il Fatto Quotidiano, 27 febbraio 2018
«B. pagava la mafia di Bontate, poi doppia tariffa a Totò Riina». Pubblichiamo stralci del capitolo di “B. come basta!” (ed. Paperfirst) dedicato ai rapporti fra il Caimano e Cosa Nostra
Mafia e riciclaggio. Nel luglio del 1995, in seguito alle accuse di alcuni collaboratori di giustizia tra cui Salvatore Cancemi e Francesco Di Carlo, la Procura di Palermo iscrive Silvio Berlusconi nel registro degli indagati per concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio di denaro sporco insieme a Marcello Dell’Utri. Poi nel 1996 chiede il rinvio a giudizio di Dell’Utri per concorso esterno e l’archiviazione di Berlusconi. Nel 1997 il gip Gioacchino Scaduto manda a processo Dell’Utri e archivia Berlusconi: “Pur essendo emersi ad oggi diversi elementi che sembrano sostenere l’ipotesi accusatoria, la palese incompletezza delle indagini non consente di valutarne appieno il valore indiziario”. E questo perché i pm non hanno avuto tempo sufficiente per riscontrare gli “elementi indiziari contenuti nell’enorme mole di materiale raccolto”.
Il patto e i soldi alla mafia. Nel 2004 il Tribunale di Palermo condanna Dell’Utri a 9 anni per concorso esterno. Nelle motivazioni, i giudici scrivono che il suo stabile sostegno a Cosa Nostra iniziò nel 1973-74 e durò fino almeno al 1996. Non solo: il gruppo Berlusconi ha ricevuto finanziamenti “non trasparenti” a cavallo fra gli anni 70 e 80. E ha versato “per diversi anni somme di denaro nelle casse di Cosa Nostra”. Dell’Utri, infatti, “anziché astenersi dal trattare con la mafia (…), ha scelto, nella piena consapevolezza di tutte le possibili conseguenze, di mediare tra gli interessi di Cosa Nostra e gli interessi imprenditoriali di Berlusconi (un industriale… disposto a pagare pur di stare tranquillo)”. Quando poi, nel 1993, la Fininvest si tramutò in Forza Italia, il capo di Cosa Nostra Bernardo Provenzano “ottenne garanzie” che lo convinsero a “votare e far votare per Forza Italia”, con cui aveva “agganci” anche il boss stragista Leoluca Bagarella. Garanzie fornite da Dell’Utri, che ha avuto “per un trentennio contatti diretti e personali” con boss del calibro di Stefano Bontate e Girolamo “Mimmo” Teresi, oltre al “fattore” Vittorio Mangano, assunto ad Arcore nel 1974 “pur conoscendone lo spessore delinquenziale, e anzi proprio per tale sua ‘qualità’, con l’avallo compiaciuto di Bontate e Teresi”.
Da tre decenni Dell’Utri svolge – sempre secondo il Tribunale – una “attività di costante mediazione tra il sodalizio criminoso più pericoloso e sanguinario del mondo e gli ambienti imprenditoriali e finanziari milanesi, in particolare la Fininvest”, nonchè una “funzione di ‘garanzia’ nei confronti di Berlusconi”. Nei “momenti di crisi tra Cosa Nostra e la Fininvest” Dell’Utri fa da mediatore, “ottenendo favori” dalla mafia e “promettendo appoggio politico e giudiziario”. Tutte condotte “pienamente e inconfutabilmente provate da fatti, testimonianze, intercettazioni”. I rapporti fra Dell’Utri e Cosa Nostra “sopravvivono alle stragi del 1992-93, quando i tradizionali referenti, non più affidabili, venivano raggiunti dalla ‘vendetta’ di Cosa Nostra, e ciò nonostante il mutare della coscienza sociale di fronte al fenomeno mafioso nel suo complesso”. Esistono “prove certe della compromissione mafiosa dell’imputato Dell’Utri anche relativamente alla sua stagione politica”. Sempre secondo i giudici, Forza Italia nasce nel 1993 da un’idea di Dell’Utri, il quale “non ha potuto negare” che ancora nel novembre ’93 incontrava Mangano a Milano, come risulta dalle sue agende, mentre era “in corso l’organizzazione del partito Forza Italia e Cosa Nostra preparava il cambio di rotta verso la nascente forza politica”. Dell’Utri incontrava Mangano nel 1993-94 per promettere “alla mafia precisi vantaggi politici e la mafia si era vieppiù orientata a votare Forza Italia”.
