Corriere della Sera, 28 febbraio 2018
«Cantando le sue opere impari la follia organizzata»
«Non si dà follia maggiore dell’amare un solo oggetto», canta Donna Fiorilla nel Turco in Italia. Rossini usa la follia come un labirinto di possibilità, un grimaldello per rappresentare la pazzia umana in un campionario di agilità e brillantezza vocale. È la «follia organizzata» su cui teorizzò Stendhal, «dove la collisione di sillabe spogliate di senso e sovrapposte alle note, spersonalizza i caratteri trasformandoli in marionette», dice Carmela Remigio, un soprano che studia, «secchiona», curiosa, complice; una regina del canto che nasce violinista, e accosta Rossini a Paganini.Remigio ha iniziato a studiare canto per migliorare il fraseggio violinistico: «Ero una studentessa del conservatorio di Pescara e cercavo di trovare una cantabilità nel virtuosismo di Paganini. Oggi, abbandonato il violino, mi ritrovo a riflettere sulle affinità tra la scrittura vocale rossiniana e quella strumentale paganiniana». Cioè? «Rossini usa la voce come uno strumento, così come Paganini, di cui era amico, mette il suo funambolico virtuosismo (introdusse il pizzicato e lo staccato in note vorticose) al servizio di una espressività che deve sempre essere cantabile».
«La mia testa è un campanello che suonando fa din din». «Se non è follia questa, di Elvira nell’ Italiana in Alge ri … Ma c’è anche nel Rossini serio, solo che è al servizio della drammaticità del personaggio, il patetismo, la malinconia. Dice bene Stendhal: follia organizzata, non a caso Rossini era chiamato il tedeschino, si richiamava al classicismo austro-tedesco».
Carmela è nota anche per interpretare due ruoli nella stessa opera, una piccola follia anche questa. Sorride: «Sì, Donna Anna e Donna Elvira nel Don Giovanni, Adalgisa e Norma, Elisabetta e Maria Stuarda, e per restare a Rossini, Corinna e Madama Cortese nel Viaggio a Reims. É un debutto assoluto invece quello che farò il 15 marzo al San Carlo, Mosé in Egitto, una delle nove opere che Rossini scrisse per Napoli. Io sono Elcìa, l’ebrea che si innamora del figlio del faraone (Alex Esposito). La celebre preghiera, Dal Tuo stellato soglio, fu trascritta con variazioni da Paganini (oltre a Di tanti palpiti )». É una ripresa della regia di David Pountney, apprezzata alla Welsh National Opera. «Un bel cast di colleghi, quasi tutti italiani, il che mi piace, direttore Stefano Montanari. Non è tradizionale, è iconografica, descrive attraverso le immagini e le luci, con un’astrazione fascinosa».
La prima emozione, quando si canta Rossini, è «la libertà interiore. Tu devi essere dentro l’agilità, è come stare sul tetto di un grattacielo, ti butti giù sapendo che i pompieri ti faranno rimbalzare su una rete e non morirai. Ti devi fidare di te stesso, e arrivare fino in fondo senza condizionamenti. A parte Rossini, l’artista deve sempre consegnarsi alla follia per essere creativo».
Carmela Remigio ha inciso un singolare cd rossiniano, «una sorta di divertimento sull’ultima parte della sua vita. Da una Ave Maria scritta su una sola nota, all’addio alle scene di Vienna. In realtà in quel pezzo adatta le parole per ogni città in cui dava l’addio e a Parigi. Parlando di se stesso in terza persona, scrive: la Senna risuonava del suo splendore. Cerco stimoli nuovi, ho cantato 450 volte nel Don Giovanni, il 23 agosto la Petite messe solennelle al Rossini Opera Festival…Mi piace studiare, si imparano tante cose dai personaggi. Il 5 aprile, all’Opera di Roma, altro debutto assoluto, Nedda nei Pagliac c i».
Com’è Rossini rispetto agli altri due compagni di viaggio del belcanto? «Bellini scrive musica sulla melodia, Donizetti lavora su un’agilità più spigolosa e drammatica. Le parole in Rossini hanno un fine per la brillantezza ritmica e la musicalità, usa l’agilità mettendoci dentro un virtuosismo scatenato, che è strumentale. Per questo lo accosto a Paganini»