la Repubblica, 28 febbraio 2018
Pippo Delbono: «In scena canto Nick Cave per sconfiggere il buio e ritrovare la gioia insieme al mio pubblico»
Quando si vede per la prima volta uno spettacolo di Pippo Delbono, si pensa subito che è diverso da tutto: la sua voce roca, la recitazione scomposta, i suoi non-attori, i suoi racconti che sono un po’ pezzi di vita, un po’ pezzi di poesia, un po’ pezzi furbi... Anche se non ti piace nulla di quei lavori imperfetti, autobiografici, ti colpiscono sempre sul filo di una commozione costante. Pippo Delbono, attore e regista, è diventato anche per questo un protagonista dell’ultimo ventennio nel teatro italiano e europeo: artista fuori dall’ordinario (lo racconta bene un libro partecipato di Gianni Manzella, La possibilità della gioia, che intreccia teatro e storie personali di Pippo, le tournée, gli amori, la mamma, la sieropositività mai nascosta), che ha moltiplicato la sua vita nei suoi spettacoli, stavolta nel nuovo lavoro La Gioia fa molto di più e ci guarda dentro.
Realizzato con la sua compagnia («persone a cui mi sento legato umanamente»), lo spettacolo partirà domani dall’Arena del Sole di Bologna, prodotto da Emilia Romagna Teatro, prima di un lungo tour mondiale che inizierà a Nuova Delhi il prossimo 12 marzo.
Pippo, che cos’è la gioia?
«Una parola che mi fa paura perché fa venire in mente famiglie e bambini felici. Per carità. Credo che sia un obiettivo che dobbiamo darci nella vita. La gioia è un cammino. E lo è anche il mio spettacolo. Dichiaro subito che presenterò un lavoro con le sue imperfezioni in corso, uno studio, perché non voglio farmi prendere dalla fretta di chiudere quello che ho fatto finora in una confezione. Chiedo al pubblico di condividere un cammino insieme a me, magari diventare mio complice, sapendo che lo spettacolo nasce in un momento particolare. Sto attraversando un momento di buio della mia vita».
Non ha paura di parlarne?
«È un po’ di depressione, di angoscia, mi sono abbandonato alla mente che mi ha trascinato giù. Sento il bisogno di chiedermi perché facciamo questo mestiere, di mettere in discussione la mia funzione, ma anche di provare un po’ a cambiare questo mondo che è in un momento di angoscia, dolore, follia, sete di potere. Da artista dico fermiamoci a guardare, magari ciò che ci siamo dimenticati lungo il cammino».
E cosa?
«Qualcosa che supera la tristezza, l’angoscia, la solitudine. Lo spettacolo è come un racconto sciamanico, un viaggio meditativo dove puoi incontrare attori-alieni, personaggi che appartengono alla fantasia o alla memoria teatrale. O ancora puoi incontrare un rifugiato, lo stesso che già aveva partecipato a Vangelo, il precedente spettacolo, che attraversa il palco silenzioso, cambiando lo spazio scenico ricordando i luoghi del suo attraversamento, tra foglie, vestiti abbandonati ma, alla fine, anche in un giardino di fiori per creare un’atmosfera un po’ di sogno e un po’ da circo».
Perché da circo?
«Il circo è stato il momento in cui mi sono iniziato a emozionare. Parlo del circo semplice, dell’acrobata sul filo, perché mi ha sempre affascinato il rapporto di quella figura con il rischio, che per me è il rapporto con la verità: devi stare vigile col corpo, non puoi fingere».
Lei sarà in scena?
«Ci sarà la mia voce. Ho un po’ paura a esserci fisicamente perché è talmente personale quello che ci sarà dentro. Canterò, ci saranno musiche mie e di Antoine Bataille e quelle di Nick Cave. Ci sarà un mio racconto con parole di morte, dolore, di lutto, parole di vita».
Parole poco gioiose?
«Non so se sarà uno spettacolo gioioso, però sarà un tentativo di riappropriarsi della vita, di trasformare la paura in coraggio, l’ angoscia in speranza. E intravedere la gioia. In fondo la luce la vedi solo nel buio».