la Repubblica, 28 febbraio 2018
Se la legge ignora la vite dei record
TRENTO Chiuse in un barattolo, con le foglie ben formate anche se pallide, le piantine di vite aspettano. La luce arriva filtrata dalle finestre di un laboratorio, anziché diretta dal Sole. Le radici filiformi non affondano nella terra, ma in un terreno di coltura trasparente e gelatinoso, di quelli usati solitamente nelle piastre di Petri. A un anno e mezzo di età e una decina di centimetri di altezza, queste piccole viti sarebbero pronte per il trapianto nei campi della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, a nord di Trento. Ma il fatto di essere state trattate con Crispr – il nuovo, rivoluzionario metodo di taglia e incolla del Dna – le rende soggette a una direttiva europea del 2001 che sembra riferirsi alla preistoria, tanto veloce corre oggi la genetica. E che quindi non riesce più a rispondere alla domanda: queste piantine, trattate con la forma più avanzata di biotecnologia che esista al mondo, sono Ogm oppure no?
La scienza corre, dunque. Le norme faticano a starle dietro, produttori e ambientalisti duellano a colpi di ricorsi e i paesi decidono (o non) in ordine sparso. La Corte Europea di Giustizia prova a fare chiarezza. Il suo avvocato generale ha presentato un parere sulle nuove tecniche di ingegneria genetica – di cui Crispr è la regina – che suggerisce una politica più liberale rispetto al passato. Ma le 21 pagine del documento, scritte in gergo legal- scientifico, non riescono a diradare la nebbia.
«Queste piantine sono state trattate con Crispr per resistere alla peronospora o all’oidio, le malattie più pericolose del vigneto», spiega Claudio Moser, che alla Fondazione Mach coordina il Dipartimento di genomica e biologia delle piante da frutto. «Siamo fra i primi al mondo ad averle ottenute, insieme a un gruppo americano e uno giapponese. È un lavoro di squadra, che coinvolge una decina di persone, inclusi due partner stranieri. Abbiamo alcune decine di piantine, ma prima di trapiantarle aspettiamo chiarezza dalle norme».
La formulazione dell’avvocato generale della Corte Europea Michal Bobek è impegnativa anche per gli esperti legali della Fondazione. E la decisione di Lussemburgo è prevista per la metà del 2018. Nel frattempo le viti resteranno nel barattolo e i contadini continueranno a spruzzare prodotti contro le infezioni fungine. «Peronospora e oidio si combattono con soluzioni a base di rame e zolfo, che sono ammesse anche in agricoltura biologica», spiega il biotecnologo della Fem. Fatto sta che da Verona in su, almeno fino all’inizio della Val di Non, salire lungo il corso dell’Adige è come attraversare un unico grande vigneto, con piante fittissime. «Qui da noi le viti crescono anche in giardino, fin quasi dentro le finestre di casa. Quando i coltivatori irrorano, il disagio si sente», spiega Moser. «E l’anno scorso, a causa delle piogge, la peronospora ha impazzato. La Provincia ha aumentato il numero dei trattamenti ammessi. Avere piante resistenti farebbe la differenza».
Secondo la direttiva europea 18 del 2001, un Ogm è un organismo con il Dna modificato tramite l’inserimento di materiale genetico esterno o in modo diverso da quanto avviene in natura. Altri metodi per cambiare i cromosomi con mezzi chimici o fisici ( come sottoporre i semi a radiazioni) non ricadono nella categoria e sono ammessi.
Crispr, messo di fronte a questa definizione, è il labirinto legale perfetto. Perché può non prevedere l’inserimento di materiale genetico esterno oppure prevederlo ma in modo reversibile. Perché si limita ad “editare” ( cioè a correggere) singole basi, esattamente come avviene in natura quando si verificano delle mutazioni casuali. Perché l’“editing” operato dall’uomo avviene esattamente nel punto voluto, a differenza delle tecniche di ingegneria genetica precedenti, totalmente imprecise. E perché – particolare da non sottovalutare – una volta usciti dal laboratorio, una pianta o un animale “ritoccati” con Crispr sono indistinguibili dagli originali. «In realtà ci stiamo lavorando – precisa Moser – tracciare un organismo sottoposto a editing genetico può essere difficile, ma forse non impossibile. La Fem ci vuole provare».
La precisione di Crispr, c’è da aggiungere, è più un mito che una realtà, a causa di possibili mutazioni “fuori bersaglio”. A volte l’enzima che taglia la doppia elica non si limita a farlo nel punto voluto, ma anche laddove incontra sequenze di basi molto simili. Ed è anche per questo che nel 2016 un gruppo di associazioni ambientaliste francesi (capolista la Confédération paysanne) ha presentato ricorso alla Corte Europea di Giustizia per evitare che i frutti di Crispr filtrassero silenziosamente fra le maglie della legge. Ricorso cui oggi Bobek risponde con il suo parere. «Non vogliamo che con Crispr si riproponga il clima di scontro che ha caratterizzato gli Ogm», dice chiaramente Andrea Segrè, professore di politica agraria internazionale all’università di Bologna e presidente della Fondazione Mach, istituzione fondata dagli austro- ungarici, ospitata da un convento benedettino del 1200, con una cantina che sembra il set di un film e vigneti sperimentali che si arrampicano dall’Adige ai monti. «Il nostro slogan è: pensa locale e agisci globale. A porre i problemi sono i coltivatori, i primi interessati a non dover irrorare più le loro viti. Se poi riusciremo a risolvere un problema sentito in tutto il mondo, ne saremo felici».
Se la Corte confermerà il parere legale che pare orientato a una liberalizzazione, le piantine del laboratorio trentino potranno finalmente allungare le loro radici nella terra. In caso contrario, Segrè spiega che tre anni di ricerca della Fondazione Mach (l’attività di genome editing è iniziata nel corso del 2015) non andranno comunque buttati. «Se l’Europa dovesse considerare Ogm le piante trattate con Crispr, non così farà probabilmente il resto del mondo. Il nostro obiettivo allora sarà quello di mettere a punto una tecnica capace di tracciare gli organismi provenienti dall’estero. Per fermare alla frontiera i prodotti che a quel punto saranno considerati proibiti».