Libero, 27 febbraio 2018
Droni e guerra elettronica. Putin si fa l’esercito nuovo
Da quando nel 2015 la Russia è scesa in campo con propri uomini e mezzi per aiutare il governo siriano contro i terroristi dell’Isis e le altre milizie ribelli, l’accumulazione di esperienze operative ha fatto sì che il conflitto fungesse da banco di prova per nuove tecnologie e tattiche che i russi stanno introducendo nello sviluppo dei loro nuovi armamenti. Non stupisce che, a riprova di ciò, da pochi giorni sia documentato l’invio sulla base siriana di Hmeimm, vicino a Latakia, di ben quattro dei nuovissimi, e ancora rari, caccia supersonici di «quinta generazione» Sukhoi Su-57 per valutazioni in ambiente di guerra.
E non a caso, proprio ieri il vice primo ministro Dimitri Rogozin ha annunciato che il presidente Vladimir Putin ha firmato il nuovo piano governativo di acquisizione di nuovi armamenti, secondo cui è previsto il rinnovo del 70% degli equipaggiamenti militari di Mosca già entro il 2021, nonché la totale autosufficienza nella produzione dei componenti base, alcuni dei quali, per esempio, ancora di fabbricazione ucraina. Il costo totale del piano si aggirerebbe sui 19.000 miliardi di rubli, circa 325 miliardi di dollari, fino al 2025 almeno.
Rogozin, nel dare un quadro generale del riarmo russo ne ha rimarcato il carattere di frontiera: «Robotica, sistemi di intelligence, droni, difesa antimissile, munizioni di precisione, tutto è incluso nel nuovo programma di approvvigionamenti militari. Al tempo stesso dobbiamo guardare al rafforzamento della Nato, allo sviluppo da parte degli Stati Uniti del concetto di attacco globale, all’intenzione di dispiegare armi nello spazio orbitale e allo sviluppo di armi strategiche non nucleari di precisione. Dobbiamo dare una risposta a tutto ciò».
Tra i riferimenti di Rogozin spicca senz’altro quello ai sistemi di Global Strike che gli americani stanno sviluppando, ossia missili a lungo raggio di velocità dieci volte supersonica, per i quali i russi approntano, fra i nuovi sistemi, il missile antimissile S-500, derivato dall’S-400 schierato in Siria. L’S-500 sarà in grado di intercettare ordigni fino ad altezze di 200 km, fuori dell’atmosfera terrestre, fermando le testate dei missili balistici nella fase discendente della traiettoria.
Allo stesso modo, il caccia Su-57 è la risposta russa al Lockheed F-35 americano e l’arrivo di quattro unità in Siria è volto, come dicono i russi, non tanto a impiegarli in combattimento, quanto a collaudarli in un ambiente saturo di emissioni elettroniche americane, sia radar, sia di interferenze e ascolto. Ma è anche deterrenza, dato che il Su-57 sarebbe superiore ai numerosi F-16 ed F-18 che la coalizione a guida americana impiega nell’Est della Siria.
Il supersonico russo, dalla sagoma piatta che ne facilita l’invisibilità ai radar, supera il doppio della velocità del suono, arrivando a 2600 km/h e ha un cannoncino e svariate combinazioni di missili, sia per il duello aereo, sia per l’attacco al suolo. Finora del Su-57 sono stati costruiti una dozzina di prototipi, al costo di 100 milioni di dollari l’uno, destinato a decrescere all’avvio della produzione massiva.
Anche sul fronte di terra la Siria ha permesso ai russi di verificare la propria preparazione. Con scalpore, nel febbraio 2016 ad Aleppo un carro armato russo T-90A fornito ai siriani resistette a un missile perforante TOW che lo colpì direttamente sulla torretta. L’esperienza nelle corazze è
stata sfruttata per il nuovo carro da battaglia T-14 Armata, il cui acciaio speciale sarebbe studiato per mantenere intatta la sua robustezza anche alle gelide temperature dei teatri operativi artici. Il T-14 Armata è inoltre innovativo perché la torretta è interamente robotizzata e l’equipaggio di tre uomini è radunato in un modulo speciale nello scafo del cingolato.
Non ultimo, il fronte del mare, dove le operazioni al largo della Siria effettuate dalla portaerei Admiral Kuznetsov, da 55.000 tonnellate e con a bordo 50 fra aerei ed elicotteri, hanno raccolto lezioni utili alla prossima realizzazione di una superportaerei doppiamente massiccia, almeno 90.000 tonnellate, definita per ora Progetto Shtorm, e che imbarcherebbe 90 fra aerei ed elicotteri, oltre a 4000 uomini d’equipaggio. Solo questa portaerei costerebbe 7,5 miliardi di dollari, ma sarebbe pari alle attuali unità americane, seppure queste assai più numerose.