Quanto all’origine delle fortune di Berlusconi, il Tribunale condivide i sospetti della Procura: “La scarsa trasparenza o l’anomalia di molte operazioni Fininvest negli anni 1975-84 non hanno trovato smentita dal consulente della difesa Dell’Utri; non è stato possibile risalire (…) all’origine, qualunque essa fosse, lecita o illecita, dei flussi di denaro investiti nella creazione delle holding Fininvest. E allora le ‘indicazioni’ dei collaboranti e del Rapisarda [sul riciclaggio di denaro mafioso] non possono ritenersi del tutto ‘incompatibili’ con l’esito degli accertamenti svolti”. Poteva chiarire tutto Berlusconi, quando fu sentito dai giudici nel 2002. Ma “si è avvalso della facoltà di non rendere interrogatorio” e così “si è lasciato sfuggire l’imperdibile occasione di fare personalmente, pubblicamente e definitivamente chiarezza sulla delicata tematica, incidente sulla correttezza e trasparenza del suo precedente operato di imprenditore che solo lui, meglio di qualunque consulente o testimone, avrebbe potuto illustrare. Invece, ha scelto il silenzio”.
Lo dice la Cassazione. Nel 2010, la Corte d’appello condanna Dell’Utri a 7 anni, limitando il concorso esterno fino al 1992. Nel 2012 la Cassazione annulla con rinvio la sentenza d’appello, ma solo per un difetto di motivazione sul triennio 1978-80, quando Dell’Utri lasciò Arcore per andare a lavorare con il finanziere Filippo Alberto Rapisarda, altro siciliano amico dei boss. Nel 2013 nuova condanna in appello a 7 anni, stavolta confermata dalla Cassazione nel 2014, con motivazioni durissime non solo per l’imputato, ma anche per Berlusconi, citato per ben 137 volte in 74 pagine. I supremi giudici spiegano Dell’Utri ha “favorito e determinato… la conclusione di un accordo di reciproco interesse tra i boss mafiosi… e l’imprenditore amico Silvio Berlusconi. Grazie all’opera di intermediazione svolta da Dell’Utri, veniva raggiunto un accordo che prevedeva la corresponsione, da parte di Silvio Berlusconi, di rilevanti somme di denaro in cambio della protezione a lui accordata da parte di Cosa Nostra palermitana. Tale accordo era fonte di reciproco vantaggio per le parti…: per Silvio Berlusconi consisteva nella protezione complessiva sia sul versante personale che su quello economico; per la consorteria mafiosa si traduceva nel conseguimento di rilevanti profitti di natura patrimoniale”. Quindi Berlusconi pagava regolarmente Cosa Nostra senza subire minacce (altro che “vittima”): “Tale patto non era preceduto da azioni intimidatorie di Cosa Nostra palermitana in danno di Silvio Berlusconi e costituiva piuttosto l’espressione di una certa, espressa propensione… a monetizzare, per quanto possibile, il rischio cui era esposto”.
Il patto Berlusconi-Cosa Nostra viene siglato in un summit a Milano: “Tra il 16 e il 29 maggio 1974 si svolgeva a Milano un incontro cui prendevano parte Dell’Utri, Berlusconi, Gaetano Cinà (legato alla famiglia mafiosa di Malaspina), Stefano Bontade (capo della famiglia mafiosa di S. Maria del Gesù ed esponente, fino a poco tempo prima, insieme con Gaetano Badalamenti e Luciano Liggio, del “triumvirato”, massimo organo di vertice di Cosa Nostra), Girolamo Teresi (sottocapo della famiglia mafiosa di S. Maria del Gesù), Francesco Di Carlo (della famiglia mafiosa di Altofonte). In tale occasione veniva concluso l’accordo di reciproco interesse, tra Cosa Nostra, rappresentata dai boss mafiosi Bontade e Teresi, e l’imprenditore Berlusconi, realizzato grazie alla mediazione di Dell’Utri”.
E i risultati non tardano ad arrivare: “L’assunzione di Mangano (all’epoca affiliato alla famiglia mafiosa di Porta Nuova…) ad Arcore, nel maggio-giugno del 1974, costituiva l’espressione dell’accordo concluso… tra gli esponenti palermitani di Cosa Nostra e Silvio Berlusconi ed era funzionale a garantire un presidio mafioso all’interno della villa di quest’ultimo”. Infatti, “in cambio della protezione assicurata Berlusconi aveva iniziato a corrispondere, a partire dal 1974, agli esponenti di Cosa Nostra palermitana, per il tramite di Dell’Utri, cospicue somme di denaro”.
La Cassazione conferma poi “il perdurante rapporto di Dell’Utri con l’associazione mafiosa anche nel periodo in cui lavorava per Rapisarda e la sua costante proiezione verso gli interessi dell’amico imprenditore Berlusconi”. Lo dimostra “l’incontro, nei primi mesi del 1980, a Parigi, tra l’imputato, Bontade e Teresi, nel corso del quale Dell’Utri chiedeva ai due esponenti mafiosi 20 miliardi di lire per l’acquisto di film per Canale 5”. Ma anche “la partecipazione di Dell’Utri, nel 1979… a una cena nella villa di Stefano Bontade, cui aveva preso parte una ventina di persone, tra cui Di Carlo, Bontade, Teresi”. E “la richiesta, rivolta da Dell’Utri a Cinà, di occuparsi della ‘messa a posto’ per l’installazione delle antenne televisive, questione poi risolta da Bontade e Teresi… Tale episodio, da mettere in correlazione con l’interesse del gruppo Fininvest nel settore delle emittenti private… dimostrava la continuità dei rapporti intrattenuti da Dell’Utri con Cinà e il suo ruolo di mediatore, pur nel periodo in cui non operava alle dipendenze di Berlusconi”. Infatti “i pagamenti di Berlusconi in favore di Cosa Nostra… erano proseguiti senza soluzione di continuità e, dopo la scomparsa di Bontade e Teresi nel 1981, erano stati effettuati ai fratelli Giovan Battista e Ignazio Pullarà, divenuti reggenti del mandamento di S. Maria del Gesù..”. Tutte prove della “ininterrotta prosecuzione dei versamenti di denaro da Berlusconi a Cosa Nostra… sino al 1992”.
