare il Paese», e lo stesso dicasi per i leader del centrodestra.