Corriere della Sera, 28 febbraio 2018
Non è quello che sembra. Sotto la pelle di Torino
Ci volle l’Olimpiade invernale del 2006, sul cui successo i torinesi sembravano gli ultimi a scommettere, per rivelare all’intera Italia una città d’arte affascinante in cui passeggiare fra chiese e palazzi barocchi firmati dai grandi architetti Juvarra e Guarini, sostando in caffè storici dove le parole si sussurrano ancora fra il tintinnare sommesso di posate d’argento e porcellane bon china, nelle stesse atmosfere liberty che accolsero Cavour, Giolitti, Crispi, Gramsci, Nietzsche, Casorati, Medardo Rosso. Gli italiani tornarono allora a scoprire una città di un’eleganza d’antan la cui fotografia era stata incupita dalla patina grigia degli anni industriali e della difficile storia dell’immigrazione operaia. Proprio mentre sembrava destinata a ripiegarsi su se stessa assieme alla crisi della Fiat, Torino fu la prima in Italia ad elaborare un piano strategico alternativo puntando su cibo e cultura lanciando il Salone del Libro, del Gusto, il Film Festival, il restauro dei castelli Sabaudi, Artissima e, oggi, le OGR (Officine Grandi Riparazioni), l’enorme spazio ex industriale appena ristrutturato per accogliere concerti, mostre, spettacoli, che il viaggio del Corriere vi porterà a visitare durante quattro giorni che passeremo fra la città e i suoi dintorni.
Del resto Torino non è mai come appare. Il disegno viario ortogonale, tracciato sulla perpendicolarità del cardo e decumano romani, e poi dagli ingegneri militari di Carlo Emanuele che diedero un ordine marziale a piazza Castello e una facciata di uniforme irreprensibilità a piazza Vittorio, non è riuscito a nascondere certi capricci irrazionali che sorgono improvvisi come il palazzo Carignano, con la sua facciata ondulata da grosso armadio, o la cupola della cappella della Sindone, un bizzarro abbaglio gotico come quella attigua di San Lorenzo, entrambe vertiginose rincorse di archi verso il cielo, simili a scale che girano nel vuoto, sorrette dall’equilibrio contraddittorio di logica e miracolo.
Torino non è quella che appare nemmeno nel suo mito di sobrietà sabauda dietro cui si cela quello della città esoterica con la leggenda del Sacro Graal interrato nelle fondamenta della Gran Madre di Dio, il museo Egizio e la casa del geniale architetto Carlo Mollino, costruita sulle rive del Po come la sepoltura di un faraone dentro una piramide. Torino è la città delle catene di montaggio automobilistiche, ma anche della follia di Nietzsche che in piazza Carlo Alberto abbracciò un cavallo; dei protagonisti dell’Arte Povera ma anche, per contro, della sfrenatezza lussuriosa di una artista irregolare come Carol Roma.
Il nostro viaggio ci porterà alla scoperta di questa città scenario, il cui primo risveglio avvenne nel Seicento per opera di Maria Giovanna di Savoia Nemours, la parigina tenuta in sospetto dai severi e parchi piemontesi (già da allora poco propensi all’entusiasmo e allo spettacolo) per il suo stretto legame con la corte del re Sole. Era approdata nella monotona capitale dei Savoia dai fasti vertiginosi di Versailles e non appena si liberò del marito Carlo Emanuele II che la lasciò vedova dopo dieci anni di matrimonio e di corna, divenuta reggente del figlio Vittorio Amedeo, prese ad incentivare la costruzione di chiese e palazzi; ampliò la piazza Castello, costruì la strada Nuova (oggi via Roma) e il Collegio dei Nobili, nonostante il marchese Delescheraine, suo consigliere, la tirasse sempre per la manica ricordandole che i forzieri del ducato erano vuoti e gli aristocratici avari e diffidenti. Permise anche di costruire nel centro cittadino la chiesa di San Filippo Neri che i Filippini affidarono allo Juvarra su suggerimento di Emanuele Filiberto, principe di Carignano, famiglia che intanto si faceva costruire il vicino palazzo da Guarino Guarini. Per sé continuò la ristrutturazione del palazzo Madama, già avviata da Maria Cristina di Francia, l’altra parigina che aveva cominciato a rimodernare la città. Anche questo un palazzo che a ben guardare, come scopriremo visitandolo, altro non è se non una finzione: uno scenario barocco creato dallo Juvarra per celare il corpo di una fortificazione medievale.
Nel nostro viaggio sotto la maschera di Torino scenderemo fin nelle sue gallerie ipogee dove Pietro Micca, l’eroico soldato minatore, morì per contrastare l’assedio francese. Ma usciremo anche dalla città per goderci la primavera nel parco e nei saloni della Reggia di Venaria Reale e nella collina di Moncalieri, il monte dei cavalieri, con le sue chiese, collegiate, palazzi e l’imponente mole del castello Reale. E siccome il mistero ci accompagnerà sempre in questo itinerario, visiteremo anche la Sacra di San Michele, l’antica abbazia che ha ispirato Umberto Eco per la scrittura del «Il nome della rosa», costruita nel 987 sulla cima del monte Pirchiriano a picco sulla Val di Susa.
Alla fine scopriremo che dal Palazzo Madama alle Officine Grandi Riparazioni la storia di Torino si ripete nei secoli: con improvvise impennate, la città si toglie la maschera di sobrietà sotto cui cela la sotterranea passione per l’irrazionale. Poi torna a sedarsi, magari per altre centinaia di anni, all’insegna del motto prudente «esageruma nen», non esageriamo!