Corriere della Sera, 28 febbraio 2018
L’uomo desidera sempre l’assoluto. Don Giussani e l’ansia dei giovani
Quando l’editore Rizzoli mi ha chiesto di scrivere una breve prefazione alla nuova edizione di Realtà e giovinezza. La sfida, sono andato a rileggere la premessa al volume scritta da don Giussani nel 1995. E sono rimasto stupito da quanto quelle parole siano pertinenti alla situazione attuale, al punto tale che mi è sembrato superfluo aggiungere qualunque altra cosa; ogni ulteriore parola avrebbe avuto come conseguenza solo quella di distrarre l’attenzione del lettore da quel giudizio. Perciò in queste poche righe mi limiterò a fare emergere il valore della riflessione di don Giussani in relazione al contesto odierno.
Anche oggi il potere esercita un fascino sui giovani. Senza rendersi conto fino a che punto il potere riduce le loro esigenze elementari di uomini, in quanti si lasciano trascinare dalla speranza che, assecondando le promesse del potere, riusciranno a soddisfare i loro cuori alla ricerca di un compimento! Ovviamente oggi tali promesse non hanno più la faccia del passato (pensiamo ai totalitarismi del Novecento: nazismo, fascismo e comunismo), ma quelle del populismo, del nazionalismo oppure dell’uomo forte, per non parlare delle nuove forme di condizionamento che sono i social media.
Anche se il volto del potere è mutato, sorprendentemente la sua capacità di esercitare un’attrattiva sulle nuove generazioni rimane la stessa. Anzi, i social media – che pure rappresentano una formidabile opportunità di comunicazione – forse l’hanno perfino incrementata, con una forza di penetrazione direttamente proporzionale alla debolezza nel resistere a essa.
A volte i genitori si sorprendono di fronte a certi atteggiamenti dei figli, senza rendersi conto che sono la logica conseguenza dell’angustia che sono riusciti a trasmettere nel «disperato impegno» di assicurare loro un futuro senza rischi. A quale prezzo!
Tutto cospira a fare tacere le loro esigenze, mortificando – quasi fino ad annullare – l’autentica dimensione del desiderio dei giovani.
Chi potrà offrire ai nostri giovani un contributo reale in una situazione così invadente, nella quale ogni tentativo di mettere dei paletti risulta del tutto fallimentare? Solo uomini che diventino per loro una provocazione tale da ridestare quelle esigenze fondamentali che sono state ormai ridotte dal mondo che li circonda.
Uomini che non si arrendono, come testimonia Ernesto Sabato: «Mi hanno rimproverato sempre il mio bisogno di assoluto, che d’altra parte appare nei miei personaggi. Questo bisogno attraversa come un alveo la mia vita, meglio, come una nostalgia di qualcosa che non avrei mai raggiunto (…). Io non ho potuto mai placare la mia nostalgia, addomesticarla dicendomi che quell’armonia è esistita un tempo nella mia infanzia; lo avrei voluto, ma non è stato così».
Continua lo scrittore: «La nostalgia è per me uno struggimento mai soddisfatto, il luogo che non sono mai riuscito a raggiungere. Ma è ciò che avremmo voluto essere, il nostro desiderio. È così vero che non si riesce a viverlo, che potremmo credere perfino che risieda fuori della natura, se non fosse che qualsiasi essere umano porta in sé questa speranza di essere, questo sentimento di qualcosa che ci manca (…). La nostalgia di questo assoluto è come lo sfondo, invisibile, inconoscibile, ma con il quale confrontiamo tutta la vita».
Solo uomini all’altezza del loro desiderio potranno realizzare il compito che dovrebbe svolgere l’educazione, come sottolinea don Giussani: «Questa è la strada maestra per ritrovare le domande che fanno l’uomo: imbattersi in persone in cui quelle domande sensibilmente determinino ricerca, aprano a una soluzione, provochino pena o gioia. Allora la montagna di sassi rotola via».
Chi avrà la fortuna di incontrare lungo il cammino uomini che gli restituiscano la propria umanità, quella nostalgia che costituisce lo sfondo invisibile, ma reale, dell’esistenza, potrà avere in mano lo strumento per confrontarsi con tutto quanto compare sulla strada della vita.
Solo con questo struggimento mai soddisfatto, che si chiama «cuore», il giovane potrà smascherare la pretesa totalizzante delle ideologie e di ogni potere, come capitato a una diciassettenne catalana, cresciuta nel clima del nazionalismo indipendentista. La ragazza legge la dichiarazione di un adulto rispetto al referendum del 1° ottobre 2017 – «Noi ci giochiamo tutto!» con il referendum – e commenta così quelle parole, facendo saltare il velo dell’ideologia: «Mi trovo davanti a un uomo che scommette tutta la sua vita su questo, un uomo la cui felicità dipende da una decisione politica».
Questo episodio apparentemente banale conferma quanto abbia ragione Giussani: «Quando (…) la morsa di una società avversa si stringe attorno a noi fino a minacciare la vivacità di una nostra espressione e quando una egemonia culturale e sociale tende a penetrare il cuore, aizzando le già naturali incertezze, allora è venuto il tempo della persona».
La persona, fragile quanto si vuole, irriducibile perché definita da un bisogno di assoluto che nessun potere umano può soddisfare. «Soprattutto un fenomeno sottende l’arco vibrante della vita umana (…), un fenomeno la molla d’ogni problema: il fenomeno del desiderio. Il desiderio che ci spinge alla soluzione dei problemi – il desiderio, che è l’espressione della nostra vita di uomini, in ultima analisi incarna quella attrattiva profonda con cui Dio ci chiama a Sé».
È commovente pensare che Dio è diventato uomo per coinvolgersi con noi nell’avventura per salvare il nostro desiderio. «Il cristianesimo diventa simpatico» cioè attrattivo «in quanto viene scoperto come ipotesi migliore nel quadro naturale dei fattori umani». Che dono possono essere per gli uomini i cristiani quando, in forza della grazia ricevuta, incarnano nel presente quella indomabile irriducibilità che Cristo ha introdotto nella storia!