B. raddoppia con Riina. “La sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro dall’imputato a Cinà, indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione al suddetto accordo, al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa Nostra” conveniva a “entrambe le parti: l’associazione mafiosa che da esso traeva un costante canale di significativo arricchimento; l’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”. Siccome poi i fratelli Pullarà non si accontentavano e “tartassavano” Berlusconi per avere ancora di più, Dell’Utri avanzò le sue “rimostranze” e “la sostituzione dei fratelli Pullarà con Cinà” fu “disposta da Salvatore Riina per restituire serenità al rapporto tra le due parti e consentire la prosecuzione dei pagamenti”. Dopodiché il Capo dei Capi elaborò una “strategia per ottenere somme maggiori”. La risposta fu “la piena disponibilità” dell’“imprenditore Berlusconi a corrispondere i nuovi importi”. Cioè al “raddoppio delle somme richieste a Berlusconi, tramite Dell’Utri, da parte dell’associazione mafiosa capeggiata da Riina”. Così “l’imputato, assicurando un costante canale di collegamento tra i partecipi del patto di protezione stipulato nel 1974, protrattosi da allora senza interruzioni, e garantendo la continuità dei pagamenti di Silvio Berlusconi in favore degli esponenti dell’associazione mafiosa in cambio della complessiva protezione da questa accordata all’imprenditore, ha consapevolmente e volontariamente fornito un contributo causale determinante… alla conservazione del sodalizio mafioso e alla realizzazione, almeno parziale, del suo programma criminoso, volto alla sistematica acquisizione di proventi economici ai fini della sua stessa operatività, del suo rafforzamento e della sua espansione”.
Le stragi del 1992-93. A metà degli anni 90 Berlusconi e Dell’Utri vengono indagati a Firenze e Caltanissetta come “mandanti a volto coperto” delle stragi del 1992 (Capaci e via D’Amelio) e del ’93 (Milano, Firenze, Roma). Ma le due indagini vengono archiviate per scadenza dei termini.
A Firenze, nel 1998, il gip Giuseppe Soresina, che archivia, evidenzia che Berlusconi e Dell’Utri hanno “intrattenuto rapporti non meramente episodici con i soggetti criminali cui è riferibile il programma stragista realizzato… Una obiettiva convergenza degli interessi politici di Cosa nostra rispetto ad alcune qualificate linee programmatiche della nuova formazione [Forza Italia, ndr]: articolo 41 bis, legislazione sui collaboratori di giustizia, recupero del garantismo processuale asseritamente trascurato dalla legislazione dei primi anni 90”. Così “l’ipotesi iniziale [il coinvolgimento di Berlusconi e Dell’Utri nelle stragi, ndr] ha mantenuto e semmai incrementato la sua plausibilità”. Ma è scaduto “il termine massimo delle indagini”.
A Caltanissetta, nel 2002, il gip Giovanbattista Tona archivia anche il procedimento su Berlusconi e Dell’Utri per Capaci e via D’Amelio. Ma con motivazioni molto pesanti: i due indagati avevano “rapporti d’affari con soggetti legati all’organizzazione Cosa Nostra”, talmente consolidati da “legittimare agli occhi degli ‘uomini d’onore’ l’idea che Berlusconi e Dell’Utri potessero divenire interlocutori privilegiati di Cosa Nostra”. Quei rapporti “costituiscono dati oggettivi” e”rendono quantomeno non del tutto implausibili né peregrine le ricostruzioni offerte dai diversi collaboratori di giustizia” su Berlusconi e Dell’Utri “considerati facilmente contattabili dal gruppo criminale”.
Nell’estate 2017 la Procura di Firenze chiede e ottiene dal Gup la riapertura del fascicolo su Berlusconi e Dell’Utri per le stragi del 1993. Il fatto nuovo sono le clamorose conversazioni del boss Giuseppe Graviano, intercettato col compagno di socialità Umberto Adinolfi nel carcere di Ascoli. Graviano, che sconta vari ergastoli per le stragi, parla più volte proprio di Berlusconi a proposito di via d’Amelio e dell’attacco mafioso allo Stato nel 1992-94: “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia… per questo c’è stata l’urgenza…. Ero convinto che Berlusconi vinceva le elezioni … in Sicilia… Novantadue… lui voleva scendere… però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto: ci vorrebbe una bella cosa…”.